«Cultura
non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma
è la capacità
che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi
teniamo,
i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza
di sé e del tutto,
chi sente la relazione con tutti gli altri esseri (...)
Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque...»
Antonio Gramsci
Martedì 28 novembre alle ore 18.00 il
foyer del teatro Giuseppe Verdi di Brindisi ospiterà
la presentazione del libro La cultura non basta di Luigi De Luca,
appena uscito per Edizioni dell'Asino, casa editrice coordinata
da Goffredo Fofi. Lautore, dopo gli studi in semiologia
a Bologna, sceglie di tornare in Puglia dove approda alla carriera
pubblica. Si è occupato di teatro, cinema, musei, biblioteche
e cooperazione euro-mediterranea. La gestione del patrimonio culturale
in una prospettiva di cooperazione territoriale è il campo
nel quale si colloca il suo impegno attuale.
Il libro indaga la storia di quella che è
l'industria culturale, e di come la stessa abbia fornito ai mercati
strumenti di manipolazione della volontà dell'uomo. La
più grande trasformazione sociale che l'umanità
ha vissuto è stato il crollo delle comunità locali,
determinato dalla rivoluzione industriale e dall'avanzata del
capitalismo. Lo stato e il mercato hanno soppiantato i tradizionali
legami di solidarietà costitutivi della comunità.
Lo stato attraverso i suoi funzionari e il mercato attraverso
la propaganda hanno ridisegnato l'universo dei bisogni e delle
aspettative di una umanità privata degli ancestrali punti
di riferimento e trasformata in massa amorfa. L'industria culturale
fornì ai mercati formidabili strumenti di manipolazione
della volontà degli uomini, così come una nuova
classe di funzionari, docenti, impiegati, assistenti sociali,
tutori dell'ordine costituito accreditavano l'idea che i confini
della società, i bisogni degli uomini come i loro sogni
coincidesse con i confini dello stato. Del resto, già nel
1930 Freud scriveva che l'uomo di oggi, dotato di attributi divini
grazie alle tecnologie industriali, «per quanto simile a
un dio, non si sente felice ». È esattamente questo
che la società iperindustriale infligge agli esseri umani:
privandoli di individualità, li fa diventare greggi di
esseri afflitti dal male di esistere e dal male di divenire, cioè
dalla mancanza di un futuro, con una crescente tendenza alla rabbia.
Bisognerà tuttavia attendere la denuncia del «modello
di vita americano» da parte di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer
con Dialettica dellilluminismo per una vera analisi della
funzione dell'industria culturale, al di là della critica
dei media apparsa fin dai primi del 900 con Karl Kraus.
Per Adorno e Horkheimer le industrie culturali formano un sistema
unico con le industrie tout court; la loro funzione è quella
di plasmare i comportamenti di consumo e massificare il modello
di vita, con l'obiettivo di assicurare lo smaltimento di sempre
nuovi prodotti generati dall'attività economica, dei quali
spontaneamente i consumatori non sentirebbero il bisogno. Si tenta
di contrastare così il rischio endemico di sovraproduzione
e quindi di crisi economica. Si può ancora far riferimento
ad alcuni luoghi della produzione teorica di Gilles Deleuze il
quale, a partire dagli anni 70, riprendendo e sviluppando
le ricerche di Michel Foucault, ha indagato il peso sociale e
politico che la comunicazione e il controllo assumono nel mondo
contemporaneo. Analisi che, per alcuni aspetti, si è rivelata
profetica e a cui si è accompagnata, di pari passo, lelaborazione
di una strategia di resistenza che potremmo definire definiamo
come una politica della creazione.
Il riparo cauto nelle case e dietro le mascherine
non è bastato contro lo spaesamento e la paura che ha colto
la gente durante la recente pandemia. Dopo aver percepito lincertezza
di come sarebbe diventato il mondo, le persone ne sono venute
fuori davvero migliori, come tutti speravano? È mancato
un antidoto per lisolamento, un immaginario possibile e
sostenibile per lanimo umano, un sentirsi comunità
capace di dare risposte collettive alle attese di futuro.
Si tratta di un libro contro lindustria
della cultura per unarte capace di fare comunità.
In questa prospettiva il teatro riveste un ruolo centrale. Come
scrive ancora De Luca «leterno e immateriale presente,
al quale ci condannano la civiltà delle immagini e la simultaneità
della cultura digitale, ha bisogno del teatro come esercizio di
memoria collettiva ed esperienza fisica e della vicinanza dellaltro,
elementi imprescindibili della vita». Un rimando possibile,
nel senso indicato da De Luca, è già nellattività
dellOdin teatret diretto da Eugenio Barba.
Questo incontro ha di conseguenza come obiettivo
una riflessione profonda sull'industria culturale, la forza delle
comunità e i bisogni dell'essere umano, riproponendo un
forte ruolo della cultura nel progettare una visione di città
dialogante e protagonista del proprio sviluppo socio-economico
e turistico.
Ritorna qui un esplicito riferimento a Gilles
Deleuze, che, di fronte allavvento inesorabile delle società
di controllo, il cui strumento principale è il marketing
e lobiettivo è la modulazione delle soggettività
nella transizione economico-politica, «non è il caso
di avere paura, né di sperare, ma bisogna cercare nuove
armi».
In occasione della presentazione del testo,
dialogheranno con l'autore il sindaco Giuseppe Marchionna e il
sociologo e operatore culturale Emanuele Amoruso. Introdurrà
lincontro Giuseppe Marella.della Società di Storia
Patria per la Puglia.
Il ricavato della vendita del libro è
destinato allonlus Huipalas che a Kijiji, in Kenia, coltiva
il sogno di una comunità per larte e la cultura.
PROGRAMMA
Introduce i lavori
Giuseppe Marella Società di Storia Patria per la Puglia
Dialogano con lautore
Giuseppe Marchionna Sindaco di Brindisi
Emanuele Amoruso Sociologo e operatore culturale
Patrocinio
Comune di Brindisi
Organizzazione
Fondazione Nuovo Teatro Verdi Brindisi
Società di Storia Patria per la Puglia Sezione di
Brindisi
In_Chiostri Brindisi
History Digital Library - Brindisi