Durante i lavori di restauro effettuati in occasione
dell’ultimo sacro giubileo interessanti
la chiesa della Madonna della Misericordia
in territorio di Mesagne, collaboravo con il sacerdote
Francesco Campana nella raccolta di materiale
fotografico e di archivio.
Il lavoro conclusivo della ricerca: La Madonna
della Misericordia - Santuario del Capitolo e
del Popolo di Mesagne, vide la luce nell'anno
2002 per i tipi della Neografica di Latiano. Nel
testo due immagini rimandano a una lastra di pietra,
in parte mutila, ritrovata durante i lavori di
ristrutturazione nei locali adiacenti al lato
est della chiesa [1].
A un’attenta osservazione le due immagini
rivelano dettagli di grande interesse, interpretabili
attraverso indizi che potrebbero considerarsi
rivelatori di un’affascinante ipotesi.
La lastra in oggetto, di forma pentagonale, è
collocata, con la parte terminante a punta, su
un largo mattone con funzione di base; nella parte
superiore è fissata, con un chiodo, a parete.
Chi ha preferito questa soluzione ha ritenuto
che sulla lastra fosse stata scolpita una pianta
con alcune foglie, forse anche dei fiori, con
radici pulite ben esposte in evidenza.
Capovolgendo l’immagine si nota come la
base divenga più regolare. Ha un abbozzo
di terreno su cui poggia in modo stabile quello
che è stato interpretato come un fiore;
la sua base porosa o bucherellata è inglobata
da uno stelo a forma di Y capovolto che va a collegarsi,
unitamente ad altri due elementi che non toccano
la base, a un rettangolo che a sua volta sostiene
una lastra dalla quale si dipartono nove braccia.
Tutta la figura è ora iscritta in un triangolo
i cui lati unendosi in punta costringono le braccia
a restringersi a loro volta, seguendone i contorni
e assumendo tale conformazione.
Si può formulare l’ipotesi che ci
si trovi di fronte alla rappresentazione di un
candelabro ebraico a nove braccia, a differenza
della menorah sinagogale a sette braccia, detto
chanukiah acceso durante la festa di
Hanukkah, festa della Dedicazione
o delle Luci.
Busi rileva:
"La Bibbia
narra che Salomone, assieme agli altri arredi
del Santuario, fece fare… i candelieri
d'oro finissimo, cinque a destra e cinque a
sinistra, dinanzi al Santuario, i fiori, le
lampade, gli smoccolatoi d’oro (1Re
7,49). Il passo parallelo del libro delle Cronache,
non nomina alcun dettaglio circa la loro realizzazione
ma afferma genericamente. Nel 587 (o 586) a.C.
il primo Santuario fu demolito ad opera dei
babilonesi che avevano preso Gerusalemme e sconfitto
il re Sedecia. Verso la fine dello stesso secolo,
dopo che i persiani erano subentrati ai babilonesi,
si era potuta intraprendere, pur tra sospetti
e difficoltà, la ricostruzione del Tempio;
fu allora che il profeta Zaccaria introdusse
il candelabro in una delle sue visioni, offrendone
una complessa interpretazione che combinava
elementi del primitivo simbolismo vegetale con
spunti astrali e con una allegoria di carattere
storico” [2].
Zaccaria narra:
L'angelo
che mi parlava venne a destarmi, come si desta
uno dal sonno, e mi disse: "Che cosa vedi?".
Risposi: "Vedo un candelabro tutto d'oro;
in cima ha un recipiente con sette lucerne e
sette beccucci per le lucerne. Due olivi gli
stanno vicino, uno a destra e uno a sinistra"
[3].
L’angelo spiega la visione:
Le sette lucerne
rappresentano gli occhi del Signore che scrutano
tutta la terra". Quindi gli domandai: "Che
significano quei due olivi a destra e a sinistra
del candelabro? E quelle due ciocche d'olivo
che stillano oro dentro i due canaletti d'oro?".
Mi rispose: "Non comprendi dunque il significato
di queste cose?". E io: "No, signor
mio". "Questi, soggiunse, sono i due
consacrati che assistono il dominatore di tutta
la terra" [4].
Nel secondo Santuario si usò,
forse, un’unica menorah, sebbene
la documentazione letteraria a questo proposito
sia tardiva e non sempre omogenea. Di un solo
esemplare si parla nel primo libro dei Maccabei:
Poi presero
pietre grezze secondo la legge ed edificarono
un altare nuovo come quello di prima;
restaurarono il santuario e consacrarono l'interno
del tempio e i cortili; rifecero gli arredi
sacri e collocarono il candelabro e l'altare
degli incensi e la tavola nel tempio.
Poi bruciarono incenso sull'altare e accesero
sul candelabro le lampade che splendettero nel
tempio [5].
L’esegesi rabbinica insisté
sul carattere unico e inimitabile del candelabro
usato nel Tempio, che non doveva essere in alcun
modo replicato. Questa interpretazione, avviata
in età tardo antica, e l'esclusione della
menorah dalla liturgia sinagogale e domestica,
spiega probabilmente la relativa rarità
di lampade a sette braccia tra i manufatti ebraici
e il prevalere dell'oggetto in raffigurazioni
bidimensionali di carattere puramente simbolico.
Nel corso dei secoli, alcuni dei significati propri
della menorah del Tempio, furono trasferiti in
due oggetti di largo impiego nella consuetudine
religiosa giudaica: la lampada accesa nell’occasione
della festa di Hanukkah e il ner
temid.
Nel corso della festa, memoria
della riconsacrazione del Tempio occorsa il 164
a.C., è abitudine accendere ogni giorno
uno dei lumi del candelabro composto di otto luci,
più solitamente una nona, detta shamash,
che serve per recare la fiamma alle altre. Quest'uso
è attestato almeno dalla fine del I secolo
e sarebbe derivato dal prodigio avvenuto al momento
della riconquista del Tempio da parte delle truppe
degli Asmonei: i soldati ebrei giunti nel Santuario,
avrebbero trovato una minima quantità di
olio bastante per illuminare la menorah
solo per un giorno. Grazie a un miracolo, esposto
nel Midrash, però, quel poco bastò
a mantenere acceso il lume sacro, che non doveva
mai, per nessuna ragione, essere spento perché
testimonianza della vigile presenza e della fede
del popolo in Dio, per otto giorni.
Scrive Busi:
"Quando
i Greci penetrarono nel Tempio, contaminarono
tutto l'olio che vi si trovava. Allorché
il partito degli Asmonei ebbe la meglio e conseguì
la vittoria, si esaminarono le scorte ma si
trovò che solo un'ampolla, con l'olio
per il sigillo del sommo sacerdote, non era
stata impura. Il contenuto sarebbe bastato ad
accendere il lume per un solo giorno, ma avvenne
un miracolo e durò per otto giorni; l'anno
successivo si indusse, pertanto, una festa di
otto giorni" [6].
La durata fu fissata in analogia
con la ricorrenza di Sukkoth, la più
lunga fra quelle stabilite della Torah.
Durante questo periodo in ogni casa ebraica sono
accese luci, in memoria del miracolo e celebrazione
della vittoria della fede, vicino a finestre perché
i passanti le vedano, gioiscano e ne traggano
un monito: non solo la vita del prossimo è
sacra, ma anche i suoi ideali. Su rigide prescrizioni
il sacro candelabro era stato modellato:
“Farai
anche un candelabro d'oro puro. Il candelabro
sarà lavorato a martello, il suo fusto
e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi
e le sue corolle saranno tutti di un pezzo.
Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci
del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro
dall'altro lato. Vi saranno su di un braccio
tre calici in forma di fiore di mandorlo, con
bulbo e corolla e così anche sull'altro
braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo,
con bulbo e corolla. Così sarà
per i sei bracci che usciranno dal candelabro.
Il fusto del candelabro avrà quattro
calici in forma di fiore di mandorlo, con i
loro bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto
i due bracci che si dipartano da esso e un bulbo
sotto gli altri due bracci e un bulbo sotto
i due altri bracci che si dipartano da esso;
così per tutti i sei bracci che escono
dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci
saranno tutti di un pezzo: il tutto sarà
formato da una sola massa d'oro puro lavorata
a martello. Farai le sue sette lampade: vi si
collocheranno sopra in modo da illuminare lo
spazio davanti ad esso. I suoi smoccolatoi e
i suoi portacenere saranno d'oro puro. Lo si
farà con un talento di oro puro, esso
con tutti i suoi accessori” [7].
Adolfo Locci, rabbino capo di
Padova, rileva:
“Con
queste parole il Signore inizia l’illustrazione
del progetto della Menorah. Ben Ish
Chay (Yosef Chayym di Bagdad 1832-1909) spiega
che la Menorah è oggi simboleggiata dalla
Amidah che recitiamo tre volte al giorno.
La recitazione dell’Amidah è
uno degli strumenti per restaurare la Shekhinah,
la presenza divina che, come la Menorah,
deve essere: di “oro puro” –
cioè recitata con espressione chiara
e senza errori; “tutta di un pezzo”
– detta in un’unica composizione,
senza interruzioni, compresi il “piedistallo”
(le preghiere di supplica che seguono la Amidah)
e il “fusto” (le benedizioni che
la compongono). “I suoi calici”
rappresentano le singole lettere e parole che
formano benedizioni; “i suoi boccioli”
simboleggiano il luogo del pensiero dell’uomo
che deve esprimersi nella recitazione dell’Amidah;
“i suoi fiori” sono le aggiunte
che i Maestri hanno permesso di fare all’interno
delle benedizioni; “da essa saranno”
indica che le aggiunte, per essere accettate,
devono essere all’interno del contesto
della benedizione. Ben Ish Chay sembra dirci,
svelando questa simbologia nascosta, che quando
recitiamo l’Amidah, è
come se stessimo davanti la Menorah,
anzi, come se noi stessi fossimo una Menorah”
[8].
Il candelabro a sette bracci
usato nel tempio era acceso ogni sera dai kohanim,
sacerdoti; al mattino era ripulito sostituendo
gli stoppini e mettendo altro olio d'oliva nelle
coppe. La menorah a nove bracci usato nelle celebrazioni
di Hanukkah di solito riprende il modello
di questa menorah, perché celebra
il miracolo dell'olio sufficiente per un giorno
che in questa menorah durò otto giorni.
Sebbene nella festa di Hanukkah
si possa cogliere una concomitanza, per lo meno
temporale, con le celebrazioni del solstizio d'inverno,
diffuse in varie tradizioni antiche, la leggenda
dell'olio prodigioso istituisce una continuità
simbolica tra gli otto lumi della chanukiah
e la menorah del Tempio, come se il cerimoniale
ieratico fosse stato, almeno in parte, trasposto
nel candelabro domestico.
Il ner tamid, letteralmente "luce
perpetua" “luce continua" anche
tradotta come “fiamma eterna”, parte
del corredo sinagogale, singolo lume, di solito
pendente dal soffitto, mantenuto sempre acceso
di fronte all'armadio sacro, simboleggia la menorah.
In età medievale, con l'affermarsi del
lessico cabbalistico, l'immagine della menorah
si arricchì di un significato connesso
alla dottrina dell'albero della vita.
Una corrispondenza mistica tra
la menorah del Tempio e la lampada di Hanukkah
è proposta da Joseph ben Abraham Gikatilla
(1248 – post 1305) in Sha'are Orah,
o Sefer ha-Orah 8, che approfondisce
il legame con le dieci sefirot.
Resta da scoprire come questo rilievo si trovi
o sia arrivato a Mesagne. La chiesa della Madonna
della Misericordia fu eretta ai primi del
XVI secolo su preesistenze legate all’ambito
monastico a vantaggio dei pellegrini in transito
sull’importante arteria che da Napoli conduceva
a Lecce e a Otranto.
La ricerca continua.
Mesagne 7 gennaio 2013 - San
Raimondo.
Foto Antonio Pasimeni
(clicca per ingrandirle) |
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Chiesa della Madonna della Misericordia.
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