Quanti hanno visitato in Brindisi San
Giovanni al Sepolcro, avranno notato che uno dei bassorilievi presenti
sugli stipiti dell’originario ingresso volto a ovest dell’edificio è
stato scalpellato e reso illeggibile, per motivi sconosciuti,
probabilmente in tempi lontani (fig.1 e fig.2). Quand’anche non lo
avessero notato, avrà quasi sicuramente richiamato la loro attenzione
su questo fatto singolare il custode del tempietto, che con premura
encomiabile fa da guida ai visitatori di turno [1].
“Nessuno è riuscito a capire cosa fosse scolpito in questa parte dello
stipite – mi ha detto il cordiale custode qualche tempo fa – ma doveva
essere qualcosa di sconveniente a un edificio sacro! Per esempio un
capro, che, come si sa, ha spesso avuto a che fare con il demoniaco”.
In realtà le chiese romaniche e gotiche sono ricche d’immagini
demoniache che non sono state per nulla scalpellate, avendo esse un
loro peculiare significato simbolico e didattico. Al contrario, le
scalpellature di nomi, volti, stemmi, dovuti a “damnatio
nominis” o a “damnatio memoriae”, a
seguito della presa di potere di fazioni avverse, sono fenomeni
piuttosto frequenti nella storia.
Ho fotografato l’oggetto incriminato e, raccogliendo la sfida, mi sono
ripromesso di venire a capo dell’enigma. Quella sera stessa, a casa, ho
attentamente studiato gli ingrandimenti. Alcune cose sono apparse
subito evidenti: vi sono quattro zoccoli fessi, con le relative quattro
zampe, di un animale con sul capo due corna che pare intravvedersi
nella formella. Vi è un’arma da taglio che pare essere brandita da un
pugno chiuso, a sua volta parte di un braccio (fig.3 [2]), e,
sul basso della formella, una linea zigzagante che potrebbe a prima
vista sembrare un puro fregio ornamentale
(fig.4 [3]).
La chiave d’interpretazione dell’insieme scaturisce proprio dalla
presenza di questa linea zigzagante sul basso dell’immagine. Ho già
detto che essa sembrerebbe avere una funzione puramente decorativa che
tuttavia non ha. Il senso reale di quel fregio mi è divenuto chiaro nel
ricordare che qualcosa di simile avevo in precedenza visto su una
scultura con l’effige del dio Mitra, proveniente dal mitreo di Ostia
Antica. In essa, oltre alla tipica rappresentazione del dio che atterra
il toro, è presente anche il serpente rituale, molto stilizzato, posto
sulla base della statua. Esso è molto simile a quello rappresentato
nella formella di Brindisi e pare essere scolpito su un pezzo di marmo
separato, applicato in seguito sulla suddetta base (fig.6) [4].
Partendo da questo dato mi è poi stato facile trovare altri elementi
nella formella che potevano ben accordarsi con un’ipotesi mitraica del
simbolismo dell’intera immagine scalpellata e, di conseguenza,
identificare il misterioso animale della formella con un toro e non con
un capro.
Un bassorilievo di analogo argomento, conservato nel museo del Louvre e
di più elegante fattura (fig.7 [5]) mostra gli elementi
tipici della tauroctonia mitraica:
1. Il dio che uccide il toro con un colpo di daga al collo.
2. Il serpente e il cane che attingono al sangue che cola dalla ferita
inferta al toro.
3. Lo scorpione che si attacca ai testicoli del toro.
4. Il corvo.
5. Le due divinità maggiori presenti come medaglioni sui due angoli
superiori dell’immagine.
Osservando le aree evidenziate con delle frecce negli ingrandimenti
delle foto (figg. 4 e 5 [6]) non sarà difficile
concordare che esse identificano motivi tipici dell’iconografia
mitraica; specificatamente: il serpente, lo scorpione, il toro, la mano
che colpisce il toro con una daga e, forse, un mantello svolazzante che
pare intravvedersi nel quadrante superiore destro. Un’ulteriore attenta
osservazione può far vedere, nell’angolo inferiore destro, un piede,
una gamba, un ginocchio e, con un po’ di fantasia, una coscia flessa
sul ginocchio (fig.5). Anche nel bassorilievo del Louvre e nella statua
di Ostia una delle gambe di Mitra che atterra il toro è flessa in
analoga maniera (figg. 5-6 [6]). La punta del piede
destro di Mitra potrebbe essere quella identificata nella figura 4 da
un asterisco sovrapposto.
Se questa mia ipotesi apparisse convincente, ci si dovrebbe domandare
perché una simile immagine si sia venuta a trovare sullo stipite di un
tempio cristiano, peraltro di costruzione tardo-medioevale, quando il
mitraismo era stato da tempo superato dal cristianesimo. Si possono
formulare due ipotesi. La prima è che, come in tanti casi simili, gli
stipiti siano in realtà del materiale riciclato, di fattura
tardo-romana, appartenuto in precedenza a un luogo di culto mitraico. A
Roma, ad esempio, la basilica di san Clemente è sorta sopra un luogo di
culto mitraico.
La seconda ipotesi è che lo scultore medioevale del bassorilievo abbia
agito suggerendo un’iconografia sacra oramai standardizzata del cui
significato né lui né i contemporanei conservavano più la conoscenza.
Quest’ultima ipotesi, pur suggestiva, è forse la meno probabile poiché,
se fosse vero che al momento dell’esecuzione dell’opera si era perduto
il significato dell’immagine, sarebbe vero anche che non vi era più
alcun motivo per censurarla scalpellandola selettivamente.
Ove invece il materiale fosse di origine non-cristiana, riciclato già
nel periodo successivo alle rivalità che probabilmente vi furono per il
prevalere di una delle due religioni, è ragionevole credere che ancora
vi fosse memoria del significato “pagano” dell’immagine stessa e che,
di conseguenza, essa sia stata erasa per ovvia incompatibilità con un
luogo di culto cristiano.
Vi potrebbe essere una terza ipotesi, che sarebbe più nel dominio della
pseudo-storia, oggi tanto di moda, che non della vera storia
scientificamente documentata. Si potrebbe supporre, infatti, che
l’edificio brindisino possa aver riportato qualcosa dell’iconografia
legata all’ipotetico culto eretico dei cavalieri del tempio. Essendo
questa eresia nota solo a una ristretta cerchia di persone nel periodo
in cui l’ordine cavalleresco fu sciolto, vi può essere stato chi,
nell’ambito di questa cerchia, abbia coscientemente censurato quanto
appariva chiaramente collegato a un’aberrazione di tale credenza. Che
questa eresia di una parte dei templari fosse di tipo dualistico, vale
a dire, ipotizzasse la presenza di un principio del Bene e di uno del
Male, è cosa che pare abbia un fondamento. Anche il mitraismo era una
religione iranica dualistica d’ispirazione zoroastriana. Non ci sarebbe
nulla di strano, pertanto, se il supposto dualismo dell’eresia templare
avesse tratto origine o ispirazione da correnti religiose
anatolico-iraniche sopravvissute in area medio-orientale all’epoca del
fiorire dell’ordine cavalleresco. In questo caso bisognerebbe ammettere
che il censore abbia fatto parte dei “pentiti” di tale ordine, oppure
della cerchia dei giudici inquisitori. È noto, infatti, che le
aberrazioni dei cavalieri templari, ammesso che siano realmente
esistite, erano note solo a una cerchia ristretta di persone.
Se si accettasse quest’ultima ipotesi, è ovvio, la fattura degli
stipiti dovrebbe appartenere a uno scalpellino contemporaneo al periodo
di fioritura dell’ordine templare.
Credo di avere portato sufficiente materiale sul quale studiosi ben più
ferrati di me potranno dire la loro. In particolare, sarebbe
interessante conoscere se anche le altre immagini scolpite su questi
due stipiti, quelle delle formelle non “censurate”, abbiano qualcosa a
che fare con il culto mitraico o con la misteriosa eresia di una parte
dei templari. Quest’approfondimento potrebbe portare qualche
informazione in più nel conoscere la mitologia di questi antichi
credenti – mitraici o templari che fossero – la quale, finora, non è
soltanto una mitologia misterica ma anche una mitologia in buona parte
sconosciuta.
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