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CHIESA NUOVA
Carovigno

Dedicata alla Madonna del Belvedere, la chiesa Nuova deve il suo nome alle vicissitudini storiche, tuttora in parte irrisolte, in quanto la facciata della chiesa superiore non è mai stata completata, che hanno caratterizzato il cantiere incompiuto del monumento. La struttura architettonica della cripta costituisce la parte basamentale del superiore monumento di culto otto-novecentesco. Essa è stata realizzata con tecniche costruttive proprie del cantiere tradizionale salentino, per volere e con offerte provenienti dai fedeli.
L’edificio sorge di fronte al castello normanno-aragonese già dei principi Dentice di Frasso, sulle pendici occidentali del colle sul quale s’elevava l’antico borgo messapico e in prossimità del cimitero comunale. Le strade e i larghi che costeggiano la struttura monumentale sono stati oggetto di un recente intervento di pavimentazione risolto con gradinate lastricate (1996-97); forti salti di quota contraddistinguono i percorsi pedonali e carrabili distribuiti intorno al monumento. Fa eccezione la stretta via Giusti, localizzata sul versante settentrionale. Gli ambienti della cripta e della chiesa sono costruiti quasi a ridosso di questa strada carrabile, sulla quale si affacciano anche abitazioni private di recente costruzione.
Le vicende di questa chiesa s’intrecciano con quelle più generali del comune di Carovigno. Nel 1783 il sindaco Renato Cavallo promuove la costruzione di una nuova chiesa per il suo popolo, cresciuto notevolmente di numero, finanziando l’intrapresa con l’imposizione di una vigesima su olio e grano prodotti nel feudo. Il 6 ottobre 1800 prendono l’avvio i lavori, sulla base del disegno a suo tempo fornito dall’architetto napoletano Mario Gioffredi (1718-1785), con solenne cerimonia celebrata dal vicario foraneo don Vito Cataldo Andriani e discorso pronunciato da Giovanni De Simone, della congregazione della Missione, poi vescovo di Trivento (1821-6) e Conversano (1826-47). La Congregazione della Missione, sorta il 17 aprile del 1625 a iniziativa di san Vincenzo de' Paoli, era stata approvata da papa Urbano VIII il 12 gennaio del 1633. Mario Gioffredi era stato nominato nel 1783 architetto di corte. Tra le sue opere si segnalano, in Napoli, palazzo Partanna (1746), palazzo Cavalcanti (1762), chiesa dello Spirito Santo (1774). Scrisse il trattato Dell'architettura, in due volumi (1768).
Scrive Vincenzo Andriani (1788-1851) nel 1830:
“Poco adatta però la chiesa matrice alla cresciuta popolazione, si cominciò un nuovo tempio più capace; ma siccome dai nostri vecchi senza avvedimento si volle eleggere un sito alla falda del colle al settentrione rimpetto al ruinoso castello, perciò si profusero molte migliaia nella formazione di un soccorpo per avere così il piano. A malgrado di ciò la nuova chiesa va innanzi sul disegno del cavalier Gioffredi. A questo elegante e magnifico edificio si diè principio nel primo anno del corrente secolo, ed in quella occasione monsignor De Simone, allora degnissimo prete della Missione, vi pronunziò analoga eloquente orazione; e la prima pietra auspicale nel giorno 6 ottobre 1800 con pomposa e solenne funzione fu gittata dal vicario Andriani, il quale aveva ancora la cura della parrocchia”.
La scelta del sito, posto alle pendici della cinta urbana antica, impone la costruzione di una ‘scarpa’ artificiale sulla quale fondare la nuova chiesa, composta da murature di notevole spessore e da piloni di pietra, collegati e irrigiditi da strutture voltate composite. Lo sviluppo del cantiere appare sin dalle origini molto complesso. Già nel 1801 viene richiesto ad un ignoto architetto napoletano di modificare il progetto originario, che si presenta ambizioso e staticamente compromesso, di risolvere problemi di natura statica e di completare la costruzione delle strutture voltate, alte, larghe e tipologicamente composite. L'esecutore materiale dell'opera è indicato nella figura del maestro lapicida Michele Ciraci di Ostuni; per finanziare l’opera furono venduti i beni della confraternita del Santissimo Rosario i cui membri nel 1779 erano confluiti nell’altra sotto il titolo del Santissimo Sacramento.
Per tutto il XIX secolo e per buona metà del XX la cripta viene utilizzata come ossario comunale. Dopo il completamento della struttura voltata del coro della chiesa superiore, il cantiere è temporaneamente abbandonato per mancanza di fondi; la struttura rischia perfino di essere rasa al suolo negli anni 1909-1910 ma un gruppo di cittadini si oppone e finanzia la costruzione dell'altare sul quale celebrare le funzioni liturgiche. Finalmente nel 1954, per volere del parroco di Santa Maria Assunta, l’arciprete don Angelo Massaro (1912-80), sostenuto anche dal vicario generale di Ostuni, Orazio Semeraro (1906-91) e dall'arcivescovo di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni, mons. Nicola Margiotta (1954-75) si avanza richiesta di completamento dell’opera alla Commissione centrale d'arte sacra. Dopo aver affidato l’incarico di progettazione all'arch. Cino Mazzotta (1896-1978) di Novoli (Lecce) e di esecuzione alla ditta del signor Luigi Antelmi di Carovigno negli anni 1966-67, si procede alla costruzione dei pilastri e del campanile in cemento armato e della struttura in laterocemento della copertura e del piano di calpestio. Il 17 aprile 1977 il cantiere, ormai finito, viene consegnato alla comunità; il 12 marzo 1978 mons. Settimio Todisco, arcivescovo di Brindisi e amministratore apostolico di Ostuni (1975-1986), poi arcivescovo di Brindisi – Ostuni (1986-2000) consacra l'edificio di culto.
Attualmente esso, sede dal 2007 della parrocchia Santa Maria Assunta, viene utilizzato nella parte superiore come luogo di culto e di preghiera. Gli ampi locali semi ipogei della cripta sono stati resi fruibili al termine dei lavori, condotti su progetto dell’arch. Ilaria Pecoraro, conclusisi con la cerimonia di consegna degli stessi il 29 aprile 2007.

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La foto nel testo e le foto 1, 2 e 3 sono di Giovanni Membola per Uff. Beni Culturali Ecclesiastici
La foto 4 è di Tim Jockl

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Documenti
» Progetto di restauro architettonico nella cripta

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