Inversamente
proporzionale alla notorietà di cui gode
si direbbe finora, a quanto pare, la conoscenza
dei dati essenziali pertinenti alle fasi costruttive,
al modello e alle ascendenze liturgiche del monumento
brindisino (fg.
1). Di tanto in tanto, è vero, se ne
torna a parlare, ora per apportare qualche dato
nuovo ricavato da ricerche personali o da rinvenimenti
occasionali, ora per un debito cenno di comparazione
in monografie dedicate ad altri monumenti o in
trattazioni generali. Ai fini e per l'economia
di questa nota mi sembra inutile ripercorrere
da capo storiografia e relative opinioni (1),
tanto piú che da esse non si cavano novità
sostanziali. Idee e ipotesi si ripetono pur con
qualche leggera variante; e anzi capita sovente
di trovarsi di fronte a deduzioni tratte da confronti
talora molto disparati, con nessuna speranza perciò
di arrivare a risolvere i problemi, mancando oltre
tutto un'indagine sistematica - si spera, quando
che sia, non inquinata da tesi precostituite -
nell'ambito dell'edificio, dalla quale soltanto
potrebbero acquisirsi dati preziosi per la ricostruzione
della vicenda storica della chiesa e del ruolo
avuto nella società del tempo.
Sul San Giovanni al Sepolcro
i due piú recenti e validi contributi si
debbono alla Sciarra (2)
e allo Jurlaro (3),
dai quali traggono notizie per il loro catalogo
il Carito e il Barone (4).
Il volumetto della Sciarra si apprezza per un'analisi
delle strutture architettoniche e delle sculture
della chiesa, basata quasi esclusivamente sul
gioco delle comparazioni. All'epoca in cui fu
pubblicato il volumetto non erano state ancora
rese note le nuove acquisizioni sul San Sepolcro
di Gerusalemme, cosicché le conclusioni
cui perviene la Sciarra restano precarie e di
ciò si rende conto la stessa autrice perché
per il problema della cronologia l'unico riferimento
da lei ritenuto utile sono i rilievi dei due portali:
il principale attribuito al secolo XII, l'altro
al secolo VIII. Da questa duplice presenza e indicazione
cronologica la Sciarra trae argomenti per ipotizzare
vari interventi di ripristino subíti dall'edificio
e «un lavoro di riadattamento di pezzi e
membrature che paiono slegati pur se confacenti
all'unità monumentale» (5),
mentre lascia aperto l'annoso interrogativo sulla
funzione di una fabbrica precedente, ritenuta
da alcuni un battistero, da altri un tempio diptero.
All'esistenza di un edificio
anteriore alla costruzione della chiesa medievale
apporta elementi concreti il contributo di Jurlaro.
Partendo da notizie della Vita di san Leucio e
di quella di san Pelino, Jurlaro suggerisce che
la chiesa fatta erigere - stando al leggendista
- da san Leucio all'incrocio del cardo col decumano,
e dedicata alla Vergine e a San Giovanni Battista,
dovrebbe identificarsi con la costruzione preesistente
nell'area della chiesa medievale di San Giovanni
al Sepolcro; e a conferma di ciò segnala
il reperimento in «recenti occasionali scavi
fatti nelle immediate vicinanze della chiesa»
di «tre piani di vita: il primo a m 1,50
dal piano stradale, con un mosaico del basso impero,
il secondo a m 1,95 con un mosaico romano, ed
un terzo a m 2,75 con un battuto arcaico»
(6).
In base a tale stratigrafia, si avanza quindi
l'ipotesi che il precedente edificio sia stato
«opera del basso impero» e di forma
circolare: forma che però non sarebbe stata
rispettata dai ricostruttori, da lui, sulla scia
del Salazaro (7),
ritenuti di età normanna.
L'idea di un'infedele ricostruzione
non è nuova: vi fece ricorso, a esempio,
anche lo Zovatto ragionando del San Sepolcro di
Aquileia (8);
e il motivo dell'insistenza su tale ipotesi si
coglie facilmente, a mio avviso, considerando
che in ogni analisi comparativa era, e ancora
resta, riferimento obbligato il Santo Sepolcro
di Gerusalemme, ritenuto, prima delle piú
recenti indagini archeologiche, perfettamente
circolare in base alla ricostruzione universalmente
apprezzata dai padri Vincent e Abel (9).
D'altra parte, allo stesso modello gerosolimitano
si è fatto riferimento - e, direi, a maggior
ragione - quando si è voluto precisare
il possibile prototipo di quel singolare monumento,
unico in Italia, che è il Santo Sepolcro
conservato tuttora nella parte anteriore della
navatella nord del duomo di Aquileia, attribuito
persuasivamente alla prima metà del secolo
XI.
In realtà, pur con le
dovute riserve per quanto potrà cavarsi
da un'attenta e sistematica indagine in loco,
anche a me sembra che allo stato attuale, a chi
voglia darsi ragione dello schema del San Giovanni
al Sepolcro di Brindisi, e di conseguenza dell'epoca
e della temperie spirituale donde si suppone scaturito
lo stimolo alla sua costruzione, non si prospetti
altro punto valido di riferimento diverso dall'Anastasis
costantiniana di Gerusalemme, dalla quale discende
il monumentino circolare di Aquileia (fg.
2). Procedimento, senza dubbio, già
da tempo sperimentato e, come ho detto, anche
obbligato: ma in passato - è bene tenerlo
presente - il confronto non ha offerto risultati
apprezzabili a quanti si sono avventurati nel
gioco delle derivazioni, perché o si sono
basati su ricostruzioni puramente letterarie proposte
a piú riprese per il santuario gerosolimitano
o non hanno avvertito l'esigenza di conoscere
i risultati delle esplorazioni effettuate in piú
punti nelle strutture del complesso fatto erigere
da Costantino sulla tomba di Gesú.
L'ultimo in ordine di tempo dei
contributi così classificabili, e tuttavia
da segnalare per l'impegno esplicato nel serrato
confronto tra il Santo Sepolcro di Gerusalemme
e il monumentino di Aquileia, è quello
del Piussi (10):
studio per certi aspetti meritorio, ma ora sostanzialmente
superato, come ho detto, dagli accertamenti, taluni
di eccezionale importanza, compiuti a Gerusalemme
e resi noti dai preziosi volumi del Corbo (11).
Ciò che qui interessa rilevare nello sforzo
del Piussi è da una parte l'analisi delle
fasi costruttive dell'Anastasis, dall'altra la
ricerca sulla forma dell'edicola eretta sopra
la tomba del Risorto, perché l'uno e l'altro
argomento si connettono con lo schema precedente
e successivo della chiesa brindisina. Tralascio
qui di soffermarmi sulle fasi strutturali del
santuario gerosolimitano, potendo ognuno trovare
materia sia nei citati volumi del Corbo, sia nella
discussione contenuta in una mia recensione a
essi dedicata (12).
Per quanto invece attiene al problema della forma
originaria dell'edicola sopra la tomba venerata
(fg.
3), è bene in via preliminare osservare
che non chiarisce nulla il tentativo del Piussi
di distinguere ben sette tipi di raffigurazioni
dell'edicola, scaglionati lungo un arco di secoli
dal IV all'XI (13).
A parte l'affresco di Dura Europos - da escludere
comunque in quanto immagine puramente simbolica
(il sarcofago) e convenzionale (14),
nonché anteriore (sec. III!)) al progetto
edilizio di Costantino - tutte le altre rappresentazioni
(15)
sfuggono a ogni incasellamento o a distinzioni
sottilmente sfumate per l'incapacità da
parte nostra di dare sicura risposta a qualcuno
dei seguenti interrogativi di fondo: quale valore
dare all'immagine sempre variata del monumento
gerosolimitano, quello di riproduzione fedele
o non piuttosto l'altro di prodotto di fantasia
elaborato su dati semplicemente evocativi? O ancora:
che cosa si è voluto riprodurre di volta
in volta: il contenente (la «rotonda»
costantiniana) o solo il contenuto (l'edicola)?
E quand'anche si volesse riferire l'immagine alla
sola edicola, come distinguere una forma originaria
da possibili varianti dovute a modificazioni connesse
con interventi obbligati od occasionali?
Lo stesso autore, d'altra parte,
finisce col dover rilevare (16)
come numerose costruzioni sorte fin dall'alto
medioevo in Europa, benché si dicano costruite
ad similitudinem sanctae Jerosolimitanae ecclesiae,
presentino pianta ora circolare ora poligonale
con in piú la giunta, liberamente adottata,
di absidiole aggettanti: particolare questo che
ora sappiamo caratterizzare la «rotonda»
costantiniana di Gerusalemme. Ricorrere infine,
come fa il Piussi, all'ipotesi della derivazione
del monumentino aquileiese da un'interpretazione
del Santo Sepolcro divulgata da Arculfo (17)
sembra suggestione difficilmente dimostrabile:
la quale d'altronde a chi la volesse accogliere
non gioverebbe punto a dissipare in alcun modo
i dubbi appena espressi e contribuirebbe anzi
a far perdere di vista i pochi punti concreti
sui quali è possibile trovare convergenze
per i monumenti di Gerusalemme, Aquileia e Brindisi.
Quali sono per il San Giovanni
al Sepolcro di Brindisi i punti essenziali di
riferimento? Quanto alla forma, l'ascendenza obbligata
è nella «rotonda» costantiniana
di Gerusalemme; quanto alla ragione liturgica
invece l'unico nesso possibile mi pare sia da
stabilire con il monumento di Aquileia.
La struttura architettonica della
«rotonda» eretta come trofeo monumentale
sopra la tomba di Gesú si può dire
ormai sufficientemente nota (fg.
4). Nel progetto dell'architetto di Costantino
un peribolo di dodici colonne - a gruppi di tre
intervallati da arconi - suddivideva lo spazio
interno, al centro del quale si elevava un'edicola
con funzione di elemento glorificante e di teca
per la tomba venerata; dal muro perimetrale dell'aula-mausoleo
aggettavano all'esterno tre absidiole in corrispondenza
degli assi principali. La «rotonda»,
nell'insieme del progetto, non costituiva un'unità
autonoma, ma faceva parte di un complesso comprendente
tre settori: quello appunto occupato dall'aula
- mausoleo con il Santo Sepolcro; un secondo,
scoperto, ma limitato da un portico, nel quale
si ergeva la roccia del Calvario; un terzo corrispondente
a una grande basilica martiriale a cinque navate.
Dovendo stabilire raccordi tra il primo e il secondo
settore, l'architetto non progettò una
circolarità compiuta per la cosiddetta
rotonda-mausoleo, ma tagliò il suo lato
orientale in modo da inserire una fronte rettilinea
con la duplice funzione di avancorpo per il Santo
Sepolcro e di passaggio, mediante otto porte,
per l'enorme massa di pellegrini, specie in occasione
delle solenni cerimonie della Settimana Santa.
Dice al riguardo Arculfo nel suo rozzo latino:
haec / sc. rotunda / bis quaternales portas
habet, hoc est quattuor introitus, per tres e
regione interiectis viarum spatiis stabilitos
parietes, ex quibus quattuor exitus ad vulturnum
spectant, qui et caecias dicitur ventus, alii
vero quattuor ad eurum respiciunt (18).
Quando si accosta la pianta del
Santo Sepolcro gerosolimitano, cosí delineato,
alla costruzione brindisina, facilmente si evidenziano,
nelle linee generali, riscontri tanto puntuali
da potersi definire - beninteso, con la dovuta
divaricazione cronologica di ciascuna fabbrica
- quasi un calco. Siffatta constatazione, che
direi decisiva come risposta al problema dell'ascendenza
formale dello schema della chiesa di Brindisi,
rende inutile, o almeno inficia, l'ipotesi relativa
all'esistenza di un edificio precedente a pianta
circolare, che in epoca seriore sarebbe stato
malamente manomesso inserendovi a oriente, con
il taglio del muro peri metrale, un corpo rettilineo.
Quando la Sciarra parla di «singolarità
veramente notevole» della pianta brindisina
e aggiunge: «non esistono infatti esempi
paragonabili» (19),
ha perfettamente ragione, perché all'epoca
in cui scriveva, non conoscendosi ancora lo schema
della costruzione costantiniana a Gerusalemme,
quella soluzione, forse nemmeno strutturalmente
gradevole, appariva ingiustificabile; e però,
proprio per essere tale, costringeva a pensare
a un avancorpo con funzione d'ingresso protetto
o di atrio. La soluzione gerosolimitana, rende,
a mio avviso, pienamente plausibile l'intuizione
dell'esistenza di un avancorpo, talché
la ricostruzione planimetrica (fg.
5), proposta da Eugenio Rubini e utilizzata
dallo Jurlaro nel suo studio (20),
mi sembra sorprendente e insieme del tutto coerente.
Tolta cosí la pianta della chiesa di Brindisi
da una sua presunta emarginazione nella tipologia
degli edifici di culto, resta ancora da richiamare
l'attenzione sulla tecnica muraria che caratterizza
la costruzione e che per la sua vistosa irregolarità
trova anch'essa difficili riscontri. Alla Sciarra
va dato merito di aver avvertito in pieno il problema
e di aver fatto il possibile per reperire esempi
validi in altri monumenti; e non è colpa
sua se lo sforzo non ha cavato frutti di qualche
rilievo. Benché non sia compito di questa
nota ragionare di tecnica muraria, conviene tuttavia
ribadire che, a mio parere, due fatti sembrano
particolarmente importanti: da un lato un largo
reimpiego di materiali di spoglio; dall'altro
la percezione di un progetto di fabbrica ridotto
all'essenziale, per il quale non ci si preoccupa
per le incongruenze e non si soffrono scrupoli
per la rudezza di accostare il nuovo al vecchio.
In altre parole, tutto lascerebbe pensare a un'opera
di esecuzione condotta in tutta fretta, badando
a reperire ove possibile i materiali e provvedendo
alle integrazioni solo per il necessario.
Quale la ragione possibile di
siffatta premura? In iniziative del genere, destinate
a esaltare il committente e a guadagnarsi il favore
popolare, ritengo poco plausibile pensare a volontà
di rigida economia o, peggio, a carenza di mezzi
finanziari. Volendo a ogni costo dare risposta
all'interrogativo, l'unica via ipotizzabile mi
pare allora quella di immaginare un committente
di alto rango e, insieme, un evento connesso con
la vicenda storica della città nel medioevo.
Un evento, inevitabilmente, da collegare con le
crociate.
Brindisi, come si sa, fu il terminale
di uno dei maggiori itinerari dei pellegrini diretti
a Costantinopoli e a Gerusalemme; qui infatti
essi convergevano provenendo dalla via Appia e
dalla via Latina in attesa dell'imbarco. Un importante
centro di raccolta, dove si concentravano folle
d'individui d'ogni ceto e cultura, doveva di necessità
attrezzarsi con un'organizzazione logistica complessa,
soprattutto di natura commerciale, ma certo non
poteva fare a meno di approntare un qualche impianto
ricettivo sul tipo degli xenodochia, come non
poteva trascurare la costruzione di luoghi di
culto per ragioni diverse e convergenti: testimonianza
anzitutto di fede, ma anche ostentazione di ricchezza
e di vitalità sociale (21).
Alcune fonti del tempo ci dicono che alla costruzione
di chiese prendevano parte persone di ogni condizione
sociale senza distinzione di età e di sesso.
Tutti riempivano carri di pietre - ai quali spesso
poi si aggiogavano - e li trascinavano al cantiere;
durante le soste, un predicatore li esortava alla
pace e al reciproco perdono; se qualcuno rifiutava
di perdonare ai suoi offensori, le pietre che
aveva offerto venivano scartate ed egli espulso
(22).
Questo fenomeno, certamente piú
vistoso nei centri martiriali e nelle grandi città
durante la costruzione di un santuario o di una
cattedrale, sembra essere stato molto diffuso
specialmente nei centri posti lungo i grandi itinerari
del pellegrinaggio. In realtà la partecipazione
collettiva all'edificazione di una chiesa assumeva
il significato simbolico di edificazione della
nuova società cristiana, e nello stesso
tempo intendeva esaltare lo sforzo per la mortificazione
fisica e la catarsi secondo la norma del pellegrinaggio
penitenziale.
A questo genere di manifestazioni
di riconciliazione interiore e comunitaria, sollecitate
- penso - anche da circostanze di natura politica
che vi avrebbero impresso un ritmo incalzante,
vorrei attribuire la matrice delle particolarità
che si evidenziano nella chiesa brindisina. E
quanto all'evento ipotizzabile, non mi pare troppo
ardito o fantasioso supporlo collegato con la
prima crociata, nella quale spicca la figura di
Boemondo d'Altavilla. L'intuizione, confortata
da molti consensi, di attribuire ai normanni la
costruzione della chiesa potrebbe diventare persuasiva
nella misura in cui ulteriori ricerche nelle fonti
scritte e monumentali riuscissero a chiarire i
fatti costruttivi e la connessa cronologia nel
contesto delle vicende politiche e sociali della
città. La prima crociata, l'unica ad avere
completo successo, si può dire conclusa
nell'estate del 1099 con la liberazione del Santo
Sepolcro e di Gerusalemme: considerando l'enorme
risonanza che dovette suscitare la notizia della
vittoriosa spedizione, ma soprattutto quanti entusiasmi
e quali fantasie percorsero l'Europa sull'onda
dei racconti dei reduci che avevano avuto la sorte
di pregare sulla tomba di Cristo e mostravano
la palma di Gerico a testimonianza della partecipazione
all'impresa, si può intuire facilmente
l'atmosfera di esaltazione entro la quale si collocherebbe
l'iniziativa di erigere a Brindisi, nella città
ponte del grande pellegrinaggio, un monumento-replica
del Santo Sepolcro di Gerusalemme. E chi, se non
la gens normanna, poteva essere interessata a
tale iniziativa? Che poi alla chiesa brindisina
si associasse la dedica a San Giovanni, sotto
la cui denominazione si costituí l'ordine
degli Ospedalieri, mi pare implicita conferma
tanto della temperie spirituale della prima metà
del XII secolo cui conviene assegnare la costruzione,
quanto della sua primaria destinazione quale monumento
celebrativo della passione del Signore.
Il San Giovanni al Sepolcro,
proiettato in tal modo negli avvenimenti che agitarono
allora l'intera Europa con una fiam mata di ardore
insieme espiatorio e liberatorio, verrebbe ad
assumere finalmente un proprio specifico carattere;
di riflesso si giustificherebbero cosí
storicamente e la scelta dello schema architettonico
e l'articolazione interna dello spazio. Non so
se questa risposta parrà persuasiva: quale
che sia la sua sorte, resta il fatto che, non
potendo la ricerca esaurirsi sul piano architettonico,
tener presente anche una correlazione sul piano
sincronico con il Santo Sepolcro di Aquileia,
dal quale, pur differenziandosi quanto a monumentalità,
l'edificio di Brindisi può trarre argomenti
per ipotizzare un proprio ruolo nei riti celebrativi
della passione, morte e risurrezione del Signore.
Precisiamo però meglio
i termini della comparazione. È evidente
che ambedue si richiamano a modelli dell'Anastasia
di Gerusalemme, ma è evidente anche una
sostanziale differenza: mentre il monumentino
di Aquileia sembra costituire una replica - fedele
o immaginaria non importa - dell'edicola sopra
la tomba di Gesú, la chiesa di Brindisi
si direbbe piuttosto la riproduzione fedele della
rotonda-mausoleo gerosolimitana, e, in quanto
tale, non elemento aggiuntivo (o arredo) all'interno
di un'aula di culto, ma presenza architettonica
importante ed emergente nel contesto del tessuto
urbano. In conseguenza di tale differente origine
e destinazione il confronto va limitato unicamente
al rispettivo spazio interno. In realtà
ad Aquileia il monumentino funge da teca o da
edicola per il rito della depositio dell'ostia
o della croce nella solenne commemorazione del
venerdí santo (23);
a Brindisi invece la liturgia è da immaginare
ispirata al rituale e alla gestualità simbolica
della celebrazione gerosolimitana della settimana
santa (24);
e perciò penso che il rito si svolgesse
intorno a un manufatto-teca sul tipo di quello
di Aquileia, collocato al centro della chiesa
come appunto l'edicola nell'Anastasia: manufatto
(o edicola?) non ha importanza se circolare o
poligonale, che si potrebbe anche supporre ligneo
per non aver lasciato traccia di sé sopra
o sotto il pavimento.
Le vicende delle successive crociate
e l'intorbidirsi della situazione politica dovettero
segnare il declino d'itinerari di pellegrinaggio
e di riti liturgici. Una volta asportato dal suo
posto il manufatto (o edicola) il significato
e il modello stesso della chiesa finirono fatalmente
col perdere ogni nesso con gli ideali che l'avevano
voluta e con la spiritualità che aveva
alimentato le celebrazioni. Spegnendosi infine
il misticismo drammatico che aveva agitato gli
spiriti durante le crociate, anche la sacra rappresentazione
liturgica, testimonianza eloquente della trasformazione
in dramma subita dalla primitiva sinassi memoriale
dell'ultima Cena, s'avvia a quietarsi nei gesti
e nella partecipazione, a privarsi cioè
di ogni tensione. Da allora, lentamente, il Santo
Sepolcro di Brindisi perde la sua ragione storica
e finisce per diventare una delle tante chiese
avvolte in un passato nebuloso, intessuto di leggende
in cui si scolorano contorni di fatti e personaggi;
una chiesa oltre tutto diversa dalle altre per
essere priva della specifica connotazione derivante
dalla presenza di reliquie di martiri o dalla
dedicazione al nome di un santo particolarmente
caro alla spiritualità popolare.
Da queste premesse diventa chiara
l'ineluttabilità del destino del San Giovanni
al Sepolcro di ridursi a rudere: il destino cioè
di passare da polo di devozione e di fervore di
fede a testimone muto in via di fatiscenza. Un
siffatto fenomeno non è infrequente nella
vicenda degli edifici di culto; in questo caso
però, a parte il destino immeritato, dovrebbe
prevalere la coscienza delle ragioni di un recupero
tanto sul piano strutturale, quanto della migliore
conoscenza storica, perché la chiesa brindisina
resta comunque un monumento unico nel suo genere,
sia per la storia della tipologia architettonica,
sia soprattutto per quella della spiritualità,
essendo una testimonianza preziosa di un rito
con forte accento popolare, che oggi si tende
immeritatamente a comprimere, condannandolo a
sicuro oblío. La voce del popolo insiste
ancora nel dire che la sera del giovedí
santo si va a «fare i sepolcri»: forse
prima ancora di cancellare il ricordo di questa
pia devozione sarebbe bene rievocarne l'origine
riattivando, ove possibile, con opportuni interventi,
luoghi e monumenti, come il San Giovanni al Sepolcro,
che appartengono comunque al patrimonio di fede
del popolo attraverso i secoli.
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Figure
e foto:
1. Brindisi. San Giovanni
al Sepolcro: planimetria (da JURLARO).
2. Il Santo Sepolcro nel duomo di Aquileia (da
TAVANO)
3. L'edicola nel Santo Sepolcro di gerusalemme
secondo le rappresentazioni figurate sulle ampolle
palestinesi dei pellegrini (da BARAG e WILKINSON)
4. Il complesso degli edifici costantiniani al
Santo Sepolcro di Gerusalemme (da CORBO)
5. Brindisi. San Giovanni al Sepolcro: ipotesi
planimetrica del primo impianto (da JURLARO).
6. Brindisi. San Giovanni al Sepolcro: Interno.
Foto di Daniela Errico
Lo studio
del prof. Testini è stato pubblicato in
San Leucio d'Alessandria e l'Occidente.
Atti del secondo convegno nazionale su "Il
santo patrono", Brindisi 10-11 novembre 1984,
Brindisi 1991, pp. 83-101. |
Note:
(1) L'essenziale è
ségnalato nella voce Brindisi (F. BONNARD),
in Dictionnarie d'histoire et de géographie
ecclésiastique, X, Paris 1938, cll. 744
sgg. Per le origini del cristianesimo, sempre
fondamentali le pagine dedicate da F. LANZONI,
Le diocesi d'Italia dalle origini al principio
del secolo VII (an. 604) (Studi e testi, 35),
Faenza 1927, pp. 305 sg.
(2) B. SCIARRA.
La chiesa del S. Giovanni al Sepolcro in Brindisi,
Brindisi 1962.
(3) R. JURLARO,
I primi edifici di culto cristiano in Brindisi
in Atti del VI Congresso internazionale di archeologia
cristiana, Città del Vaticano 1965, spec.
pp. 684 sg.
(4) Catalogo per
la mostra fotografica su Brindisi cristiana dalle
origini ai normanni, a cura di G. CARITO e S.
BARONE, Brindisi 1981.
(5) SCIARRA, cit.,
p. 61.
(6) JURLARO, cit.,
p. 697, fg. 14.
(7) D. SALAZARO,
Studi sui monumenti dell'Italia meridionale, Napoli
1877, p. 30
(8) P. L. ZOVATTO,
II Santo Sepolcro di Aquileia e la struttura del
S. Sepolcro di Gerusalemme, in «Palladio»
(1956), p. 40, nota 23.
(9) H. VINCENT -
F. M. ABEL, Jérusalem nouvelle, li, 1,
Paris 1914, pp. 89 sgg. e spec. pp. 154 sg.
(10)
S. PIUSSI, Il Santo Sepolcro di Aquileia, in Aquileia
e l'Oriente mediterraneo (Antichità altoadriatiche,
12), Udine 1977, pp. 511 sgg.
(11) V. C. CORBO,
Il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Aspetti archeologici
dalle origini al periodo crociato, Jerusalem 1982,
spec. pp. 51 sg.
(12) In «Rivista
di archeologia cristiana,>, 59 (1983), pp.
451 sgg.
(13) PIUSSI, cit.,
pp. 520 sg.
(14) Come del resto
nota il PIUSSI (cit., pp. 539 sg.), la rappresentazione
della scena della risurrezione di Gesù
da una tomba a sarcofago si afferma a partire
dal sec. IX, ma in occidente dal sec. X. D'altra
parte il sarcofago, a ben riflettere, si rivela
una soluzione ideale per tradurre figurativamente
l'evento della risurrezione in dinamica tensione
visiva con sicura presa sull'osservatore: soluzione
che avrebbe consentito, volendo, complementi o
arricchimenti di attributi simbolici.
(15) Cfr. H. VINCENT,
Quelques représentations du Saint-Sépulcre
constantinien, in «Revue biblique»,
10 (1913), pp. 525 sgg.; 11 (1914), pp. 94 sgg.;
L. KÖTZSCHEBREITENBRUCH, Pilgerandenken aus
dem Heiligen Land, in Vivarium. Festschrifi Th.
Klauser, Munster Westf. 1984, pp. 229 sgg. Per
le rappresentazioni sulle ampolle di Monza e di
Bobbio: A. GRABAR, Les ampoules de Terre Sainte,
Paris 1968; D. BARAG J. WILKINSON, The Monza-Bobbio
flasks and the Holy Sepulcre, in «Levant»,
6 (1974), pp. 179 sgg.
(16) PIUSSI, cit.,
pp. 537 sg.; ma si veda pure quanto osserva a
p. 543.
(17) PIUSSI, cit.,
p. 545. Per il testo di Arculfo dettato ad Adamnano,
cfr. ADAMNANI, De locis sanctis, 11, 4 (ed. L.
BIELER), in Corpus Christianorum, series latina,
CLXXV, Turnhout 1965, p. 187; testo riprodotto
anche dal CORBO, cit., 1, p. 47.
(18) ADAMNANI, cit.,
p. 187; CORBO, cit., I, p. 47.
(19) SCIARRA, cit.,
pp. 17 e 20.
(20)
JURLARO, cit., p. 699.
(21) F. CARDINI,
Le crociate tra il mito e la storia, Roma 1971,
pp. 19 sgg. 22 CARDINI, cit., p. 20.
(22) CARDINI, cit.,
p.20.
(23) Rito ben evocato
negli studi dello Zovatto e del Piussi, citati
alle note 8 e 10. Cfr. anche E. DYGGVE, Aquileia
e la Pasqua, in Studi aquileiesi offerti a G.
Brusin, Aquileia 1953, pp. 385 sgg., cui dedica
una nota critica P. L. ZOVATTO, in «Aquileia
nostra», 24-25 (1953/54), pp. 12 sgg.
(24) Ancora valido
lo studio di J. B. THIBAUT, Ordre des offices
de la Semaine Sainte à Jérusalem,
Paris 1926. Documentazione ulteriore, volendo,
nella Bibliografia Ege¬riana, a cura di M.
STAROWIEYSKI, in «Augustinianum»,
19 (1979), spec. dal n. 164 sgg., pp. 309 sgg.
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