“Procedendo
per via Lata, a destra si lasciano dei vicoli,
che menano in un rione detto Madonna della Scala,
così chiamato per una cappellaccia dedicata
alla Vergine sotto questo nome. Il giorno dell’Ascensione,
per conservare un’immemorabile consuetudine,
vi si recano le confraternite ed il Capitolo a
recitarvi le preghiere di rito”.
P. CAMASSA, Guida di Brindisi, Brindisi:
Tip. Mealli, 1897, pp. 51-2
La
circostanza ricordata dal Camassa ha riscontro
nella Cronaca dei Sindaci di Brindisi;
qui, si annota: “Oggi 23 maggio 1743 giorno
dell’Ascensione, si è incaminata
la processione dall’Angioli a San Benedetto,
duomo, a basso la piazza, poi a Belvedere, dove
incominciò a piovere con tempo orrido;
si andò poi per l’Annunciata, via
Lata, e alla Madonna della Scala, come il solito,
si fece la solita funzione”. Memoria della
funzione cimiteriale che pure la chiesa ebbe è,
ancora nella Cronaca, nell’annotazione
relativa al 3 aprile 1763 allorché qui
trova sepoltura il francese Francesco Ducatelli
impegnato nella custodia della torre del Cavallo.
Più remote precedenze possono individuarsi
nella presenza di una colonia amalfitana che “si
può presumere presente in Brindisi già
nel XII secolo, acquartierata ai margini della
Giudecca, prossima al mare, con una chiesa che,
ricordata sotto il titolo di Santa Maria Amalfitana,
si può pensare fosse, date le concordanze
topografiche, sul sito dell'attuale Santa Maria
della Scala. Doveva essersi insediata in relazione
alla possibilità d'acquisire grano da rivendere
sui mercati del levante; col progressivo decadere
di Amalfi, a lungo sola porta d'entrata di prodotti
orientali, la colonia di Brindisi dové
divenire autonoma dal punto di vista della propria
attività economica allentando i rapporti
con la madrepatria” (G. CARITO, Brindisi
in età sveva, in Federico II e Terra d’Otranto,
Atti del secondo convegno nazionale di ricerca
storica, Brindisi 16-17 dicembre 1994, Brindisi
2000).
In vicinio viae Late seu Sanctae Mariae de
Scala aveva nel 1409 sua residenza la nobile
Eurizia Palliano vedova di Pirro de Afflicto;
non mancavano, di conseguenza, sulla strada dimore
del patriziato cittadino.
La facciata della chiesa si presenta suddivisa
in due ordini da una cornice aggettante; nella
parte inferiore sono presenti quattro paraste,
due laterali e due affiancate al portale; nella
parte superiore ci sono solo le due paraste laterali
e una lunetta centrale in corrispondenza del portale
d’ingresso. La facciata è completata
da un frontone triangolare di tipo classico coronato
in alto dalla croce in pietra.
L’interno, ad aula unica e privo di abside,
ha subito vari restauri di tipo non conservativo
che hanno alterato l’impianto originario
della chiesa già pressoché completamente
ricostruita alla fine del XIX secolo e, in gravissimo
degrado, ancora ridefinita nel 1986 coi lavori,
voluti dal canonico don Ferruccio Biasi, diretti
dall’arch. Fortunato Pignatelli. Prima di
quest’ultimo intervento, come ebbe a rilevare
Alberto Del Sordo, “la chiesetta, chiusa
al culto e priva di manutenzione, s’avvia
di giorno in giorno verso il crollo per l’infiltrazione
d’acqua piovana, che sta operando lo spappolamento
del tetto”. Furono allora realizzati l’attuale
controsoffittatura e il pavimento in ceramica;
l’altare fu spostato dalla sua posizione
originaria per adeguare la chiesa alla riforma
liturgica introdotta dal Vaticano II. Sull’altare
stesso era l’olio su tela con rappresentazione
della Madonna della Scala opera del prof.
Alessandro Briamo (+1934) eseguita su commissione
del sindaco di Brindisi Federico Balsamo il 1903.
La tela era stata collocata sull’altare
al posto dell’opera più significativa
della chiesa, ritrovata nel corso dell’ultimo
restauro del 1986: un affresco della Madonna
della Scala di autore ignoto e incerta datazione.
L’immagine allora riscoperta potrebbe identificarsi
con quella di cui è menzione nelle relazioni
di Santa Visita già edite da Giacomo Carito
(G. CARITO, Alle origini dell’iconografia
mariana, in Virgo beatissima, Brindisi:
ed. Alfeo, 1990, pp. 70-1) che riferisce sulla
presenza nella chiesa, il 1654, di una confraternita
di laici allora recentemente eretta. La parte
affrescata, nonostante il non ottimale stato di
conservazione, denota la presenza di due dipinti
mariani: uno, quello centrale, è caratterizzato
dal colorismo vivace, fatto di giustapposizioni
tonali che sprigionano luce dall’impasto
stesso e che creano un notevole effetto volumetrico.
Dell’altra rappresentazione, ieratica e
dai toni scuri, è rimasto ben poco di leggibile.
L’affresco predominante è composto
da tre figure sistemate lungo una linea diagonale
che parte dall’angelo sulla scala e termina
nel braccio destro, reggente il Bambino della
Madonna che col sinistro lo cinge. La Vergine
ha velo giallo-oro, manto blù con bordo
giallo-oro, veste rosa. L’occultamento dell’affresco
potrebbe essere stato determinato dal carattere
poco convenzionale di alcuni attributi della Vergine
in basso: l’assenza dell’aureola,
l’acconciatura dei capelli e gli occhi truccati
non paiono elementi consoni ad una Madonna. Parve
essa espressione, come rilevò Carito, probabilmente
moderna, popolareggiante ed oleografica di un
tema che si preferì riprendere commissionando
la tela eseguita dal Briamo.
Testo
di Antonio Giuseppe PASANISI
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