La
chiesa, sviluppatasi su un complesso in grotta
interessato da presenze monastiche di rito greco,
si trova lungo le pendici scoscese della lama
omonima. Un tempo chiesetta rurale nei pressi
della via consolare borbonica, fuori dall'abitato
di Ostuni, in direzione di Carovigno, ora è
quasi inglobata nel tessuto abitativo della periferia.
Vi si accede dalla statale tramite una ripida
scalinata, introduzione a un terrazzo che fa da
sagrato, rimaneggiata in epoca recente, addossata
alla fiancata ovest dell'edificio sacro.
Nella prima domenica dopo Pasqua, intenso è
il pellegrinaggio verso la chiesa. Come tradizione
vuole, i devoti si portano qui per assistere alle
funzioni religiose delle ore 7.30, 9 e 11; dopo
il rito i fedeli consumano la Palomma, dolce pasquale
fatto di pasta a forma di colomba con incastonate
una o più uova sode.
L'impaginato della facciata, che si apre, lateralmente,
in due monofore e, centralmente, in un portale
ogivale su cui, in asse, sono il rosone e una
monofora, con coronamento formato da una teoria
di archetti trilobati su cui svetta un agile campanile
a vela a due fornici, non ha subito alcuna alterazione
lungo i suoi cinquecento anni di storia. All'interno
la chiesa, con orientamento NO-SE, ha pianta rettangolare
e soffitto a volta ogivale. Le pareti laterali,
in origine interamente affrescate, sono in parte
scavate nella roccia, in parte costituite da muratura
in elevazione composta di conci di calcarenite
di disomogenea sedimentazione. Nella parete opposta
all'ingresso, ai lati di un altare barocco, trovano
ubicazione due porte che permettono l'accesso
all'ipogeo mediante una zona di disimpegno. Qui
inizia una grotta di origine carsica, lunga una
ventina di metri, per circa 3 m. di altezza e
larghezza; più larga all'imboccatura e
rastremata al fondo; di orientamento omogeneo
all'edificio antistante ex divo. Nel XVIII
secolo sono stati aggiunti due corpi di fabbrica
a piano terra e a primo piano, antistanti l'ambiente
a piano rialzato già eretto contestualmente
alla chiesa.
Cosimo De Giorgi ne La Provincia di Lecce,
edita il 1882, fornisce una prima dettagliata
illustrazione del complesso in grotta rilevando,
a proposito della chiesa cinquecentesca che "il
nuovo ed il barocco nell'interno hanno totalmente
sostituito l'antico":
"Dietro l'altare si apre
però una grotta naturale, lunga m.38,80,
larga da m.2,60 a 3,80 ed alta da due a tre
metri. Il pavimento è tutto interrato
dall'ocra argillosa che riveste le colline ostunesi;
la volta è di forma triangolare, solo
in parte ingrandita a colpi di piccone. La acque
calcarifere gocciolando da questa volta sul
pavimento e sulle pareti ne hanno arrotondato
gli spigoli sporgenti, e vi hanno disteso dei
piccoli festoni stalattitici. Nei secoli scorsi
le pareti di questa grotta erano qua e là
dipinte a fresco; ma oggi ne restano appena
le tracce. Uno degli affreschi meglio conservati
rappresenta Gesù Cristo in atto di benedire,
colla Vergine a dritta e S. Gio. Battista a
sinistra. Il redentore colla sinistra regge
il libro degli evangelii, sul quale si legge
la seguente iscrizione: EGO SUM LUX MUNDI QUI
SEQUITUR ME NON AMBULAT IN TENEBRIS. Un altro
affresco rappresenta un Crocefisso, con due
figure ai lati molto sciupate. In un terzo si
vede l'effigie della Vergine; figura di grandi
proporzioni, ma di fattura molto grossolana
come le precedenti. A qual epoca rimontano questi
affreschi? Vi è relazione di somiglianza
e di data fra questi e quelli delle grotte di
S. Maria di Agnano e della tante disseminate
nel Tarentino e verso il Capo di Leuca?"
La chiesa della Madonna della
Nova, tra i pochi manufatti goticheggianti scampati
alle ingiurie del tempo, è la più
antica dedicata alla Vergine tra quelle ancora
oggi esistenti in Ostuni. In essa si svolgevano
le sette feste in onore di Maria oltre quella
della Domenica in Albis: in questo luogo
la chiesa locale veniva a salutare la madre di
Dio col titolo di Theotokos. Negli atti
di santa visita del 1876 si scrive:
"La festa di questa Madonna
si celebra nella domenica in Albis; e
da parecchi anni in que un pio gruppo di devoti
ha cura di rilevare questa Santa Vergine dalla
sua campestre dimora e trasportarla nella chiesa
dell'Immacolata sita nella piazza nobile di
Ostuni, ove celebrata la novena e la festa dopo
la processione cittadina seguita da banda musicale,
viene restituita nella sua propria cappella".
Fu costruita, con richiamo all'aulico
modello costituito dalla Cattedrale, ai primi
del XVI secolo a iniziativa e spese del capomastro
Giovanni Lombardo; la chiesa si completò
dopo il 1521, anno in cui non è menzionata
nell'inventario dei beni della mensa vescovile
di Ostuni, e prima del 16 aprile 1524, data riportata
sull'affresco avente a soggetto una processione
di flagellanti. Fu cappellania laicale con annesso
beneficio goduto, il 1558, dal canonico Pasquale
de Pia; estintasi la famiglia con diritto di patronato,
la chiesa passerà sotto la diretta custodia
dei vescovi di Ostuni. Delle linee e decorazioni
seicentesche e settecentesche un tempo esistenti
in chiesa, si scorge al presente soltanto l'altare
in pietra gentile, di gusto rococò, fatto
eseguire nel 1761 dal cappellano Antonio Taberini.
Nello stesso periodo il vescovo Francesco Antonio
Scoppa (1747-82) fece erigere nella grotta, innanzi
l'affresco della Nikopeia, un altare contenente
il suo stemma, spostato nel 2003, per il restauro
dello stesso affresco, sulla parete interposta
ai due accessi. L'intrapresa dello Scoppa era
sostitutiva del medievale ciborio o baldacchino
in pietra realizzato dal capomastro Maraldo, come
riportato da un'epigrafe greca incisa su una delle
tegole pertinenti al complesso. È comunque
da ritenere che tutto l'interno della vetusta
chiesa fosse stato rivisitato durante il Settecento
e ricoperto di stilemi più in sintonia
coi gusti di quel tempo.
Sul lato sinistro del vestibolo,
che precede la lunga galleria della grotta, si
conservano due dipinti: il primo raffigura una
Processione di flagellanti datata al 1524,
forse riferibile a committenza della nobile famiglia
Palmieri; l'altro Ia Madonna che allatta il
Bambino, versione cinquecentesca della bizantina
Galaktotrophousa, soggetto presente nella
pittura medioevale della regione.
Lo schema iconografico mariano di stampo bizantino
persiste nella posizione della Madonna, ritratta
a mezza figura, mentre sostiene tra le braccia
il Bambino, che sugge da una mammella posta in
un'improbabile area anatomica. Il desiderio del
pittore di prendere le distanze dal linguaggio
bizantino si coglie nell'ampio modellato delle
due figure e nello sviluppo plastico conferito
al maphorion, animato da numerose pieghe
chiaroscurate ma poco coerente nel suggerire il
movimento delle braccia.
Sulla parete sinistra della grotta,
su una nicchia sovrastante un altare, è
la Madonna Nikopeia, Colei che conduce
alla vittoria, raffigurata secondo la diffusa
iconografia bizantina, desunta dall'immagine-stendardo
che guidava in battaglia gli eserciti imperiali.
La parte superiore del dipinto è venuta
alla luce nel corso della campagna di restauro
condotta da Jolanda Mayer nel 1997. L'altra metà
è stata liberata durante la successiva
fase d'interventi conservativi, realizzati nel
2003 dalla restauratrice milanese Paola Centurini.
La Madonna, assisa in trono e con un'aureola perlinata,
indossa un maphorion azzurro, che dalla
testa discende fino ai piedi. Il Bambino benedice
alla greca con la destra e sostiene con la sinistra
il volumen; è adagiato sulle ginocchia
della Madre, che lo trattiene amorevolmente.
La più antica testimonianza
pittorica della grotta riguarda una Croce,
che emerge al di sotto di un strato pittorico
raffigurante una santa non più identificabile.
Questo simbolo cristologico, mostra bracci con
nodi rimarcati da perle debolmente ombreggiate,
terminazioni trilobate e appendici vegetali che
si snodano dalla base. Tali decorazioni naturalistiche
inducono a identificare questo tipo di Croce
con l'Albero della Vita motivo allusivo
di Cristo, diffuso in età paleocristiana
e, successivamente, in quella bizantina, ovvero
in un segno di consacrazione del luogo di culto.
La lavorazione raffinata della Croce, sicuramente
mutuata da prodotti di oreficeria, fa ritenere
plausibile una sua datazione alla seconda metà
del XIII secolo. A breve distanza di tempo la
Croce fu occultata da un nuovo rivestimento
pittorico con le immagini di due sante, dipinte
da un medesimo artefice. Entrambe le figure sono
accompagnate da iscrizioni esegetiche, purtroppo
poco leggibili. I dipinti della Madonna della
Nova sono molto deteriorati e, soprattutto, poco
caratterizzati ai fini di un bilancio stilistico;
sono stati trattati sommariamente dal De Giorgi
e dalla Medea, i quali ne hanno segnalato solo
il pessimo stato di conservazione.
Il Cristo alla colonna,
in riquadro rosso con fondo blu e giallo, soggetto
del tutto sconosciuto nel repertorio figurativo
delle chiese rupestri pugliesi pare piuttosto
tardo. La Diesis, con il Pantocratore al
centro e ai lati la Vergine e San Giovanni
Battista, pare databile ai primi del XIV secolo.
Il dipinto più distante
dall'ingresso della grotta di Santa Maria della
Nova è una Crocifissione, proposta
a una notevole altezza dal piano di calpestio.
Il Cristo emerge con forte drammaticità,
occupando per intero il fondale rosso e annullando
quasi il supporto ligneo, che si scorge appena
al di dietro delle braccia, sconfinando oltre
i limiti della campitura. Affiancano il Cristo,
ritto nella parte superiore del corpo ben modellato,
la Madonna, che addita con le braccia sollevate
il Figlio, e san Giovanni evangelista con le mani
giunte in preghiera. Fattori di sicuro impatto
emotivo concorrono ad accentuare l'intenso pathos
dell'evento: il formato dei chiodi, quasi picchetti
infissi nelle mani; lo stillicidio delle ferite
inferte sul corpo del giustiziato; uno zampillo
di sangue, che sgorga dalla ferita sul costato.
A tutto ciò si aggiunge l'espressione dolente
degli astanti, caratterizzati da fisionomie acute
e contratte, abbreviati nella definizione plastica
dell'abbigliamento, affidata a pochi tratti lineari.
Sulla parete sinistra della chiesa
di Santa Maria della Nova si sussegue una serie
di affreschi, i primi due dei quali sono emersi
durante i lavori di restauro condotti nel 2003.
II primo soggetto, estremamente lacunoso, rappresenta
un Santo francescano individuabile dal
saio color grigio. Accostato a tale riquadro,
sullo stesso strato pittorico, appare una Madonna
con Bambino, dipinto deturpato dalla perdita
di ampi brani e dei volti delle due figure. Quanto
rimane è sufficiente per formulare alcune
considerazioni sull'originale fattura del soggetto.
Le figure sono inserite in un'elaborata struttura
dal profilo interno trapezoidale, che simula una
intelaiatura lignea, interrotta lungo i lati da
riquadri incassati e, in alto, da borchie tondeggianti.
Qualcosa di simile si può osservare nelle
incorniciature dei pannelli con figure di vescovi
e in alcuni apparati scenografici che ospitano
storie del Ciclo mariologico, nella Basilica
di Santa Caterina d'Alessandria a Galatina,
decorata nella prima metà del XV secolo.
Il dipinto successivo, emerso
durante i lavori di restauro condotti nel 1997,
rappresenta Santa Maria della Nova, identificata
dall'iscrizione a lettere capitali ai lati dell'aureola.
Il quadro è delimitato da una profonda
cornice azzurrata, illuminata nel bordino interno,
come se fosse colpita dalla luce proveniente dal
portale della chiesa. Assisa su un trono marmoreo
privo di schienale, la Madonna si uniforma, per
posizione e per abbigliamento, al similare repertorio
figurativo delle tarde icone bizantineggianti.
Una ciocca di capelli, che ricade in una serie
di riccioli ai lati del viso, è l'unica
concessione a un atteggiamento austero e quasi
severo del volto. Il Bambino, tutto proteso a
carpire un oggetto non identificabile, forse una
rosa, è più spontaneo e vivace;
la corta e aderente tunichetta, pur conservando
la memoria di decorativismi tipicamente tardo-gotici,
lascia, infatti, intuire il robusto modellato
del corpicino, liberamente mosso nello spazio.
L'affresco fu commissionato da Lucrezia della
nobile famiglia Zaccaria.
La figura di San Bernardino
da Siena (1380-1444) giganteggia in un pannello
verticale, sviluppato sul lato sinistro della
porta che introduce nella dimora del romito. Il
ductus, semplice e modesto dell'ignoto
pittore si evince non solo nei rapporti sbilanciati
del busto con la parte inferiore del corpo ma,
anche, nei panneggi del saio, riuniti in gruppi
di tre pieghe. Il volto, asciutto e allungato,
è percorso da innumerevoli rughe, pin sottili
sulla fronte e intorno agli occhi, profondamente
marcate intorno al mento e alle labbra; maggiore
naturalezza rivela il trattamento dei cappelli,
raccolti dietro alle orecchie in ciocche canute,
abilmente tratteggiate. Tali cifre stilistiche
si riscontrano in quella cerchia di artisti che,
nel cantiere galatinese di Santa Caterina d'Alessandria,
si è espressa con una forte accentuazione
fisionomica, quasi caricaturale delle figure anche
se è difficile proporre dei confronti convincenti.
Tra la porta d'accesso alla casa
del romito e a quella che immette nella grotta
dal lato sinistro è un'immagine di San
Giovanni Battista; sulla parete destra della
chiesa sono infine pitture parietali, verosimilmente
cinquecentesche, riferibili a una Madonna con
Bambino, a una Processione di flagellanti
e a un'Imago Pietatis.
All'interno della chiesa, in una nicchia sopra
l'altar maggiore, è la statua in pietra,
cinquecentesca, della Madonna con Bambino,
recentemente restaurata; ottocentesca è
quella, lignea, d'analogo soggetto.
BIBLIOGRAFIA
La chiesa di Santa Maria della Nova in Ostuni
dal medioevo all'età moderna, a cura di
L. GRECO e C. LEGROTTAGLIE, Galatina: Congedo
Editore, 2004
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Foto:
in alto a destra: La chiesa all'esterno
1: Altare maggiore
2: Ipogeo
3: Crocifissione
4: Déesis
5: Flagellanti
6: Madonna del Latte
7: Madonna della Nova
8: Nikopeia
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