.:. CHIESE

SAN VITO MARTIRE
Ostuni

La chiesa di San Vito Martire, dal 1989 sede del Museo di Civiltà Preclassiche della Murgia Meridionale, è, insieme all’adiacente convento di clausura delle Carmelitane, l’unico vero esempio di rocaille in Ostuni.
Il tempio, eretto tra il 1752 e il 1754, su progetto commissionato a Napoli, fu consacrato nel 1756 dal vescovo Francesco Antonio Scoppa (1747-82). Per realizzarlo furono abbattuti tre palazzi, tra cui quello della nobile famiglia Petrelli e la medievale chiesa di San Vito, danneggiata dal sisma del 20 febbraio 1743.
Il 1729, per volontà del vescovo Cono Luchino da Verme (1720-47), era stata completata l’edificazione del monastero carmelitano di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. Con l’eversione dell’asse ecclesiastico e la soppressione degli ordini religiosi, sarebbe stato acquisito dalla civica amministrazione che molto lo modificò nel 1905 per l’allargamento di via Cattedrale. Le carmelitane vi avrebbero fatto rientro nel 1907 per permanervi fino al 1975 allorché si sarebbero trasferite nel nuovo monastero ubicato sulla via per Cisternino; è allora che il complesso, unitamente alla chiesa, è definitivamente acquisito dal comune di Ostuni.
La storia di questo convento è legata alle vicende personali dell’ultimo dei rampolli di una delle famiglie nobili ostunesi, il sacerdote Giovanni Battista De Benedictis. Costui guarito da una grave malattia dispose, nel 1710, un generoso lascito legato all’edificazione di un nuovo monastero di clausura per le figlie del popolo; per le esponenti di nobili e ricche famiglie pugliesi già nel XV secolo in Ostuni era stato costruito, per volontà di Bona Sforza, un monastero di clausura benedettino. Tutto il complesso è detto delle Monacelle, a indicare nel convento la presenza di giovani ragazze.
La facciata della chiesa, su cui sono gli stemmi dell’Ordine Carmelitano e dei vescovi Francesco Antonio Scoppa (1747-82) e Cono Luchino dal Verme (1720-47), si presenta con un armonioso movimento di linee che alleggerisce la complessità dello stile; volute, conchiglie, cartigli accartocciati aumentano il volume centrale tra le due coppie di lesene. L’aggetto del cornicione, la rotazione degli stipiti del portale di quarantacinque gradi movimentano ancor di più la facciata. La parte inferiore e quella superiore si raccordano attraverso volute che si concludono in un timpano interrotto.
Il campanile di pietra nuda non decorata, possiede balaustre e finestre dotate di grate, tipiche degli edifici destinati alla clausura; la cupola è un chiaro esempio di copertura a maiolica napoletana
multicolore.
L’interno è imbiancato a calce, il che conferisce all’ambiente un’alta luminosità e un aspetto
severo così come impone la regola carmelitana. Nell’unica navata è riproposta la scansione della facciata; i pilastri addossati alle pareti sostengono la trabeazione, sulla quale si imposta la volta dell’aula e i pennacchi della cupola ottagonale del presbiterio.
Sulla controfacciata, al di sopra dell’ingresso si sviluppano i cori lignei minori, uno dei quali,
quello sulla sinistra, era destinato ai laici, l’altro, posto a destra, è occupato dall’organo a mantice realizzato il 1764 da Michele Sanarica.
Gli altari furono realizzati, ad eccezione di quello dell’Addolorata, il 1763 da Francesco Morgese.
Il primo altare sulla sinistra fu innalzato per volere di Pietro Mongoli e Beatrice Flore. Nella cimasa gli scultori Gaetano e Francesco Morgese inserirono la scena della Crocefissione. La tela che ornava l’altare rappresentava La Madonna con Bambino e i Santi Cosma e Damiano attribuibile ad ambito di Domenico Carella (1721-1813). Il successivo altare, sotto il titolo di Santa Teresa d’Avila, è arricchito dalle statue dei santi Elia ed Eliseo. La struttura verticale è conclusa dal fastigio che presenta al centro la statua di Gesù flagellato, con ai lati i santi carmelitani Simone Stock, sulla destra e Giovanni della Croce a sinistra. L’altare era completato dalla tela rappresentante “San Giuseppe con Bambino e Santa Teresa d’Avila”.
Sulla parete sinistra si individuano il comunichino attraverso il quale le monache accedevano al sacramento dell’Eucarestia, la ruota degli esposti per passare doni, offerte o il necessario per celebrare, le porte di accesso alla sacrestia dove è ancora possibile scorgere i frammenti delle riggiòle che un tempo formavano il pavimento. Il termine riggiòla ha origine spagnola ed indica una piastrella, spesso dipinta a mano, che si produce ancora oggi nelle costiere amalfitana e sorrentina. La caratteristica della riggiòla è di essere molto resistente e utilizzabile anche per pavimentare gli esterni.
Si inserisce in questo contesto la policromia della zona absidale, dove l’altare a tre gradini presenta campiture gialle e grigie che simulano marmi colorati. Ai due estremi dell’altare sono le rappresentazioni plastiche di Santa Teresa d’Avila e Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. Sul tabernacolo si solleva il tronetto per l’esposizione eucaristica. Al disopra dell’altare è una notevole cornice grigia lavorata a stucco in cui ha trovato nuovamente collocazione, dopo il restauro curato il 2009 da Rita Raffaela Cavaliere, la tela che il romano Mattia de Mare dipinse il 1753 avente a soggetto San Vito Martire tra i Santi Modesto e Crescenza.

Mattia de Mare
San Vito Martire tra i Santi Modesto e Crescenza

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Sulla parete a destra dell’altare è il monumento funebre del vescovo Cono Luchino del Verme (1720-47) completato il 1754. Esso richiama nell’impostazione l’altro che, nella Concattedrale, rende memoria al vescovo Bisanzio Antonio Filo; in entrambi i casi il canonico Zaccaria Cesi potrebbe aver dettato i testi delle epigrafi. Il coro maggiore posto alle spalle dell’abside nel registro superiore della chiesa, è mascherato al di sopra della balaustra da una grata lignea, una gelosia, di gusto rocaille. Le lignee grate bombate, poste anche a protezione delle finestrelle delle cappelle laterali, consentivano alle monache carmelitane di partecipare alla liturgia eucaristica.
Sulla parete destra è l’altare dedicato a Santa Maria Maddalena de’ Pazzi; qui è citazione dei santi protettori di Ostuni, Biagio e Oronzo. Le colonne che inquadrano l’altare reggono un frontespizio con l’Eterno benedicente e gli arcangeli Michele e Raffaele. Di notevole interesse il pulpito settecentesco, con cassa ripartita da pannelli dipinti con scene paesaggistiche. Nel pannello centrale vi era un dipinto rappresentante una Madonna con Bambino, oggi restaurato.
Il secondo altare sulla parete destra, l’unico di gusto neoclassico, è dedicato all’Addolorata. La scultura che occupa la nicchia centrale è ottocentesca.

Testo di Antonella Golia

Nota:
Per le notizie essenziali sulla chiesa e per maggiori informazioni sul Museo, si faccia riferimento al testo:
• D. COPPOLA, L. GRECO, F. SOZZI., Ostuni 1, Lecce: Edizioni del Grifo, 1990, Collana: Itinerari di Terra d’Otranto

Chiesa di San Vito Martire
Foto di Erica Zanella

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