Il
Martedì Santo del 1598, il 17 marzo, una
povera contadina, pregando davanti a un’edicola
mariana, “vidde con sua gran maraviglia,
e stupore, che scorreva dalla faccia di quella
miracolosa figura in abbondanza il sudore”.
A seguito anche di guarigioni ritenute miracolose
si decise di costruire una chiesa la cui fabbrica
fu probabilmente avviata a opera del copertinese
Evangelio Profilo (1571-1655), excellens faber,
ricostruttore della chiesa del Rosario in Copertino,
autore della chiesa di Santa Maria degli Angeli
del convento dei Cappuccini di Scorrano. Fu essa
proseguita da Michele Profilo, di famiglia copertinese
trasferitasi a Mesagne; l’impianto, a croce
greca, ben visibile anche dall’esterno,
sarebbe stato ultimato nel 1605. Va esso compreso
in una rete di riferimenti che va dal 1573, considerato
per la chiesa del Crocefisso di Brongo
a Muro Leccese, al 1650 per Santa Maria dell’Abbondanza
di Cursi, al 1670 per il San Vito di
Lequile, al 1691 per il San Giovanni Battista
di Lecce. La cupola maiolicata su tamburo, invece,
sarebbe stata innalzata molto più tardi,
a partire dal 1688. A tale scopo in quell’anno
l’arcivescovo Francesco Ramirez (1689-97)
costituì un’apposita confraternita,
composta da contadini, detta degli Schiavi di
Maria, che supervisionò i lavori e si prodigò
per reperire i mezzi finanziari per la grande
impresa. Il pio sodalizio ebbe cura di solennizzare
l’annuale festa, nella domenica successiva
la Pasqua: “mercé alla loro puntualissima
diligenza la festa annuale si fa con gran splendore,
e magnificenza, concorrendovi anche moltissimi
forestieri, non solo da vicini, ma anche da lontani
paesi”.
Si
può ritenere che nella progettazione abbia
avuto ruolo non secondario Salvatore Miccoli di
Lequile (Le), esperto nella costruzione di edifici
a pianta centrale con cupola. Le peculiarità
formali della pianta e dell’alzato sino
all’imposta del tamburo trovano non casuali
riscontri nel coevo panorama salentino. Nella
cupola chiaro pare il riferimento, come avviene
in tutto il Salento, alla tradizione napoletana
per le paraste che terminano con volute, le finestre
timpanate per il tamburo, l’estradosso solcato
da nervature che finiscono sulla lanterna.
La pianta del santuario è inscritta in
un quadrato i cui assi medi coincidono con i quattro
punti cardinali e simboleggiano la croce e il
sacrificio del Cristo; l’impianto centrale,
il cilindro e la cupola rappresentano l’ascensione
verso la volta celeste.
Le articolazioni spaziali interne si compongono
di quattro bracci con brevi volte a botte, terminanti
a mo’ di catini con volte brindisine. Al
centro il tamburo, con otto paraste e altrettante
finestre, libera nell’aria l’intradosso
suddiviso in otto vele culminanti alla base della
lanterna, situata all’altezza di m. 30.
La facciata trovò definizione nell’occasione
della costruzione della cupola; come quella è
modulata sul ritmo del sei e come quella raffrontabile
al San Vito di Lequile, realizzato dal Miccoli;
fu allora costruito l’elegante fastigio
curvilineo. Il portale è inquadrato fra
due colonne con capitelli ionici.
Sopra il cornicione partigiano è un’ampia
finestra; due statue sono in corrispondenza delle
colonne e altre due nelle nicchie sui riquadri
laterali della facciata al piano terra.
All’interno della chiesa
sono dipinti di pittori locali denotanti risonanze
con le scuole nazionali di quel periodo.
Sull’altare
maggiore, di stile barocco, troneggia la medievale
icona della Vergine Mater Domini, ridipinta dal
pittore mesagnese Gian Pietro Zullo (1557-1619)
sull’aura suscitata dal miracoloso rinvenimento.
Nei quattro pinnacoli, fra l’imposta del
tamburo e gli archi maggiori, sono riprodotti
i quattro evangelisti: San Matteo, San Luca, San
Marco e San Giovanni, di autore ignoto, che riproducono
con fedeltà quelli dipinti dal Domenichino
nella chiesa di Sant’Andrea della Valle
a Roma.
All’ingresso principale si conservano due
tele realizzate, nel 1954, dal pittore mesagnese
Francesco Rizzi: lo Sposalizio della Vergine e
la Sacra Famiglia.
Nelle lunette dei portali nord e sud sono settecentesche
tele di autore ignoto d’ambito meridionale:
l’Assunzione e l’Annunciazione.
La secentesca tela della Pietà, di bottega
salentina, come stile, si colloca all’interno
delle direttive emanate dopo il concilio di Trento.
Altre opere arricchiscono l’interno della
chiesa quali l’Incredulità di san
Tommaso, attribuita al mesagnese Gian Pietro Zullo
(1557-1619), l’Apparizione della Vergine
a San Biagio, di settecentesca bottega pugliese,
il Martirio dei Santi Cosma e Damiano, forse di
Domenico Pinca (1740-1813), il Cristo Morto, il
Padre Eterno, la Santa Lucia di settecentesche
botteghe salentine.
Alcune ripropongono immagini desunte da Raffaello,
probabilmente ideale maestro di alcuni artisti
operanti a Mesagne. Il San Francesco d’Assisi
scolpito in pietra a tutto tondo, proveniente
dall’ex convento dei Cappuccini, è
opera dei primi del ‘600 di artista ancora
legato a stilemi rinascimentali.
Testo
di Elisa Romano
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