.:. CHIESE

SAN GIOVANNI AL SEPOLCRO
Brindisi

Studio del prof. Pasquale Testini

Inversamente proporzionale alla notorietà di cui gode si direbbe finora, a quanto pare, la conoscenza dei dati essenziali pertinenti alle fasi costruttive, al modello e alle ascendenze liturgiche del monumento brindisino (fg. 1). Di tanto in tanto, è vero, se ne torna a parlare, ora per apportare qualche dato nuovo ricavato da ricerche personali o da rinvenimenti occasionali, ora per un debito cenno di comparazione in monografie dedicate ad altri monumenti o in trattazioni generali. Ai fini e per l'economia di questa nota mi sembra inutile ripercorrere da capo storiografia e relative opinioni (1), tanto piú che da esse non si cavano novità sostanziali. Idee e ipotesi si ripetono pur con qualche leggera variante; e anzi capita sovente di trovarsi di fronte a deduzioni tratte da confronti talora molto disparati, con nessuna speranza perciò di arrivare a risolvere i problemi, mancando oltre tutto un'indagine sistematica - si spera, quando che sia, non inquinata da tesi precostituite - nell'ambito dell'edificio, dalla quale soltanto potrebbero acquisirsi dati preziosi per la ricostruzione della vicenda storica della chiesa e del ruolo avuto nella società del tempo.

Sul San Giovanni al Sepolcro i due piú recenti e validi contributi si debbono alla Sciarra (2) e allo Jurlaro (3), dai quali traggono notizie per il loro catalogo il Carito e il Barone (4). Il volumetto della Sciarra si apprezza per un'analisi delle strutture architettoniche e delle sculture della chiesa, basata quasi esclusivamente sul gioco delle comparazioni. All'epoca in cui fu pubblicato il volumetto non erano state ancora rese note le nuove acquisizioni sul San Sepolcro di Gerusalemme, cosicché le conclusioni cui perviene la Sciarra restano precarie e di ciò si rende conto la stessa autrice perché per il problema della cronologia l'unico riferimento da lei ritenuto utile sono i rilievi dei due portali: il principale attribuito al secolo XII, l'altro al secolo VIII. Da questa duplice presenza e indicazione cronologica la Sciarra trae argomenti per ipotizzare vari interventi di ripristino subíti dall'edificio e «un lavoro di riadattamento di pezzi e membrature che paiono slegati pur se confacenti all'unità monumentale» (5), mentre lascia aperto l'annoso interrogativo sulla funzione di una fabbrica precedente, ritenuta da alcuni un battistero, da altri un tempio diptero.

All'esistenza di un edificio anteriore alla costruzione della chiesa medievale apporta elementi concreti il contributo di Jurlaro. Partendo da notizie della Vita di san Leucio e di quella di san Pelino, Jurlaro suggerisce che la chiesa fatta erigere - stando al leggendista - da san Leucio all'incrocio del cardo col decumano, e dedicata alla Vergine e a San Giovanni Battista, dovrebbe identificarsi con la costruzione preesistente nell'area della chiesa medievale di San Giovanni al Sepolcro; e a conferma di ciò segnala il reperimento in «recenti occasionali scavi fatti nelle immediate vicinanze della chiesa» di «tre piani di vita: il primo a m 1,50 dal piano stradale, con un mosaico del basso impero, il secondo a m 1,95 con un mosaico romano, ed un terzo a m 2,75 con un battuto arcaico» (6). In base a tale stratigrafia, si avanza quindi l'ipotesi che il precedente edificio sia stato «opera del basso impero» e di forma circolare: forma che però non sarebbe stata rispettata dai ricostruttori, da lui, sulla scia del Salazaro (7), ritenuti di età normanna.

L'idea di un'infedele ricostruzione non è nuova: vi fece ricorso, a esempio, anche lo Zovatto ragionando del San Sepolcro di Aquileia (8); e il motivo dell'insistenza su tale ipotesi si coglie facilmente, a mio avviso, considerando che in ogni analisi comparativa era, e ancora resta, riferimento obbligato il Santo Sepolcro di Gerusalemme, ritenuto, prima delle piú recenti indagini archeologiche, perfettamente circolare in base alla ricostruzione universalmente apprezzata dai padri Vincent e Abel (9). D'altra parte, allo stesso modello gerosolimitano si è fatto riferimento - e, direi, a maggior ragione - quando si è voluto precisare il possibile prototipo di quel singolare monumento, unico in Italia, che è il Santo Sepolcro conservato tuttora nella parte anteriore della navatella nord del duomo di Aquileia, attribuito persuasivamente alla prima metà del secolo XI.

In realtà, pur con le dovute riserve per quanto potrà cavarsi da un'attenta e sistematica indagine in loco, anche a me sembra che allo stato attuale, a chi voglia darsi ragione dello schema del San Giovanni al Sepolcro di Brindisi, e di conseguenza dell'epoca e della temperie spirituale donde si suppone scaturito lo stimolo alla sua costruzione, non si prospetti altro punto valido di riferimento diverso dall'Anastasis costantiniana di Gerusalemme, dalla quale discende il monumentino circolare di Aquileia (fg. 2). Procedimento, senza dubbio, già da tempo sperimentato e, come ho detto, anche obbligato: ma in passato - è bene tenerlo presente - il confronto non ha offerto risultati apprezzabili a quanti si sono avventurati nel gioco delle derivazioni, perché o si sono basati su ricostruzioni puramente letterarie proposte a piú riprese per il santuario gerosolimitano o non hanno avvertito l'esigenza di conoscere i risultati delle esplorazioni effettuate in piú punti nelle strutture del complesso fatto erigere da Costantino sulla tomba di Gesú.

L'ultimo in ordine di tempo dei contributi così classificabili, e tuttavia da segnalare per l'impegno esplicato nel serrato confronto tra il Santo Sepolcro di Gerusalemme e il monumentino di Aquileia, è quello del Piussi (10): studio per certi aspetti meritorio, ma ora sostanzialmente superato, come ho detto, dagli accertamenti, taluni di eccezionale importanza, compiuti a Gerusalemme e resi noti dai preziosi volumi del Corbo (11). Ciò che qui interessa rilevare nello sforzo del Piussi è da una parte l'analisi delle fasi costruttive dell'Anastasis, dall'altra la ricerca sulla forma dell'edicola eretta sopra la tomba del Risorto, perché l'uno e l'altro argomento si connettono con lo schema precedente e successivo della chiesa brindisina. Tralascio qui di soffermarmi sulle fasi strutturali del santuario gerosolimitano, potendo ognuno trovare materia sia nei citati volumi del Corbo, sia nella discussione contenuta in una mia recensione a essi dedicata (12). Per quanto invece attiene al problema della forma originaria dell'edicola sopra la tomba venerata (fg. 3), è bene in via preliminare osservare che non chiarisce nulla il tentativo del Piussi di distinguere ben sette tipi di raffigurazioni dell'edicola, scaglionati lungo un arco di secoli dal IV all'XI (13). A parte l'affresco di Dura Europos - da escludere comunque in quanto immagine puramente simbolica (il sarcofago) e convenzionale (14), nonché anteriore (sec. III!)) al progetto edilizio di Costantino - tutte le altre rappresentazioni (15) sfuggono a ogni incasellamento o a distinzioni sottilmente sfumate per l'incapacità da parte nostra di dare sicura risposta a qualcuno dei seguenti interrogativi di fondo: quale valore dare all'immagine sempre variata del monumento gerosolimitano, quello di riproduzione fedele o non piuttosto l'altro di prodotto di fantasia elaborato su dati semplicemente evocativi? O ancora: che cosa si è voluto riprodurre di volta in volta: il contenente (la «rotonda» costantiniana) o solo il contenuto (l'edicola)? E quand'anche si volesse riferire l'immagine alla sola edicola, come distinguere una forma originaria da possibili varianti dovute a modificazioni connesse con interventi obbligati od occasionali?

Lo stesso autore, d'altra parte, finisce col dover rilevare (16) come numerose costruzioni sorte fin dall'alto medioevo in Europa, benché si dicano costruite ad similitudinem sanctae Jerosolimitanae ecclesiae, presentino pianta ora circolare ora poligonale con in piú la giunta, liberamente adottata, di absidiole aggettanti: particolare questo che ora sappiamo caratterizzare la «rotonda» costantiniana di Gerusalemme. Ricorrere infine, come fa il Piussi, all'ipotesi della derivazione del monumentino aquileiese da un'interpretazione del Santo Sepolcro divulgata da Arculfo (17) sembra suggestione difficilmente dimostrabile: la quale d'altronde a chi la volesse accogliere non gioverebbe punto a dissipare in alcun modo i dubbi appena espressi e contribuirebbe anzi a far perdere di vista i pochi punti concreti sui quali è possibile trovare convergenze per i monumenti di Gerusalemme, Aquileia e Brindisi.

Quali sono per il San Giovanni al Sepolcro di Brindisi i punti essenziali di riferimento? Quanto alla forma, l'ascendenza obbligata è nella «rotonda» costantiniana di Gerusalemme; quanto alla ragione liturgica invece l'unico nesso possibile mi pare sia da stabilire con il monumento di Aquileia.

La struttura architettonica della «rotonda» eretta come trofeo monumentale sopra la tomba di Gesú si può dire ormai sufficientemente nota (fg. 4). Nel progetto dell'architetto di Costantino un peribolo di dodici colonne - a gruppi di tre intervallati da arconi - suddivideva lo spazio interno, al centro del quale si elevava un'edicola con funzione di elemento glorificante e di teca per la tomba venerata; dal muro perimetrale dell'aula-mausoleo aggettavano all'esterno tre absidiole in corrispondenza degli assi principali. La «rotonda», nell'insieme del progetto, non costituiva un'unità autonoma, ma faceva parte di un complesso comprendente tre settori: quello appunto occupato dall'aula - mausoleo con il Santo Sepolcro; un secondo, scoperto, ma limitato da un portico, nel quale si ergeva la roccia del Calvario; un terzo corrispondente a una grande basilica martiriale a cinque navate. Dovendo stabilire raccordi tra il primo e il secondo settore, l'architetto non progettò una circolarità compiuta per la cosiddetta rotonda-mausoleo, ma tagliò il suo lato orientale in modo da inserire una fronte rettilinea con la duplice funzione di avancorpo per il Santo Sepolcro e di passaggio, mediante otto porte, per l'enorme massa di pellegrini, specie in occasione delle solenni cerimonie della Settimana Santa. Dice al riguardo Arculfo nel suo rozzo latino:
haec / sc. rotunda / bis quaternales portas habet, hoc est quattuor introitus, per tres e regione interiectis viarum spatiis stabilitos parietes, ex quibus quattuor exitus ad vulturnum spectant, qui et caecias dicitur ventus, alii vero quattuor ad eurum respiciunt (18).

Quando si accosta la pianta del Santo Sepolcro gerosolimitano, cosí delineato, alla costruzione brindisina, facilmente si evidenziano, nelle linee generali, riscontri tanto puntuali da potersi definire - beninteso, con la dovuta divaricazione cronologica di ciascuna fabbrica - quasi un calco. Siffatta constatazione, che direi decisiva come risposta al problema dell'ascendenza formale dello schema della chiesa di Brindisi, rende inutile, o almeno inficia, l'ipotesi relativa all'esistenza di un edificio precedente a pianta circolare, che in epoca seriore sarebbe stato malamente manomesso inserendovi a oriente, con il taglio del muro peri metrale, un corpo rettilineo. Quando la Sciarra parla di «singolarità veramente notevole» della pianta brindisina e aggiunge: «non esistono infatti esempi paragonabili» (19), ha perfettamente ragione, perché all'epoca in cui scriveva, non conoscendosi ancora lo schema della costruzione costantiniana a Gerusalemme, quella soluzione, forse nemmeno strutturalmente gradevole, appariva ingiustificabile; e però, proprio per essere tale, costringeva a pensare a un avancorpo con funzione d'ingresso protetto o di atrio. La soluzione gerosolimitana, rende, a mio avviso, pienamente plausibile l'intuizione dell'esistenza di un avancorpo, talché la ricostruzione planimetrica (fg. 5), proposta da Eugenio Rubini e utilizzata dallo Jurlaro nel suo studio (20), mi sembra sorprendente e insieme del tutto coerente. Tolta cosí la pianta della chiesa di Brindisi da una sua presunta emarginazione nella tipologia degli edifici di culto, resta ancora da richiamare l'attenzione sulla tecnica muraria che caratterizza la costruzione e che per la sua vistosa irregolarità trova anch'essa difficili riscontri. Alla Sciarra va dato merito di aver avvertito in pieno il problema e di aver fatto il possibile per reperire esempi validi in altri monumenti; e non è colpa sua se lo sforzo non ha cavato frutti di qualche rilievo. Benché non sia compito di questa nota ragionare di tecnica muraria, conviene tuttavia ribadire che, a mio parere, due fatti sembrano particolarmente importanti: da un lato un largo reimpiego di materiali di spoglio; dall'altro la percezione di un progetto di fabbrica ridotto all'essenziale, per il quale non ci si preoccupa per le incongruenze e non si soffrono scrupoli per la rudezza di accostare il nuovo al vecchio. In altre parole, tutto lascerebbe pensare a un'opera di esecuzione condotta in tutta fretta, badando a reperire ove possibile i materiali e provvedendo alle integrazioni solo per il necessario.

Quale la ragione possibile di siffatta premura? In iniziative del genere, destinate a esaltare il committente e a guadagnarsi il favore popolare, ritengo poco plausibile pensare a volontà di rigida economia o, peggio, a carenza di mezzi finanziari. Volendo a ogni costo dare risposta all'interrogativo, l'unica via ipotizzabile mi pare allora quella di immaginare un committente di alto rango e, insieme, un evento connesso con la vicenda storica della città nel medioevo. Un evento, inevitabilmente, da collegare con le crociate.

Brindisi, come si sa, fu il terminale di uno dei maggiori itinerari dei pellegrini diretti a Costantinopoli e a Gerusalemme; qui infatti essi convergevano provenendo dalla via Appia e dalla via Latina in attesa dell'imbarco. Un importante centro di raccolta, dove si concentravano folle d'individui d'ogni ceto e cultura, doveva di necessità attrezzarsi con un'organizzazione logistica complessa, soprattutto di natura commerciale, ma certo non poteva fare a meno di approntare un qualche impianto ricettivo sul tipo degli xenodochia, come non poteva trascurare la costruzione di luoghi di culto per ragioni diverse e convergenti: testimonianza anzitutto di fede, ma anche ostentazione di ricchezza e di vitalità sociale (21). Alcune fonti del tempo ci dicono che alla costruzione di chiese prendevano parte persone di ogni condizione sociale senza distinzione di età e di sesso. Tutti riempivano carri di pietre - ai quali spesso poi si aggiogavano - e li trascinavano al cantiere; durante le soste, un predicatore li esortava alla pace e al reciproco perdono; se qualcuno rifiutava di perdonare ai suoi offensori, le pietre che aveva offerto venivano scartate ed egli espulso (22).

Questo fenomeno, certamente piú vistoso nei centri martiriali e nelle grandi città durante la costruzione di un santuario o di una cattedrale, sembra essere stato molto diffuso specialmente nei centri posti lungo i grandi itinerari del pellegrinaggio. In realtà la partecipazione collettiva all'edificazione di una chiesa assumeva il significato simbolico di edificazione della nuova società cristiana, e nello stesso tempo intendeva esaltare lo sforzo per la mortificazione fisica e la catarsi secondo la norma del pellegrinaggio penitenziale.

A questo genere di manifestazioni di riconciliazione interiore e comunitaria, sollecitate - penso - anche da circostanze di natura politica che vi avrebbero impresso un ritmo incalzante, vorrei attribuire la matrice delle particolarità che si evidenziano nella chiesa brindisina. E quanto all'evento ipotizzabile, non mi pare troppo ardito o fantasioso supporlo collegato con la prima crociata, nella quale spicca la figura di Boemondo d'Altavilla. L'intuizione, confortata da molti consensi, di attribuire ai normanni la costruzione della chiesa potrebbe diventare persuasiva nella misura in cui ulteriori ricerche nelle fonti scritte e monumentali riuscissero a chiarire i fatti costruttivi e la connessa cronologia nel contesto delle vicende politiche e sociali della città. La prima crociata, l'unica ad avere completo successo, si può dire conclusa nell'estate del 1099 con la liberazione del Santo Sepolcro e di Gerusalemme: considerando l'enorme risonanza che dovette suscitare la notizia della vittoriosa spedizione, ma soprattutto quanti entusiasmi e quali fantasie percorsero l'Europa sull'onda dei racconti dei reduci che avevano avuto la sorte di pregare sulla tomba di Cristo e mostravano la palma di Gerico a testimonianza della partecipazione all'impresa, si può intuire facilmente l'atmosfera di esaltazione entro la quale si collocherebbe l'iniziativa di erigere a Brindisi, nella città ponte del grande pellegrinaggio, un monumento-replica del Santo Sepolcro di Gerusalemme. E chi, se non la gens normanna, poteva essere interessata a tale iniziativa? Che poi alla chiesa brindisina si associasse la dedica a San Giovanni, sotto la cui denominazione si costituí l'ordine degli Ospedalieri, mi pare implicita conferma tanto della temperie spirituale della prima metà del XII secolo cui conviene assegnare la costruzione, quanto della sua primaria destinazione quale monumento celebrativo della passione del Signore.

Il San Giovanni al Sepolcro, proiettato in tal modo negli avvenimenti che agitarono allora l'intera Europa con una fiam mata di ardore insieme espiatorio e liberatorio, verrebbe ad assumere finalmente un proprio specifico carattere; di riflesso si giustificherebbero cosí storicamente e la scelta dello schema architettonico e l'articolazione interna dello spazio. Non so se questa risposta parrà persuasiva: quale che sia la sua sorte, resta il fatto che, non potendo la ricerca esaurirsi sul piano architettonico, tener presente anche una correlazione sul piano sincronico con il Santo Sepolcro di Aquileia, dal quale, pur differenziandosi quanto a monumentalità, l'edificio di Brindisi può trarre argomenti per ipotizzare un proprio ruolo nei riti celebrativi della passione, morte e risurrezione del Signore.

Precisiamo però meglio i termini della comparazione. È evidente che ambedue si richiamano a modelli dell'Anastasia di Gerusalemme, ma è evidente anche una sostanziale differenza: mentre il monumentino di Aquileia sembra costituire una replica - fedele o immaginaria non importa - dell'edicola sopra la tomba di Gesú, la chiesa di Brindisi si direbbe piuttosto la riproduzione fedele della rotonda-mausoleo gerosolimitana, e, in quanto tale, non elemento aggiuntivo (o arredo) all'interno di un'aula di culto, ma presenza architettonica importante ed emergente nel contesto del tessuto urbano. In conseguenza di tale differente origine e destinazione il confronto va limitato unicamente al rispettivo spazio interno. In realtà ad Aquileia il monumentino funge da teca o da edicola per il rito della depositio dell'ostia o della croce nella solenne commemorazione del venerdí santo (23); a Brindisi invece la liturgia è da immaginare ispirata al rituale e alla gestualità simbolica della celebrazione gerosolimitana della settimana santa (24); e perciò penso che il rito si svolgesse intorno a un manufatto-teca sul tipo di quello di Aquileia, collocato al centro della chiesa come appunto l'edicola nell'Anastasia: manufatto (o edicola?) non ha importanza se circolare o poligonale, che si potrebbe anche supporre ligneo per non aver lasciato traccia di sé sopra o sotto il pavimento.

Le vicende delle successive crociate e l'intorbidirsi della situazione politica dovettero segnare il declino d'itinerari di pellegrinaggio e di riti liturgici. Una volta asportato dal suo posto il manufatto (o edicola) il significato e il modello stesso della chiesa finirono fatalmente col perdere ogni nesso con gli ideali che l'avevano voluta e con la spiritualità che aveva alimentato le celebrazioni. Spegnendosi infine il misticismo drammatico che aveva agitato gli spiriti durante le crociate, anche la sacra rappresentazione liturgica, testimonianza eloquente della trasformazione in dramma subita dalla primitiva sinassi memoriale dell'ultima Cena, s'avvia a quietarsi nei gesti e nella partecipazione, a privarsi cioè di ogni tensione. Da allora, lentamente, il Santo Sepolcro di Brindisi perde la sua ragione storica e finisce per diventare una delle tante chiese avvolte in un passato nebuloso, intessuto di leggende in cui si scolorano contorni di fatti e personaggi; una chiesa oltre tutto diversa dalle altre per essere priva della specifica connotazione derivante dalla presenza di reliquie di martiri o dalla dedicazione al nome di un santo particolarmente caro alla spiritualità popolare.

Da queste premesse diventa chiara l'ineluttabilità del destino del San Giovanni al Sepolcro di ridursi a rudere: il destino cioè di passare da polo di devozione e di fervore di fede a testimone muto in via di fatiscenza. Un siffatto fenomeno non è infrequente nella vicenda degli edifici di culto; in questo caso però, a parte il destino immeritato, dovrebbe prevalere la coscienza delle ragioni di un recupero tanto sul piano strutturale, quanto della migliore conoscenza storica, perché la chiesa brindisina resta comunque un monumento unico nel suo genere, sia per la storia della tipologia architettonica, sia soprattutto per quella della spiritualità, essendo una testimonianza preziosa di un rito con forte accento popolare, che oggi si tende immeritatamente a comprimere, condannandolo a sicuro oblío. La voce del popolo insiste ancora nel dire che la sera del giovedí santo si va a «fare i sepolcri»: forse prima ancora di cancellare il ricordo di questa pia devozione sarebbe bene rievocarne l'origine riattivando, ove possibile, con opportuni interventi, luoghi e monumenti, come il San Giovanni al Sepolcro, che appartengono comunque al patrimonio di fede del popolo attraverso i secoli.

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Figure e foto:
1. Brindisi. San Giovanni al Sepolcro: planimetria (da JURLARO).
2. Il Santo Sepolcro nel duomo di Aquileia (da TAVANO)
3. L'edicola nel Santo Sepolcro di gerusalemme secondo le rappresentazioni figurate sulle ampolle palestinesi dei pellegrini (da BARAG e WILKINSON)
4. Il complesso degli edifici costantiniani al Santo Sepolcro di Gerusalemme (da CORBO)
5. Brindisi. San Giovanni al Sepolcro: ipotesi planimetrica del primo impianto (da JURLARO).
6. Brindisi. San Giovanni al Sepolcro: Interno. Foto di Daniela Errico

Lo studio del prof. Testini è stato pubblicato in San Leucio d'Alessandria e l'Occidente. Atti del secondo convegno nazionale su "Il santo patrono", Brindisi 10-11 novembre 1984, Brindisi 1991, pp. 83-101.

Note:
(1) L'essenziale è ségnalato nella voce Brindisi (F. BONNARD), in Dictionnarie d'histoire et de géographie ecclésiastique, X, Paris 1938, cll. 744 sgg. Per le origini del cristianesimo, sempre fondamentali le pagine dedicate da F. LANZONI, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604) (Studi e testi, 35), Faenza 1927, pp. 305 sg.
(2) B. SCIARRA. La chiesa del S. Giovanni al Sepolcro in Brindisi, Brindisi 1962.
(3) R. JURLARO, I primi edifici di culto cristiano in Brindisi in Atti del VI Congresso internazionale di archeologia cristiana, Città del Vaticano 1965, spec. pp. 684 sg.
(4) Catalogo per la mostra fotografica su Brindisi cristiana dalle origini ai normanni, a cura di G. CARITO e S. BARONE, Brindisi 1981.
(5) SCIARRA, cit., p. 61.
(6) JURLARO, cit., p. 697, fg. 14.
(7) D. SALAZARO, Studi sui monumenti dell'Italia meridionale, Napoli 1877, p. 30
(8) P. L. ZOVATTO, II Santo Sepolcro di Aquileia e la struttura del S. Sepolcro di Gerusalemme, in «Palladio» (1956), p. 40, nota 23.
(9) H. VINCENT - F. M. ABEL, Jérusalem nouvelle, li, 1, Paris 1914, pp. 89 sgg. e spec. pp. 154 sg.
(10) S. PIUSSI, Il Santo Sepolcro di Aquileia, in Aquileia e l'Oriente mediterraneo (Antichità altoadriatiche, 12), Udine 1977, pp. 511 sgg.
(11) V. C. CORBO, Il Santo Sepolcro di Gerusalemme. Aspetti archeologici dalle origini al periodo crociato, Jerusalem 1982, spec. pp. 51 sg.
(12) In «Rivista di archeologia cristiana,>, 59 (1983), pp. 451 sgg.
(13) PIUSSI, cit., pp. 520 sg.
(14) Come del resto nota il PIUSSI (cit., pp. 539 sg.), la rappresentazione della scena della risurrezione di Gesù da una tomba a sarcofago si afferma a partire dal sec. IX, ma in occidente dal sec. X. D'altra parte il sarcofago, a ben riflettere, si rivela una soluzione ideale per tradurre figurativamente l'evento della risurrezione in dinamica tensione visiva con sicura presa sull'osservatore: soluzione che avrebbe consentito, volendo, complementi o arricchimenti di attributi simbolici.
(15) Cfr. H. VINCENT, Quelques représentations du Saint-Sépulcre constantinien, in «Revue biblique», 10 (1913), pp. 525 sgg.; 11 (1914), pp. 94 sgg.; L. KÖTZSCHEBREITENBRUCH, Pilgerandenken aus dem Heiligen Land, in Vivarium. Festschrifi Th. Klauser, Munster Westf. 1984, pp. 229 sgg. Per le rappresentazioni sulle ampolle di Monza e di Bobbio: A. GRABAR, Les ampoules de Terre Sainte, Paris 1968; D. BARAG J. WILKINSON, The Monza-Bobbio flasks and the Holy Sepulcre, in «Levant», 6 (1974), pp. 179 sgg.
(16) PIUSSI, cit., pp. 537 sg.; ma si veda pure quanto osserva a p. 543.
(17) PIUSSI, cit., p. 545. Per il testo di Arculfo dettato ad Adamnano, cfr. ADAMNANI, De locis sanctis, 11, 4 (ed. L. BIELER), in Corpus Christianorum, series latina, CLXXV, Turnhout 1965, p. 187; testo riprodotto anche dal CORBO, cit., 1, p. 47.
(18) ADAMNANI, cit., p. 187; CORBO, cit., I, p. 47.
(19) SCIARRA, cit., pp. 17 e 20.
(20) JURLARO, cit., p. 699.
(21) F. CARDINI, Le crociate tra il mito e la storia, Roma 1971, pp. 19 sgg. 22 CARDINI, cit., p. 20.
(22) CARDINI, cit., p.20.
(23) Rito ben evocato negli studi dello Zovatto e del Piussi, citati alle note 8 e 10. Cfr. anche E. DYGGVE, Aquileia e la Pasqua, in Studi aquileiesi offerti a G. Brusin, Aquileia 1953, pp. 385 sgg., cui dedica una nota critica P. L. ZOVATTO, in «Aquileia nostra», 24-25 (1953/54), pp. 12 sgg.
(24) Ancora valido lo studio di J. B. THIBAUT, Ordre des offices de la Semaine Sainte à Jérusalem, Paris 1926. Documentazione ulteriore, volendo, nella Bibliografia Ege¬riana, a cura di M. STAROWIEYSKI, in «Augustinianum», 19 (1979), spec. dal n. 164 sgg., pp. 309 sgg.

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