W LA CALCE!
Per una cultura del 'minimo intervento'
Ilaria Pecoraro
Università degli Studi 'La Sapienza', Roma
Con queste riflessioni non
si vuole esaurire lo studio intorno alla complessa
disciplina del Restauro Architettonico. L'intento
è bensì quello d'invitare il lettore
a prendere coscienza dei valori storici ed estetici
di cui il patrimonio culturale di Ostuni si fa
portavoce affinché, nell'intervenire sulla
preesistenza, ciascuno di noi si senta invitato
ad un atteggiamento responsabile e si ponga il
primario obiettivo di tutelare tali valori, per
tramandarli alle future generazioni senza alterarne
irreversibilmente i caratteri formali e materiali
(Ostuni, 2 marzo 2006).
Il principio del 'minimo intervento'
può trovare un terreno molto fertile nel
progetto di restauro delle strutture murarie salentine,
in particolar modo nell'area dell'Alto Salento
e della Valle d'Itria, in virtù della conoscenza
ancora viva delle tradizionali tecniche costruttive
locali.
Il riferimento
a queste zone non è casuale, poiché
si tratta di territori il cui sottosuolo è
ricco di pietra calcarenitica da cui si ricava
un'ottima calce aerea e il cui suolo fornisce
una terra argillosa, detta uelu, due ingredienti
con i quali ottenere una buona malta legante e
un ottimo latte di calce protettivo. Inoltre,
in queste aree è ancora molto diffusa la
cultura della lavorazione manuale della pietra.
Questa consapevolezza, fondata
su motivazioni che verranno esposte nel seguito,
si è consolidata in chi scrive nel corso
degli ultimi anni: da un lato, dalla presa visione
dei danni materiali, strutturali nonché
formali che gli attuali interventi di pseudo restauro
stanno perpetrando in forma irreversibile su alcuni
monumenti delle zone oggetto d'indagine; dall'altro,
in occasione dello studio delle tecniche costruttive
tradizionali impiegate, senza soluzione di continuità,
dalle maestranze locali di tutti i secoli e documentate
già a partire dal XII secolo.
Ad esempio,
il mosaico dell'albero della vita di Otranto rappresenta
le fasi di costruzione di una muratura isometrica
(v. ANTONACI A., Otranto. Testi e monumenti, Pajano,
Galatina 1955; WILLEMSEN A. C., L'enigma di Otranto.
Il mosaico pavimentale del Presbitero Pantaleone
nella Cattedrale, Congedo, Galatina 1980; MARCIANO
G., Descrizione, origini e successi della provincia
d'Otranto, Congedo, Galatina 1996).
Analizzando gli antichi edifici
e individuando le trasformazioni che questi ultimi
hanno subìto nel tempo, si rileva come
le attività progettuali eseguite in occasione
d'interventi storici di restauro, strettamente
aderenti alle procedure e ai metodi tradizionali
d'esecuzione, abbiano garantito la conservazione
dei caratteri formali e strutturali dell'opera
antica. Si constatata, in sostanza, una forte
vocazione minimalista dell'intervento stesso.
In molti casi le lavorazioni sono state eseguite
nel passato con tale maestrìa da risultare
non sempre distinguibili dall'originale e comunque
inserite con eleganza formale e con accuratezza
tecnica nelle e sulle preesistenze (come avviene,
ad esempio, sulla facciata medievale della chiesa
dei Ss. Niccolò e Cataldo a Lecce oppure
sul prospetto laterale della Cattedrale di Ostuni).
Al contrario, alcuni recenti interventi di restauro
stanno mettendo a nudo un'architettura spesso
'sfregiata', avulsa totalmente dalla sua originaria
'materia' e 'immagine'.
A tale proposito Cesare Brandi
distingue nella 'materia' la 'struttura' e 'l'aspetto'
dell'opera d'arte, e definisce la materia quale
'epifania dell'immagine'; (v. BRANDI C., Teoria
del restauro, Edizioni di storia e letteratura,
Roma 1963, seconda edizione, Einaudi, Torino 1977,
pp. 3-20; v. anche CARBONARA G., Trattato di restauro
architettonico, Utet, Torino, 1996, vol. I, pp.
3-16.
Ci si riferisce, in particolar
modo, alla tendenza molto diffusa di stonacare
integralmente le murature nate per essere protette
dalla malta di calce aerea.
Questa scelta progettuale, anche quando scaturisce
da una rigorosa e sofferta valutazione scientifica
del caso di studio, detta metodologie d'intervento
per il restauro delle superfici che appaiono di
difficile controllo, anche per gli specialisti
della materia. Il più frequente risultato
di tali operazioni è il decorticamento
delle superfici delle murature a sacco o di pietrame,
la contemporanea e irreversibile perdita di scialbature
antiche e originali, di intonaci talvolta di ottima
fattura, oltre a un aspetto finale esteticamente
discutibile.
Queste esperienze, per altro, creano forme acritiche
di 'mode compositive' che, facendo scuola a livello
locale, promuovono e ispirano ulteriori interventi
di pseudo 'restauro', di 'ripristino', di 'recupero',
consumati indistintamente sulle emergenze architettoniche
ma anche su interi tessuti storici urbani.
Ci si riferisce, ad esempio, ad una prassi oramai
divenuta regola inderogabile nei centri storici
del Salento, di evidenziare l'apparecchiatura
muraria di cantonali non sempre nati per essere
esposti alla nuda vista, trattandoli 'sottosquadro'
per giunta, vale a dire annegandoli all'interno
di strati di malta dallo spessore debordante rispetto
quello della soluzione d'angolo.
Il risultato è deleterio
e invoca deliberatamente una forte denuncia, affinché
se ne limitino gli effetti e si diffonda una diversa
cultura della progettazione dell'intervento di
restauro sulle preesistenze storiche.
Il progetto di restauro dovrebbe essere identificato
nelle attività di periodica cura materiale,
di attenzione formale e di manutenzione strutturale
delle murature e delle volte in pietra calcarenitica
se, formulato alla luce dei principi della teoria
del restauro storico-critico, nella sua più
pura accezione, fosse considerato ATTO PROGETTUALE
a tutti gli effetti, rispettoso della PREESISTENZA
MATERIALE del monumento architettonico e non scevro
di SCELTE COMPOSITIVE CRITICAMENTE VAGLIATE.
Per raggiungere tale obiettivo
è indispensabile conoscere profondamente
la storia dell'architettura locale sulla quale
intervenire, focalizzando l'attenzione sulla lettura
diretta del monumento, primo documento materiale
di se stesso. Solo a seguito di questa lettura
sarà possibile definire le problematiche
specifiche da risolvere mediante l'intervento
di restauro architettonico.
Infatti, un buon progetto di restauro può
essere sviluppato innanzitutto attraverso una
meticolosa lettura storico-critica dell'architettura,
fondata sul suo rilievo non superficiale e ispiratrice
di operazioni anche di semplice cura manutentiva
della materia (ad esempio mediante la pulitura
meccanica con spazzole di saggina delle superfici
lapidee, la protezione reversibile ed efficace
di una buona 'scialbatura', la sostituzione localizzata
di conci degradati dai vacuoli o fessurati, le
operazioni chirurgiche puntuali).
Per fare questo è altrettanto necessario
conoscere e adoperare gli attrezzi, le procedure
di lavorazione, di messa in opera e di finitura
della materia, propri della tradizione costruttiva
locale, tuttora praticate sul territorio in misura
moderata ma sufficientemente corretta da anziani
maestri lapicidi.
Alla luce di quanto si sta compiendo nel centro
storico di Ostuni, con operazioni che tradiscono
i postulati basamentali della Teoria del restauro
modernamente inteso, sorge spontaneo l'invito
a rispettare maggiormente i monumenti architettonici
e artistici di questa città, sia singoli
e singolari (le chiese, i conventi, i palazzi
antichi, le mura e le porte urbiche), sia costituenti
il connettivo del tessuto storico urbano (le unità
abitative del rione Terra e dei rioni sei-ottocenteschi),
affinché ogni intervento sulla preesistenza
nasca sulla base di un progetto di RESTAURO discreto
e, pertanto, quasi impercettibile, votato all'applicazione
dei principi del 'minimo intervento' e nato dalla
collaborazione scientifica di molteplici figure
specialiste della materia, e dei cittadini, primi
e principali fruitori di questi beni culturali.
Ci si auspica che la promozione di un simile dibattito,
intorno al tema della sensibilità nei confronti
della tutela del patrimonio storico-artistico,
possa favorire la diffusione di una nuova cultura
della conservazione, consapevole e militante.
Foto (Ilaria Pecoraro 2005)
1. 'Scialbatura' tradizionale di una superficie
muraria antica, compiuta miscelando grassello
di calce e acqua, secondo le proporzioni di ricette
tradizionali, Vado Aperto, Ostuni (Brindisi) (sec.
XVIII).
2. Esempio di cantonale restaurato impropriamente,
rione 'Terra', Ostuni (sec. XIV-XV).
3. Esempio di rimozione integrale dello strato
di malta ricoprente una muratura a sacco, composta
da pietrame e malta a base di terra e calce, a
seguito di un recente intervento di restauro,
chiesa della Madonna degli Angeli detta 'i Cappuccini',
Ostuni (sec. XVI-XVII).
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