La chiesa
di San Benedetto esisteva già nel
1089 ed era intitolata a Santa Maria Veterana.
L'annesso monastero delle Benedettine fu largamente
beneficato da Goffredo conte di Conversano e dominator
di Brindisi e dalla moglie Sichelgaita con le
donazioni del 1097 e del 1107 che resero alle
monache il possesso dei casali di Tuturano e di
Valerano. Nel corso del XVIII secolo fu abbandonato
il vecchio monastero, che si sviluppava
su tre lati del chiostro medievale, per la costruzione
del nuovo, ad occidente dell'antico complesso.
La nuova struttura fu collegata alla chiesa attraverso
un vano, attuale ufficio del parroco, occludendo
così la facciata da cui fu allora smontato
il portale e ricostruito sulla fiancata destra.
La presenza delle Benedettine ebbe termine la
sera del 19 giugno 1866 allorché, in conseguenza
di provvedimento soppressivo, abbandonarono il
monastero, attuale sede della Polstrada. La chiesa,
con l'antico chiostro a ridosso della fiancata
sinistra, venne invece consegnata all'arcivescovo
di Brindisi per divenire, dal 1877, sede della
parrocchia vicariale già in Sant'Anna.
Brindisi. Chiesa di San
Benedetto. Esterno
(ph. Giovanni Membola per per Ufficio Beni Culturali
Arcidiocesi di Brindisi - Ostuni)
Estesi erano
i latifondi concessi alle benedettine dai normanni
perché fossero messi a coltura; era l'esplicitazione
di un programma chiaramente espresso sul portale,
dell'XI secolo, i cui intrecci viminei di fine
fattura, evidenziano come la cultura artistica
dell'anonimo scultore fosse aperta a influenze
lombarde e bizantine, queste ultime evidenti negli
ornati a finta tarsia dell'imbotte. Sull'architrave
sono riprodotte scene di caccia che presentano
figure schematiche e appiattite ma composte ordinatamente,
come in marmi bizantini: si tratta di due leoni,
un dragone e tre bestiari in costumi longobardo,
bizantino, normanno. L'indicazione è palese:
i normanni erano riusciti nel compito di favorire
la ripresa agraria, proprio lì dove longobardi
e bizantini avevano fallito. La lotta contro il
drago, simbolo delle forze naturali che bisogna
domare, è elemento ricorrente nelle rappresentazioni
parietali brindisine fra XII e XIV secolo allorché
la crescita della popolazione impose la messa
a coltura di ampie aree prima dominio della macchia.
Si tratta di metafore della bonifica del territorio
legate spesso a santi il cui culto era giunto
dall'oriente attraverso le ragioni di scambio
legate al mare quali, in particolare, Giorgio
e Teodoro. Tali contingenze si legano alla considerazione
che se il compito della bonifica era affidato
alle grandi abbazie benedettine, sostitutive di
quelle legate a esperienze monastiche orientali,
il bracciantato era ben spesso d'origine, ascendenza
o cultura greca; la sua condizione era di fatto
servile, legata alla struttura del casale, poco
più di un villaggio, al centro di un feudo
i cui terreni, salvo piccoli appezzamenti d'uso
personale, era tenuto a coltivare a vantaggio
del signore. Sarà la successiva evoluzione
del modulo d'organizzazione territoriale dal casale
alla masseria a favorire la trasformazione in
senso capitalistico delle campagne.
Il campanile,
eretto fra XI e XII secolo, a base quadrata, ha
pilastri angolari e lesene mediane. La cella campanaria
si apre sui quattro lati con trifore falcate da
colonne cilindriche e capitelli a stampella appena
sgrossati. L'ultima parte, in alto, è di
età moderna, ossia del secolo XVIII.
La chiesa, tra
XI e XII secolo fu restaurata e trasformata in
una chiesa a sala con applicazione di una crociera
cupoliforme costolonata di tipo arcaico, la voute
dômicale diffusa nell’XI secolo
in Lombardia e in nord Europa. Similitudini sono
state proposte tra il sistema costruttivo sperimentato
in San Benedetto e il duomo di Aversa, fondato
entro l’XI secolo, per le strette analogie
tra le volte costolonate e le pseudo-cupole di
Brindisi. L'interno è diviso in
tre navate e, longitudinalmente, in quattro campate
da colonne di marmo grigio e da rocchi puntellati
da muratura in tufo. Dei capitelli, quattro sono
di tipo corinzio ed uno, quello posto sulla prima
colonna di sinistra, rappresenta buoi, leoni ed
arieti a teste unite riproponendo forme comuni
anche della cultura preromanica.
Brindisi. Chiesa di San
Benedetto. Interno
(ph. Giovanni Membola per per Ufficio Beni Culturali
Arcidiocesi di Brindisi - Ostuni)
Il chiostro
è stato costruito con elementi di recupero
nel secolo XII e poi modificato ancora nel XVIII.
Nella parete che lo chiude a levante sono i resti
del palazzo abbaziale di Santa Maria Veterana,
eretto fra IX e X secolo. Al centro vi è
un ingresso con arco a tutto sesto costruito in
pietra calcarea. Ai lati vi sono due bifore per
parte.
In certo senso fuori contesto, per la demolizione
degli altari di riferimento, sono l’Adorazione
dei pastori, dipinta il 1570 dal nobile brindisino
Jacopo De Vanis che, come rilevò Margherita
Pasquale, appare “sensibile alla temperie
pittorica settentrionale, lombardo-veneta soprattutto,
qui suffragata da una palmare adesione ai modi
del Salvoldo” (foto),
l'Assunzione della Vergine, tela dai
“caratteri tardo-manieristici ed una cultura
di fondo sostanzialmente veneta, che traspare
sia dalla cromia dell’opera che dalla gestualità
di alcuni personaggi, in cui si colgono echi di
Palma il Giovane (1544- 1628) (foto),
il simulacro di San Benedetto da Norcia, incunabolo
della cartapesta salentina per essere esso opera
settecentesca. Tale datazione si giustifica, rileva
Margherita Pasquale, per “la maestosità
dell’impianto, l’espressività
del volto improntato a severa solennità,
il fluido ed ampio panneggio, insieme al prezioso
particolare degli occhi realizzati in vetro”
(foto).
I gruppi statuari, pure in cartapesta, di Sant’Anna
con Maria Bambina (foto)
e di San Giuseppe col Bambino Gesù,
“accomunati dall’intima partecipazione
emotiva dei protagonisti, dall’espressivo
ed intenso individualismo fisionomico, dalla eleganza
ed armonia compositiva dei gesti e dei panni”,
seguendo Margherita Pasquale, rimandano “ad
una bottega ottocentesca di qualità, come
fu quella di Antonio Maccagnani ( Lecce 1807-1892)
– grande modellatore che seppe elevare la
cartapesta a dignità artistica, prendendo
le distanze dalla trita figurazione devozionale”
anche per le analogie con alcune opere “assegnate
all’artista quali i gruppi raffiguranti
Sant’Anna con la Vergine Bambina
e la Visitazione nella chiesa di Sant’Anna
a Lecce”. Ancora in cartapesta sono la Santa
Rita, realizzata il 1925 dalla ditta Bellé
– Romano, composta da allievi del Guacci,
di Lecce e la Santa Rosa da Viterbo che
Salvatore Sacquegna (1877-1955), qui dichiarandosi
fornitore pontificio, produsse dopo il 1922.
Brindisi. Museo Provinciale.
Frammento di archivolto
(ph. Alessia Broccio per Ufficio Beni Culturali
Arcidiocesi di Brindisi - Ostuni)
Proviene dalla
chiesa di San Benedetto un frammento di archivolto,
databile fra la fine dell’XI secolo e i
primi del XII, ora conservato nel museo provinciale
di Brindisi; supporta tale tesi il confronto tra
i motivi decorativi di questo reperto e quelli,
originali, della monofora sulla fiancata destra
della chiesa conventuale.
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