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Brindisini illustri - ARMANDO SCIVALES

Armando Scivales (1917 – 1994) è nato a Brindisi nel 1917. Ha vissuto a Milano dal 1943 al 1966 formandosi artisticamente e culturalmente in un ambito e in un periodo densi di fermenti.
Dal 1966 al 1973 è a Marina di Carrara, con frequenti soggiorni a Firenze dove abituali sono le frequentazioni con l'amico pittore Renzo Grazzini. Quest'ultimo periodo è stato certamente, e lo si coglie dalla ricca biografia, il piú fecondo, non solo per la partecipazione attiva alla vita artistica nazionale e internazionale (Colombo, Ceylon, Mosca, Tauranga, Wellington), ma anche per le affermazioni e i riconoscimenti piú significativi.
L'intensa produzione è quasi una sorta di autorisarcimento per gli anni duri della giovinezza, spesi tra il lavoro, cui viene costretto ancora adolescente per provvedere a se stesso, il servizio militare, la guerra, la clandestinità, la Resistenza, il fastidio della malattia sofferta per lunga denutrizione.
Il comune di Milano lo inserisce in una ristretta rosa di artisti per l'acquisto di opere d'arte; una sua tela, L'uomo di pietra (cm 70x60), entra nella Collezione pubblica.
L'associazione "Scambi culturali Italia - URRS" lo invita alla rassegna grafica di incisori lombardi a Mosca, dove le sue incisioni trovano collocazione permanente al museo Puskin.
Numerose sono le sue partecipazioni ad altre mostre e incontri di rilievo tra i quali il premio nazionale "Il Fiorino" a Firenze, "Arte italiana contemporanea" in Nuova Zelanda e Australia, "La donna nell'arte" al Palazzo della Permanente a Milano.
Prestigiose giungono le attribuzioni del premio Suzzara, nel 1969 con I fatti di Battipaglia [premiata con il titolo Chiedevano lavoro, no morte] e, nel 1972 con Omaggio a Di Vittorio, fiero sindacalista del suo Sud.
Nel 1973 l' artista decide di tornare a Brindisi: "Qui sono nato e qui finirò i miei giorni".
Se Sinisgalli, Quasimodo, Carrieri, Guttuso, Cantatore, Migneco e altri hanno cantato il Sud lontano, sotto cieli opachi del Nord, Scivales è fortemente pressato dal bisogno del ritorno, di vivere i luoghi dai quali è partito, di riscoprirli, dopo decenni di lontananza. Presenza attiva nella cultura del Mezzogiorno, è stato interprete sincero di una terra percepita nella sua complessità, che accanto ad aree industrializzate presenta sacche di miseria, di marginalità, quartieri ghetto, processi di continuo svuotamento delle campagne, di emigrazioni, di fughe nel terziario.
Dall'approccio vigile ed emozionato con questa realtà deriva quindi la rappresentazione di una dimensione umana colta nelle sue contraddizioni: il subire e la volontà di non lasciarsi sopraffare, i disvalori e la "graduatoria delle cose che contano", la disperazione urlata e quella implosa.
Il documento, perché documento mi pare ogni sua tela, da soggettivo diventa oggettivo. Il contenuto sociologico, presentato coll'efficacia dei mezzi di intermediazione, se fosse impostato soltanto sull'umana pietà, rischierebbe l'enfasi, la retorica. Diventa invece anche urgenza politica che nella sede della politica chiede la sua risoluzione.
Dice bene Dino Villani quando afferma che Scivales è fra i piú sensibili e autentici meridionalisti del nostro tempo, perché nella sua lunga e silenziosa carriera non ha mai perso di vista la dimensione reale dell'Uomo, filtrata dalla sincerità della passione, dalla forza della ragione, dal radicamento nelle origini. L'artista racconta con emozione, ma dominando sempre l'oggetto, perché il suo stato d'animo è al tempo stesso amore, rispetto, dovere di denuncia. Costruisce cosí un percorso poetico significativo lungo i grandi temi che toccano la società meridionale contemporanea portando sulla tela il rigore morale, la dignità, il valore del gesto. Prosegue nell'impegno che lo ha portato a esprimersi in I fatti di Battipaglia con il gruppo dei braccianti che avanza a cuneo verso il compagno brutalmente ucciso: non c'è ribellione, ma consapevolezza del sacrificio; un silenzio di piombo pesa nell'aria, piú efficace di un grido lacerante.

La donna è figura predominante nelle tele di Scivales. Le scarnificate immagini di vecchie quasi pietrificate nei tratti induriti e fieri di chi ha vissuto velando pene e miseria con dignità e pudore o accettandone il carico come destino, contrastano con le giovani, malinconiche figure dai grandi occhi spalancati e fissi, floride bellezze, sovente ritratte al balcone, in attesa, con la consolante illusione che la loro vita non sia tutta fra quei muri bianchi e incalcinati, ma si espanda fuori, nell'aria libera, insieme al sogno, al desiderio di un'altra condizione. Creature che emergono come evocate dal vissuto piú lontano dell'artista, da una cultura contadina le cui tracce sbiadiscono con l'emergere prepotente della comunicazione mediatica, con l'assunzione di nuovi ed estranei modelli. Cogli allora, nella metafisica atmosfera di sospensione, la speranza che passato e presente ritrovino il carattere della continuità; cogli la paura dello snaturarsi, il rischio di smarrirsi tra cose non imparentate con la memoria del proprio patrimonio storico-culturale.
Nei dipinti delle nuove madonne il bambino di colore, che succhia il latte dal seno roseo e vigoroso, incarna il sacrosanto diritto alla vita, alla pace.
Nella personale a Brindisi, al Centrarte Falanto (1976), nella grande tela Dal seno materno alla corruzione (m 3x2), l'artista conferisce maggiore incisività alla sua testimonianza. L'opera ha un respiro epico. La gente del Sud è assunta a emblema e metafora di tutti i Sud impegnati nella ricerca e nel diritto della propria emancipazione e del proprio riscatto contro la miseria e l'ignoranza, ma il cammino - avverte l'artista - può trasformarsi in un viaggio dall'innocenza alla perdita degli ideali, allo sradicamento; ai lati due immagini simboliche antagoniste nello spirito interpretativo del bene e del male. Si parte dietro le aspirazioni passando attraverso dolorosi addii sottolineati dalla valigia tenuta chiusa da una corda, dalla bambola di pezza, dalle scarpe portate in mano (meglio consumare i piedi, le scarpe costano troppo), ma il cammino si conclude nella visione di una modernizzazione impietosa e fratturata. Alle illusioni subentra la disillusione, quella dell'artista soprattutto, viaggiatore egli stesso e spettatore allarmato, perché si procede verso una direzione non condivisa, verso l'omologazione prodotta dalla soddisfazione di bisogni indotti, rappresentati con prepotenza cartellonistica, per stare al tema, da un mucchio di rifiuti ingombranti e indistruttibili, prodotti da una società che consuma e si consuma senza prospettive, della quale anche una moderna Eva tentatrice, oggetto di mercimonio, è parte integrante.
Se il dipinto trovasse qui la sua conclusione rivelerebbe un pessimismo senza speranza ma, sulla sinistra della tela, la maternità piú luminosa che Scivales abbia mai dipinto indica e segnala fortemente una società che per crescere deve confrontarsi con l'esercizio dei valori, della libertà e della responsabilità.

Nota sulla figura del maestro Armando Scivales redatta da Maria Pia Pettinau Vescina
- L'immagine nel testo è riferita al dipinto "Donne Salentine" (1970).

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