Nel Martirologio Romano, alla data del 17 gennaio,
n. 1, si ricorda: «Memoria di sant’Antonio, abate,
che, rimasto orfano, facendo suoi i precetti evangelici distribuì
tutti i suoi beni ai poveri e si ritirò nel deserto della
Tebaide in Egitto, dove intraprese la vita ascetica; si adoperò
pure per fortificare la Chiesa, sostenendo i confessori della
fede durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano,
e appoggiò sant’Atanasio nella lotta contro gli ariani.
Tanti furono i suoi discepoli da essere chiamato padre dei monaci
». In essenziale sintesi è così resa l’umana
vicenda di sant'Antonio abate (251-357), ricordato dalla chiesa
copta il 31 gennaio, corrispondente, nel loro calendario al 22
del mese di Tuba, nota soprattutto attraverso la Vita Antonii
pubblicata nel 357, attribuita a sant'Atanasio, vescovo di Alessandria
e scritta forse su sollecitazione dei monaci che, nel Salento,
desideravano imitarne lo stile di vita. Nella Vita Sanctii Pauli
primi eremita, scritta da san Girolamo circa il 375, è
riferimento all'incontro di Antonio con il più anziano
san Paolo di Tebe. Si colloca qui l'episodio del corvo che porta
loro un pane affinché si sfamino, tema ripreso nella celebre
Legenda Aurea di Jacopo da Varazze.
Riti e devozioni intersecano i due piani del fuoco e della protezione
degli animali; tali pratiche ebbero sviluppo anche in connessione
al crearsi di un grande polo cultuale in Europa occidentale. Le
reliquie del santo, dopo un lungo peregrinare, il 1070 furono
deposte dal nobile Guigues de Didier in una chiesa, appositamente
costruita, nel villaggio di Motte-Saint-Didier presso Vienne,
presto meta d’intensi pellegrinaggi. A garantire dovuta
assistenza ai devoti provvidero, dal 1088, i monaci benedettini
dell'abbazia di Montmajeur presso Arles. A iniziativa di Gaston
de Valloire, in rendimento di grazie per la guarigione del figlio
dal fuoco di Sant'Antonio, fu costruito un hospitium in cui operava
una confraternita per l'assistenza dei pellegrini e dei malati
che si trasformerà nell'ordine ospedaliero dei Canonici
Regolari di Sant'Antonio di Vienne, detto comunemente degli Antoniani.
L’ordine ottenne dal papa il permesso di allevare maiali
poiché il grasso di questi animali era usato per ungere
gli ammalati colpiti dal fuoco di Sant'Antonio. I maiali si nutrivano
a spese della comunità e circolavano liberamente nel paese
con al collo una campanella; non a caso l'immagine del maiale
con la campanella spesso accompagna l'iconografia di questo santo.
Nella religiosità popolare il maiale cominciò a
essere associato al grande eremita egiziano, poi considerato patrono
dei maiali, di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale,
vivo o macellato e per estensione di tutti gli animali domestici
e della stalla. Durante la notte di Sant’Antonio Abate si
vuole data agli animali la facoltà di parlare; nel giorno
della sua festa liturgica, che scandisce in agricoltura il tempo
tra le semine e i raccolti, si benedicono le stalle e si portano,
sin dal medioevo, a benedire gli animali domestici.
Il santo protegge quanti lavorano col fuoco,
come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico
che era l’herpes zoster, comunemente chiamato fuoco di Sant'Antonio,
una malattia virale a carico della cute e delle terminazioni nervose.
Nei leggendari popolari si riferisce che sant’Antonio non
esitò a recarsi all’inferno per contendere l’anima
di alcuni morti al diavolo e mentre il suo maialino creava scompiglio
fra i demoni, avrebbe acceso col fuoco infernale il suo bastone
a ‘tau’. In Sardegna si narra che avrebbe allora rubato,
novello Prometeo, il fuoco per portarlo sulla terra e donarlo
agli uomini accendendo una catasta di legna. Ancor oggi si usa
pressoché ovunque accendere i cosiddetti “falò
di sant’Antonio”con funzione purificatrice e fecondatrice,
come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno
all’imminente primavera in coincidenza con antiche ricorrenze
pagane in onore della terra, della vegetazione, del ritorno alla
vita. Il culto del fuoco, in tutta l' area meridionale pugliese
si accompagna, in dizione cristiana, a sacri cortei e celebrazioni;
in Abruzzo si svolgono processioni in costumi ottocenteschi. La
più notevole fòcara salentina è da considerarsi
quella di Novoli, dove la festa è vissuta come un appuntamento
corale, oggetto anche di un documentario della National Geographic.
Di anno in anno i costruttori della fòcara s'impegnano
a variarne la forma, dotandola a volte di un varco centrale, la
galleria, che poi è attraversata dal simulacro del santo
condotto in processione.
Le ceneri, raccolte nei bracieri, servivano a riscaldare la casa
e, con apposita campana fatta con listelli di legni, per asciugare
i panni umidi.
Interventi
EUGENIO IMBRIANI
Università del Salento
ANTONIO MARIO CAPUTO
Società di Storia Patria per la Puglia
GIUSEPPE MARELLA
Società di Storia Patria per la Puglia
GIACOMO CARITO
Società di Storia Patria per la Puglia
Nel corso dei lavori GIANCARLO CAFIERO (Società di
Storia Patria per la Puglia) darà lettura di opere
in versi in vernacolo attinenti al tema.
Organizzazione:
Centro Studi per la storia dell’arcidiocesi di Brindisi
- Ostuni
Società di Storia Patria per la Puglia – Sezione
di Brindisi