Fu intorno alla cappella di
San Marco, oggi adiacente il cimitero completato
il 1872, che si sviluppò, ai margini di
un itinerario che da Oria per Valesio muoveva
verso Otranto, il primo abitato di Cellino. Era
la chiesetta dipendenza della grande abbazia benedettina
di Sant’Andrea dell’Isola di Brindisi
e forse centro monastico di rito greco.
Dell’edificio
medievale rimane, secondo il Gambardella, “una
parte di uno solo dei muri laterali, e precisamente
quello rivolto a Occidente. In questo si possono
vedere tre nuclei di costruzione diversi. Il primo,
formato di grosse pietre cementate con calcina
e bolo rosso, corre dalla base del muro stesso
e non oltrepassa la cornice architravata di quella
porta che su di esso un tempo s’ apriva.
Questo per me sarebbe il più antico, come
la porta in parola, per alcuni caratteri di somiglianza
con una della badia di Cerrate, potrebbe essere
quella dell’antica grancia che s’apriva,
forse, sulla vecchia carrozzabile Cellino-Brindisi.
Gli altri due, composti di pietra tufacea, sarebbero
molto posteriori e corrisponderebbero a due rifacimenti
della chiesetta antica, l’uno nel 1213,
l’altro, nel 1716. La data 1213, “incisa
sul pavimento” ma non più visibile
già nel 1927, potrebbe indicare il termine
di passaggio dal cenobio brindisino all’abbazia
di Santa Maria di Cerrate.
L’intervento completato il 1716 fu, di fatto,
ricostruttivo dato che della primitiva cappella
permanevano nel 1693 solo due muri “ e questi
erano così imbrattati che non si sapeva
se avessero fatto parte di una stalla, oppure
di una chiesa”. La ricostruzione della chiesa
si volle avvolta nell’aura del miracolo.
La spinta all’intrapresa edilizia sarebbe
stata offerta dal miracoloso rinvenimento di una
nicchia con l’effigie di San Marco da identificare,
secondo il Gambardella, con quella che è
“al di sopra della porta d’ingresso
della chiesetta” in cui pure si conserva
la statua, in gesso, del santo. Questi, secondo
un’altra versione, avrebbe convinto i cellinesi
che passavano da quelle parti a versare un obolo
o del materiale di carpenteria per la ricostruzione.
Si tratta di una memoria che si fonda sull’uso
diffuso, nel caso di costruzioni di chiese, di
contribuzioni collettive attraverso la corresponsione
di danaro, giornate lavorative o materiali. Il
culto di san Marco si può pensare introdotto
attraverso la mediazione culturale di Venezia
presente nel basso Adriatico con le sue navi e
i suoi mercanti già nel IX secolo; all’829
si data il trasporto del corpo di San Marco da
Alessandria d'Egitto a Venezia. Nell’832
si ha la consacrazione della prima chiesa di San
Marco il cui impianto planimetrico pare riproposto
nella cripta dei santi Crisante e Daria in Oria
voluta dal grande vescovo Teodosio (865-95).
La facciata si presenta divisi in due ordini tripartiti
da paraste in quello inferiore e da due lesene
nell’altro superiore che nella sua parte
centrale si pare una nicchia in cui è l’antica
statua in gesso di San Marco; un timpano è
a coronamento di quest’ordine completato
da due volumi architettonici a pianta quadrata,
tetto piramidale e aperture frontali ad arco a
tutto sesto. I restauri intervenuti negli anni
’50 e ’80 del XX secolo hanno ridisegnato,
come rilevarono Dell’Atti e Rizzello, il
complesso. Nel 1986 Ilio Dell’Atti rilevava:
“Sono state cancellate quelle linee che,
sottili, producevano l’ornato di facciata:
si convertivano in linee-forza all’altezza
dei matronei, si addensavano in grumi, si assottigliavano
in dosate riquadrature per poi esplodere con intenso
lirismo, espressione di un rapporto col mondo,
nella plastica tormentata dell’altare che
consacra nell’horror vacui l’ansia
esistenziale dell’artista. Le figure dei
santi, ai due lati di esso, a metà altezza,
placano, più quiete, la ricerca dell’assoluto”.
L’interno, ad unica navata, termina con
l’area presbiterale dove è l’altare
maggiore che, rileva ancora Dell’Atti, “raro
e prezioso, può figurare in un libro d’arte”.
Per Enzo Gambardella è “un misto
di foglie, di frutti, di uccelli, di angeli, di
mostri, e può dirsi una delle più
strane bizzarrie del barocco nel secolo XVII.
Tali caratteri presentano anche le due colonnine
che sorreggono la parte superiore dell’altare
e che recano rispettivamente nel mezzo le due
iscrizioni SOLI DEO – DIVO DEO. Tra queste
vedesi un quadro che rappresenta san Marco circondato
dagli angeli”. Rileva ancora il Gambardella:
“Al di sopra di questo, sorrette da due
cariatidi poggianti sulle colonnine di cui abbiamo
parlato, si vedono scolpite in pietra le immagini
di santa Susanna e di santa Lucia e, in mezzo
ad esse, un affresco della Beata Vergine Immacolata,
dipinto nel secolo scorso [XIX] per coprire la
sagoma di un finestrone che, insieme con gli altri
due laterali, si apriva nella casetta dell’eremita”
ossia del custode. Ai lati dell’altare sono
presenti le statue dei santi Antonio e Paolo.
Si viene a proporre, in tal modo, una sintesi
quasi delle devozioni proprie di centri limitrofi
quali Erchie e Torre Santa Susanna. Nel secondo
arco-nicchia sulla destra della navata è
la statua processionale di San Marco, in legno
policromo, di bottega veneziana. Resa irriconoscibile
quasi per i pesanti interventi subiti in passato,
è attribuibile al XVIII secolo ed era inserita
in un altare, demolito come l’altro che
lo fronteggiava, voluto nel 1874 da Giuseppe Bolognini
sostitutivo di altro realizzato il 1716. Il santo
è rappresentato secondo la consueta sua
iconografia ovvero con ai piedi un leone. La stessa
rappresentazione era proposta nell’olio
su tela che il mandurino Diego Oronzo Bianco (1683-1767)
dipinse nel XVIII secolo perché avesse
collocazione sull’altar maggiore. La chiesa
è meta di pellegrinaggio, come rileva Francesco
Spina “durante le due feste che si celebrano
rispettivamente ad aprile e a luglio”.
Bibliografia
essenziale:
• E. GAMBARDELLA, Cellino San Marco,
brevi cenni storici, Palo del Colle –
Fasano: Premiato Stabilimento Tipografico Michele
Liantonio, 1927
• F. SPINA, Storia di Cellino San Marco
dal medioevo all’età moderna,
Cellino San Marco: Arti Grafiche Stella, 1985
• I. DELL’ATTI, Un’ipotesi
di restauro conservativo: la cappella di San Marco,
in “Celinum” 4 (1986), n.4, p.12
• A. RIZZELLO, Espressioni artistiche
e dintorni. Luci ed ombre, in “Celinum”
4 (1986), n.4, pp. 8-9.
• G. CARITO, Cellino San Marco,
in Santi. Il regno dei cieli raccontato
dalla terra, Supplemento a “Quotidiano di
Brindisi, Lecce e Taranto”, II, Lecce: Astra
Editrice, 1991.
Testo di Antonella Golia
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