Il
convento francescano di Veglie, compreso nella
"Custodia Brundusina" a sua
volta inclusa nella provincia francescana di San
Nicola, si sa fondato il 16 maggio 1579 grazie
al determinante apporto dell’allora civica
amministrazione di Veglie.
Il convento fu edificato su una preesistenza del
XIV sec. e ne fu promotore il padre maestro Francesco
di Oyra ossia di Oria. Fu eretto nei pressi della
chiesa in grotta che, nota come Santa Maria
di Veglie sarebbe più tardi stata
conosciuta come Madonna della Favana.
Il complesso fu ampliato su iniziativa del padre
maestro Tommaso de Cipro tra il XVI ed il XVII
sec. In tale contesto si colloca la radicale ridefinizione
della chiesa annessa, con i suoi noti dipinti
parietali; il portale risale al 1651. Il sacro
edificio, il 1608, era probabilmente ancora incompleto
ma già meta devozionale; in una disposizione
testamentaria del 26 aprile di quell’anno,
il vegliese Scipione Monaco “lascia alla
Santissima Madonna di Veglie de la Chiesa de padri
del Convento di San Francesco d’Assisi altri
ducati 25 con peso di celebrare ogni anno in
perpetuum una messa il mese per l’anima
sua nell’altare privilegiato essendocene,
et non ci n’essendo, dove a loro piacerà”.
Il 30 aprile 1633 la “Sacra Congregatio”
“super negotiis regularium praeposita”,
presieduta dal cardinale Antonio Barberini sr
del titolo di Sant'Onofrio, fratello di Urbano
VIII, stabilì che non si potesse ostacolare
il desiderio di chi voleva essere sepolto in quella
chiesa; segno questo di crescente devozione. Una
relazione dei primi del seicento riassume le vicende
di chiesa e convento:
“ Vigilijs est cenobium extra menia
situm sub titulo et vocabolo Sancte Maria de Vigilijs;
fundator facta est ab ipsamet Universitate, que
omnium consensu et voto dictum Conventum et Ecclesia
ab Illustrissimo et Reverendissimo Bernardino
de Figuerra [Figueroa] Archiepiscopo
Uritano et Brundusino et ob singularem devotionem
ibi Cenobium Patre Maestro Francesco Manisci de
Uria: ampliatum cum studio et industria Patre
maestro Tommaso de Cipro; erectum vero et constructum
elemosinis supradicta Universitatis, ecclesia
est maxime devotionis. In detto Cenobio est P.M.
Angelus de Mitriis de Vigilijs”.
Notevole deve pensarsi l’afflusso di fedeli,
per chiedere grazie contro "il male della
fava", verso la chiesa del convento. Da qui
sarebbe derivato l’appellativo di Favana
proprio sia del complesso conventuale che della
vicina chiesa in grotta. Scrive Luigi Mazzotta:
“L'appellativo Favana si riferisce ad un'immagine
a mezzo busto di una Madonna con Bambino
che si trovava nell'attigua chiesa del convento,
alla quale i fedeli, in epoca precedente al sec.
XVI, accorrevano per impetrare grazie contro "il
male della fava", l'attuale malattia del
favismo. Ciò si evince dalla Platea
del Venerabile Convento di S. Maria della Favana
dei Frati Minori Conventuali in Veglie del 1735”.
Nella Platea si precisa che l'immagine
della Vergine, rinvenuta in una grotta situata
in area boschiva, cui seriormente stato dato l'appellativo
della Favana, sarebbe stata trasportata in una
chiesetta sul sito in cui sarebbe sorta quella
conventuale che l’immagine avrebbe recuperato.
In una relazione del 1847 si rileva: “La
chiesa annessa al convento è in buon essere,
la stessa non ha cura d’anime, né
santuario, ma bastantemente accorsata da fedeli
per un’antica immagine della Vergine che
vi s’adora… I sacerdoti non mancano
alla coltura della chiesa confessando, predicando,
istruendo, ed anche amministrando i sacramenti
alle masserie per incarico avuto dall’arciprete
del paese coll’intesa dell’arcivescovo
diocesano. La chiesa è ben servita ed officiata.
Vi sono due confessori che sono assidui ad amministrare
il sacramento della penitenza; ed un predicatore
quaresimalista”. L'intera superficie della
volta è affrescata con scene della vita
di San Francesco d'Assisi, mentre le quattro lunette
per lato riportano effigi di santi e papi.
Nel 1798, gli "stazianti di detto convento"
erano tutti "di Veglie": l’istituzione
era dotata di un patrimonio ritenuto sufficiente
al fabbisogno dei frati.
Soppressa durante il decennio francese, la struttura
riprese la sua attività nel 1837 con funzione
di ospitalità per i frati in viaggio. Il
21 giugno 1841 fu nuovamente destinata a sede
conventuale compresa nella custodia leccese;
il 28 giugno 1845 vi si celebrò un definitorio
provinciale. Nel 1851 il convento ospitava "4
sacerdoti, 3 fratelli, 1 terziario".
Nuovamente soppresso dopo l'unità d'Italia,
si apre per il complesso il capitolo del degrado
chiuso, per la sola area conventuale, dai restauri
completati il 2003.
Il complesso conventuale ha come elemento centrale
un chiostro quadrato su pilastri ottagonali e
capitelli che sorreggono volte a crociera. In
una relazione del 1847 si precisa: “Il locale
contiene 16 stanze abitabili, oltre le officine,
ed altri sottani: un giardino con muri alti, ed
un cortile compreso nella clausura, la quale è
ben custodita da tutti i punti”. Prima degli
ultimi restauri appariva in buono stato solo l'intero
lato di ponente mentre estremamente precarie si
consideravano quelle dell’ala di mezzogiorno.
Del braccio di levante permaneva appena la prima
campata; la seconda era parzialmente dirute. Delle
altre uniche persistenze potevano considerarsi
le tracce sul fianco della chiesa; evidenti sono
i rimandi alle volte del piano superiore crollato.
In corrispondenza del braccio settentrionale del
chiostro è un grande ambiente coperto a
botte; arconi e lunette segnalano tre aperture
verso l’esterno seriormente occluse per
l’edificazione, in addossamento, di loculi
cimiteriali.
La chiesa, ad unica navata e croce latina, scrive
Luigi Mazzotta, subì ingenti danni nel
corso dei restauri, avviati nel 1982 e presto
interrotti; “ad esempio, fu smantellato
il pavimento originale in cotto, un’antica
scala a chiocciola in pietra dura fu inglobata
in un pilastro di cemento, stucchi settecenteschi
e affreschi furono sfregiati con iniezioni di
cemento senza metodo scientifico, le lastre cinque-seicentesche
dei sepolcri furono buttate come materiale di
risulta, i relativi ipogei furono cementati”.
Miglior sorte e adeguata conclusione hanno fortunatamente
avuto i lavori, consegnati il 22 settembre 2006,
eseguiti dalla “Edilcostruzioni srl”
di Vitigliano (Santa Cesarea Terme) su progetto
redatto dagli architetti Roberto Bozza, Fabia
Anna Cicirillo, Marcello Spagnolo e Francesca
Mazzotta.
Bibliografia
A. CATAMO, Storia di Veglie, Lecce: L’Orsa
Maggiore, 1960.
L. MAZZOTTA , Il convento della Favana,
in “La mia famiglia Parrocchiale”,
aprile 1982.
A. DE BENEDITTIS, La Platea del venerabile
convento di Santa Maria di Veglie o della Favana,
Novoli: Il Parametro Editore, 2005.
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La foto nel testo è di Antonio Schiavone
(clicca sull'immagine
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-> La
Chiesa in grotta
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