Dialogheranno Tommaso Urgese, autore del lavoro
di ricerca, Domenico Urgesi e Giacomo Carito col concorso dei
soci presenti.
Girolamo Bax (Faggiano o Grottaglie, 1684 – Francavilla
Fontana, 17 agosto 1739 o come più probabile 1740), figlio
di Pietro e di Argentia Salicati, visse a Francavilla Fontana
e si formò culturalmente a Napoli dove, con l'appoggio
economico del marchese Michele Imperiali, poté studiare
medicina e per qualche tempo esercitò anche la professione
medica. Nel 1713 sposò sua cugina Angela Bax, dalla quale
ebbe un'unica figlia, Camilla. Si spense all'età di 55
anni. Bax è noto come autore della farsa pastorale in vernacolo
salentino intitolata Niccu Furcedda, in tre atti. L'opera rimase
ignota per 160 anni, fino a quando lo storico Pietro Palumbo la
pubblicò nella sua Storia di Francavilla, edita a Lecce
nel 1869-70 e una seconda nel 1912-14; seguì quella di
Rosario Jurlaro nel 1964, quella di Ciro Santoro nel 1985 e infine
l’edizione critica di Mario Marti nel 1994. Dell’opera
s’interessò, il 1991, M. D’Elia (Due voci attestate
nella farsa pastorale salentina "Nniccu furcedda" di
Girolamo Bax); Donato Valli, nella sua Storia della poesia dialettale
nel Salento (Congedo Editore, 2003) ritenne che la data più
probabile di composizione della commedia fosse quella ipotizzata
dal Palumbo ossia il 1730, "quando vissero alcuni uomini
che vi sono nominati". Secondo il Palumbo, Nniccu Furcedda
è ispirato caricaturalmente alla figura di un ricco e spilorcio
signore, Giuseppe Scazzeri, proprietario della "masseria
di Fallacchia, nel tenimento di Francavilla" (oggi Villa
Castelli) come recita l'esergo del manoscritto. Il dialetto fa
riferimento a oggetti, costumi, riti propri della cultura antropologica
salentina; la stessa geografia rappresenta un territorio caratterizzato
da un’agricoltura prettamente mediterranea, percorso dalle
serre ("sierri", I, 50), costellato di paesi familiari
alla sua storia: Ceglie ("Cegghiu", 111, 598), Oria
(II, 367) e il suo protettore Sant'Eligio ("Sant'Aloi"),
Veglie ("Vegghi", 111, 599). Forse anche i nomi dei
personaggi che casualmente ricorrono nelle battute hanno dietro
di sé vicende, mestieri, caratteristiche assai noti tra
gli abitanti della città: Cesare il sorciaio, (111, 8),
Giuseppe Pozzessiri falegname (1, 387), Giuseppe Uerciu, lo scemo
del villaggio (Il, 281), Giuseppe Vistila sarto (Il, 538), Uerra
figulo (111, 448). Il radicamento nella vita e nella realtà
agricola e pastorale del Salento è totale ed è del
tutto omogeneo alla funzionalità del dialetto. Particolare
è la forma metrica della commedia, a lungo considerato
scritta in endecasillabi variamente articolati secondo l'andamento
delle battute dei protagonisti e dell'intreccio. Marti dimostrò
che essa è scritta in quel particolare metro che porta
il nome di "gliuommero", forma metrica consistente nell'endecasillabo
con rima al mezzo. Il termine "gliuommero" non si ferma
solo alla natura metrica del racconto, ma coinvolge anche la trama
e la costruzione dell'intreccio scenico mediante il ricorso a
situazioni ambigue, fraintendimenti verbali, scambi di persone,
travestimenti di personaggi come nel caso di Nniccu Furcedda.Questo
"gliuommero", questo intrico di situazioni finisce con
l'attenuare il realismo del racconto, che è tale soltanto
per quanto attiene l'ambiente e il linguaggio, e con l'esaltare
invece la capacità inventiva dell'autore, che si compiace
nel creare scenari di artificio al solo fine di determinare il
riso e il divertimento degli spettatori.