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Storie della nostra storia
24 maggio. Inizio ore 18.00. Accoglienza ore 17.45.
Sala convegni Bastione San Giacomo (Via Nazario Sauro - 72100
Brindisi)
XII Movimento
"I popoli sono sempre gli sconfitti delle guerre"
Giacomo Carito, Domenico Urgesi
e Giuseppe Giordano dialogando sulla locale storiografia tardo
rinascimentale, presenteranno l'opera di Cataldo Antonio
Mannarino
Storia
di Mesagne (Frammenti)
a cura di Giuseppe Giordano, Domenico Urgesi e Damiano Angelo
Leucci
Mesagne: Giordano Editore, 2018
Giacomo Carito, Domenico Urgesi e Giuseppe Giordano,
attraverso un dibattito sulla locale storiografia tardo rinascimentale,
presenteranno l'opera di Cataldo Antonio Mannarino Storia di Mesagne
(Frammenti), nell'edizione curata da Giuseppe Giordano, Domenico
Urgesi e Damiano Angelo Leucci (Mesagne: Giordano Editore, 2018).
Cataldo Antonio Mannarino nacque a Taranto nel 1568, da un’importante
famiglia, la quale, secondo il contemporaneo medico-filosofo Epifanio
Ferdinando (il vecchio), si trasferì a Mesagne negli anni
della sua infanzia.
Trascorse la giovinezza in questa città, poi si trasferì
a Napoli, dove completò gli studi e si laureò in
medicina. A Napoli fu introdotto nell’Accademia degli Oziosi
dal poeta e amico mesagnese Gianfrancesco Maia Materdona. Nel
1592, ventiquattrenne, si sposò con la nobile Porfida De
Rossi, in Mesagne, territorio la cui feudalità era stata
comprata (il 1591) da Giannantonio Albricci I, nobile commerciante
di antica schiatta lombarda.
Nel settembre del 1594 avvenne l’attacco dei turchi a Taranto;
Mannarino partecipò alla difesa della sua città
natale e alle trattative di pace; in quell’occasione ebbe
confidenza con vari feudatari accorsi a difesa della città,
tra cui Alberto I Acquaviva d’Aragona, don Carlo d’Avalos,
gli Albricci, Michele Imperiale e molti altri piccoli signorotti
e cavalieri (tra cui Pietro Resta di Mesagne). L’evento
gli ispirò l’opera Glorie di guerrieri, e d’amanti
in nuova impresa nella città di Taranto succedute, che
nel 1596 pubblicò a Napoli. Nella stessa occasione conobbe
Giovanni Lorenzo Albricci (figlio di Giannantonio) e lo ammirò
per il suo coraggio. Nel 1596 scrisse buona parte dell’inedito
manoscritto, tramandato come “Storia di Mesagne”,
che ora viene pubblicato integralmente per la prima volta.
Il manoscritto, dedicato in gran parte proprio al capostipite
Albricci I, rimase inedito, forse per la morte dell’Albricci
(avvenuta il 1596); una parte di esso è conservato nella
Biblioteca Nazionale di Napoli ed è quella contenuta in
questo volume. Il Mannarino era già noto ai suoi tempi,
per opere letterarie e teatrali che ebbero ampia circolazione:
– Glorie di guerrieri e d’amanti… (Napoli, 1596);
esso costituisce una preziosa testimonianza della precoce diffusione
del culto di Torquato Tasso in area meridionale.
– Il pastor costante (Bari, 1606), dramma pastorale ambientato
nei territori dell’antica città di Taranto. Poiché
il libro conteneva molti errori e imprecisioni, l’autore
ripubblicò l’opera nel 1610 a Venezia col nuovo titolo
Erminia. – La Susanna, tragedia sacra (Venezia, 1610), incentrata
sulla figura della vergine martirizzata sotto Diocleziano. La
tragedia fu effettivamente rappresentata nella cittadina di Torre
Santa Susanna ed ebbe un’altra rappresentazione a Ruvo di
Puglia.
– Le Rime (Napoli, 1617), un compatto canzoniere, organizzato
secondo lo stile delle sillogi tardocinquecentesche e del primo
Seicento, con interessanti riferimenti a fatti e persone reali.
– La Prefatio alle Centum historiae seu Observationes et
casus medici (Venezia, 1621) di Epifanio Ferdinando.
Negli anni successivi alla morte della moglie, avvenuta nel 1614,
prese i voti ecclesiastici e fu suddiacono della Collegiata di
Mesagne; continuò a esercitare la professione medica. Si
spense nel 1621.
La Storia di Mesagne è la più antica “storia
di Mesagne” che si conosca. Consiste in un manoscritto incompleto,
conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, costituito da
alcune decine di carte; esse attualmente sono numerate da 18 a
80 e mancanti delle carte 64, 65, 66; sono, quindi, esattamente
60 carte. È stato denominato così per tradizione,
che affonda le radici in un passato imprecisato, ma che trova
attestazione in una dichiarazione di Epifanio Ferdinando il giovane
(fine ‘600). Che il ms. sia opera del Mannarino è
desumibile dal contenuto; che sia stato scritto di pugno da lui,
è attestato da una perizia grafologica, allegata al volume.
Le parti sopravvissute del ms. trattano dei Signorotti che avevano
il feudo di Mesagne, in poche carte dei Beltrano e più
ampiamente degli Albricci, ai quali molto probabilmente l’opera
era destinata e dedicata. Vi si trovano riferimenti puntuali ad
avvenimenti contemporanei del Mannarino, a fatti, persone e luoghi
da lui conosciuti direttamente; e da questo punto di vista può
essere una miniera di notizie utili a ricostruire il panorama
urbanistico ed architettonico della Mesagne di fine Cinquecento.
A tal fine, utilissima è la “Discrittione di Misagne”,
un disegno contenuto nel ms., che costituisce la più antica
rappresentazione del centro urbanistico della città. In
questo ms. vi è la famosa comparazione della città
di Mesagne ad un cuore, non solo per la forma ma anche perché
si trova al centro del territorio della Provincia d’Otranto.
Mannarino considera ottimale la disposizione delle strade, della
piazza centrale, perché “cotale la desiderava Aristotele
nella sua Politica, che volea, che ’l popolo tutto insieme
unito possa udir la voce del banditore”. Mannarino privilegia,
quindi, al contrario della città ortogonale, l’urbanistica
a pianta centrale, o stellata; tema caro all’urbanistica
rinascimentale. Il ms. si sofferma poi, lungamente, sulla ubertosità
del territorio mesagnese, dei suoi campi, giardini, orti, che
vengono descritti molto dettagliatamente. Si sofferma poi, nei
capitoli 11 e 12, sui “sacri templi” e sulle “divotissime
reliquie”; vengono elencate chiese e chiesette, alcune delle
quali oggi non più esistenti: una vera messe di notizie
sulle vicende inerenti quegli antichi monumenti. La trascrizione,
curata da Giuseppe Giordano, Damiano Leucci e Domenico Urgesi,
è stata eseguita in maniera fedelissima, conservando l’ortografia,
la punteggiatura, gli accenti, e le locuzioni originali; troviamo
indicate, perfino, le abbreviazioni, numerose e consuete negli
scritti umanistico-rinascimentali; una scelta che consegna al
lettore il documento nella sua piena forma originale.
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