La
chiesa dell'Immacolata, nella sua prima proposizione,
dovè considerarsi polo cultuale, segno
d'impetrazione di divine grazie, sul limite di
un'area che, per essere prossime alle mura urbiche
eall'accesso principale della città, si
proponeva quale fascia frazionata in aziende di
piccole dimensioni, con colture orticole, alberi
da frutta, agrumeti, vigneti. Si trattava dei
giardini di delizie oltre i quali la campagna
di Mesagne evidenziava ancora il segno dell'uomo
con, in successione, dapprima le aree destinate
a colture promiscue, poi a seminativo; pascoli
o boschi segnavano il limite raggiunto dai coltivi
determinandosi per secoli, nelle popolazioni contadine,
quali aree da recuperare all'agricoltura. La fascia
dei giardini è ricca, in terra di Mesagne,
di riferimenti cultuali; si tratta di edifici
sacri costruiti o ricostruiti sul finire del sedicesimo
e primi del diciassettesimo secolo in un periodo
di crescita demografica e, conseguentemente, di
riaffermata presenza dell'uomo sul territorio.
La chiesa conventuale dell'Immacolata, ora sulla
piazza, già Largo Porta Grande e in seguito
Vittorio Emanuele II, compiuta nel 1869 -70, ebbe,
sino al 1880, dedicazione a Santa Maria di Nazareth.
I francescani furono autorizzati a costruire una
loro casa in Mesagne nel 1425; in quell'anno,
il 4 agosto, il pontefice Martino V notificò
all'arcivescovo di Brindisi il suo consenso a
una fondazione francescana in Mesagne.
Il pontefice veniva in tal modo incontro al desiderio
espresso da Aymonetto di San Giorgio, devoto francescano,
d'edificare una residenza conventuale sotto il
titolo di Santa Maria di Nazaret. Egli, riferisce
la bolla papale riportata dal Coco
"domum sub vocabulo B. Mariae de Nazaret
cum ecclesia [...] aliisque necessariis officiis
pro usu et abitatione fratrum dicti ordinis in
terra Mesagnae dicte dioecesis construere desiderat".
Ricevuto l'assenso arcivescovile la costruzione
fu avviata forse già nello stesso 1425,
a spese di Aymonetto di San Giorgio e della moglie
Maria Maia su terreni di loro pertinenza; fu poi
rimaneggiata più volte. Attualmente è
a una sola navata, ma ancora nell'Ottocento si
vedevano resti che ne testimoniavano la tipologia
a due o tre navate. Riferisce Profilo:
"Sembra in fatti che in epoca non determinabile
la chiesa fosse stata a due o tre navi; almeno
così risulterebbe da alcuni avanzi di cappelle
e di altari che tuttora [1894] si vedono nelle
stanze contigue a borea di essa e dalle parieti
di queste che formano un unico fabbrico con quelle
della odierna ad una sola nave".
Il campanile sarebbe stato eretto nel 1652, ad
iniziativa del conventuale mesagnese Ludovico
Verardo, utilizzando quale cava le antiche mura
della città.
A ricordo del restauro del 1739, sull'arco sovrastante
l'altare maggiore vi sono le insegne della famiglia
Musachi - Cantone. Riferisce il Profilo:
"Il Mavaro narra, ed una conclusione di questo
Capitolo del 1739 lo conferma, che la chiesa fu
coverta di nuovo tetto ed abbellita con stucco
a spesa delle nobili famiglie mesagnesi Raimondi,
Cantone e Musciacchi, delle quali due ultime si
videro le armi ai quattro angoli dell'altare maggiore
fino al 1787 quando, di nuovo ristaurata, quelle
furono tolte e disperse".
Importanti interventi si ebbero nella seconda
metà del XIX secolo allorché in
coincidenza con l'espandersi dell'abitato di Mesagne
oltre le mura, lungo gli assi stradali di comunicazione
coi centri vicini, la chiesa muta radicalmente
il proprio contesto di riferimento. Non casualmente,
gli interventi del 1878 si pongono in significativa
connessione con gli altri relativi a piazza Vittorio
Emanuele II, definita il 1869 -70 e alla villa
comunale, completata agli ultimi del XIX secolo
su suolo acquisito dalla civica amministrazione
il 1877. Si trattava della spianata Scarano la
cui parziale lottizzazione avrebbe dato avvio
all'urbanizzazione dell'area.
Secondo Antonio Profilo:
"Nel 1842 fu ricoperta di assito, perché
l'antico tetto non più era solido; e poi
nel 1878 e negli anni seguenti è stata
coverta di volta sorretta dai muri antichi, tranne
quello di mezzodì e ponente ricostruiti
a nuovo; è stata ornata di altari di marmo
e nel miglior modo abbellita".
Nel suo patrimonio artistico si annovera, sulla
sinistra la tela di Sant'Antonio da Padova e giovane
committente (1759) e, sulla destra, quella dell'Estasi
di San Francesco d'Assisi (1767), entrambe dipinte
da Domenico Antonio Carella (1721-1813), pittore
nativo di Francavilla Fontana, ma attivo soprattutto
a Martina Franca. Opera del mesagnese Antonio
Criscuolo (1819-71) è il quadro, sulla
parete sinistra, della Vergine Immacolata. Di
anonime botteghe pugliesi sono le settecentesche
tele di San Rocco, della Flagellazione di Cristo,
Cristo deriso, Cristo portacroce, Cristo a Getsemani,
San Francesco d'Assisi orante, Addolorata, San
Francesco d'Assisi, Volo di san Giuseppe da Copertino
e le secentesche aventi a soggetto la Madonna
con Bambino, San Gaetano da Thiene e l'Immacolata.
Numerose le statue lignee e in cartapesta.
Nella chiesa, ai piedi dell'altare di San Diego,
gentilizio della famiglia Ferdinando, fu sepolto
il medico e storico Epifanio Ferdinando. I resti
mortali, esumati nella seconda metà del
XIX scolo, riposti in una cassetta di zinco, ebbero
collocazione ai piedi dell'altare dedicato alla
Vergine Immacolata, non lontano dall'originaria
collocazione.
L'attiguo convento dei francescani neri, danneggiato
dal terremoto del 20 febbraio 1743, fu restaurato
e consolidato dai mastri muratori Basilio e Valentino
de Virgilijs di Oria per il corrispettivo di settantacinque
ducati. Riassumendo le vicende della struttura
scrisse Antonio Profilo:
"fu quasi affatto rovinato per le vicissitudini
guerresche tra aragonesi e francesi e che la nostra
università nel I dicembre 1496 domandò
alla predetta regina Giovanna la cooperazione
di lei, perché il convento fosse rimesso
in piedi [...] Soppresso nel 1809 passò
al Demanio dello Stato, il quale possedutolo per
circa 60 anni, lo vendé a privati nel 1868
in condizione di notevole deperimento. Oggi [1894]
è destinato a vari usi".
Il piano terra fu adibito prima a stalla, poi
a trappeto, indi ad abitazioni. Il primo piano
servì fin dall'inizio a dare alloggio ai
senzatetto; dal 1922 fu attrezzato ad albergo
e, con varie ristrutturazioni, è ancora
oggi adibito a tale uso.
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