Il 9 giugno 1999 il consiglio
comunale di Carovigno deliberava la cessione all’arcidiocesi
di Brindisi – Ostuni di un’area di
propria pertinenza per la costruzione della nuova
sede della parrocchia di Santa Maria del Soccorso
in via San Michele. La redazione del progetto
dell’erigenda chiesa veniva affidata agli
architetti Arcangelo Taddeo Giorgio Pala e Carlo
Pierucci i quali ne discussero le linee guida
col direttore dell’Ufficio liturgico nazionale
della Conferenza episcopale italiana don Giuseppe
Busani. Emerse il concetto di un edificio sacro
privo di effimeri segnali di eccezionalità
ma ricco di riconoscibili elementi linguistici,
formali e simbolici in stretto rapporto con il
contesto urbano e sociale del luogo. L’esigenza
architettonica non si fondò tanto sul dominio
spaziale quanto sul criterio di favorire l'inserimento
dell'opera attraverso un disegno unificatore,
lasciando ad alcuni episodi linguistico - formali
una più marcata visibilità. Tali
sono da intendersi il campanile posizionato all'incrocio
delle strade che perimetrano il lotto, la facciata
principale che presenta un ampio portico, la riproposizione
dell'abside nella zona presbiterale, l'arredo
verde che cinge la chiesa.
Il nuovo complesso di Santa
Maria del Soccorso doveva inserirsi in un’area
in cui la presenza di un’edilizia programmata
si poneva in forte contrapposizione a un'edilizia
spontanea e disordinata, che riduceva l'identità
sociale del luogo. Il progetto seguì linee
di approfondimento complesse e articolate, proponendosi
di ridefinire l'incerto sistema urbano presente
attraverso criteri di funzionalità, qualità,
bellezza e partecipazione; da qui la previsione
di attività esterne al complesso parrocchiale,
quali attrezzature sportive, culturali, semplici
elementi di arredo fisso di intrattenimento sociale,
fruibili da tutta la collettività. La chiesa,
segnale della presenza cristiana nello spazio
che la ospitava e fedele rappresentazione del
luogo consacrato ai misteri della fede, si proponeva
come luogo intorno al quale si riuniscono quanti
ricercano importanti momenti di tranquillità
e meditazione.
La ricercata immagine unitaria dell'edificio sacro
e dei locali parrocchiali, riassumeva la volontà
di imprimere una concreta carica espressiva attraverso
un’ordinata flessibilità formale;
uno degli esempi che contribuivano a chiarire
tale concetto, era nel trattamento omogeneo della
superficie delle pareti perimetrali, da realizzarsi
con pannelli rivestiti in pietra locale lavorata.
La necessità di equiparare gli elementi
murari, interni ed esterni senza una marcata supremazia
dell'uno verso l'altro, è espressione tipica
dell'architettura romanica dove la pietra costituisce
l'elemento unificatore materiale continuo che
avvolge le parti dell'edificio. Per consentire
un diretto e reale ampliamento della chiesa verso
l'esterno, si studiò la posizione del sagrato
come luogo in cui fossero praticabili manifestazioni
liturgiche all'aperto quali processioni, riti
per 1a Veglia Pasquale, il semplice incontro tra
i fedeli.
Un attento studio sulla distribuzione interna
degli spazi e delle funzioni rappresentò
l'elemento generatore distributivo ed organizzativo
di partenza e di arrivo; a tal proposito, si volle
esplicitare al massimo sia il senso della partecipazione
collettiva dell'assemblea che della meditazione
individuale. Da tale riferimento progettuale si
diede forma all'insieme architettonico esprimendo
un marcato rapporto visivo tra assemblea e celebrante
con fulcro nel presbiterio e nell'altare maggiore.
Si tentò di rendere ancor più evidente
tale aspetto funzionale, caratterizzando il sistema
copertura mediante un innovativo movimento invertito
che passa da una altezza massima nella zona dell'ingresso
principale a un'altezza minima in quella absidale.
La geometria della chiesa fu definita da una superficie
dalla forma regolare, quasi quadrata: metri 25
per 27, i cui lati corti sono piegati verso 1a
parete opposta all'ingresso per conferire un andamento
a trapezio. Da tali setti murari completamente
ciechi, scalettati e degradanti verso la parete
del presbiterio, si propagavano gli elementi dal
passo costante della copertura, pensati in legno
lamellare in stretta relazione materica e formale
con le due travi portanti anch'esse in legno lamellare;
l'insieme così costituito permetteva di
esplicitare l'organizzazione gerarchica della
struttura.
L'utilizzo di due separate travi principali in
legno lamellare che si restringevano progressivamente
in direzione dell'altare maggiore e a cui si relazionavano
le relative travi secondarie di sostegno della
copertura, consentiva di realizzare un piano vetrato
continuo disposto verticalmente nella zona di
ingresso, orizzontalmente tra le due travi principali
e di nuovo verticalmente nell'asola prodotta nella
parete dell'abside. Tale distribuzione costituiva
un gioco continuo di luce passante quasi a significare
idealmente l'evoluzione del giorno.
Strettamente legato al gioco di luce prodotto
dal taglio centrale, è la scelta del tipo
di copertura dall'andamento a capanna che quasi
sospesa rispetto alle pareti portanti, doveva
ricordare una tenda e conferire autonomia all'impianto
costruttivo dei setti verticali.
Il presbiterio, punto focale delle celebrazioni
liturgiche, fu pensato nelle sue proporzioni per
agevolare lo svolgimento dei riti e contemporaneamente
contenere altare, ambone, le sedi del presidente
e dei ministri. Ai lati dello stesso, rispettivamente
alla sua destra e sinistra, fu inserita la zona
col fonte battesimale, il coro e il tabernacolo
eucaristico, quest'ultimo collocato all'interno
della cappella feriale.
La presenza della cappella feriale, con accesso
diretto anche dall’esterno, capace di circa
60 fedeli, suggerì di inserire la custodia
eucaristica in asse con l'altare maggiore così
da essere ben visibile durante la celebrazione,
in un luogo apparentemente appartato per agevolare
la preghiera e la meditazione e comunque di facile
individuazione da parte dei fedeli. Il fonte battesimale
fu previsto lungo la parete ovest della chiesa
in uno spazio tale da favorire la partecipazione
comunitaria alla celebrazione del sacramento del
battesimo.
Il luogo della celebrazione del sacramento della
penitenza si pensò in una zona ove fosse
consentito sia il riserbo richiesto che il diretto
contatto con l'aula principale e la cappella feriale,
rappresentazione del punto di arrivo del "cammino
di conversione, luogo di ritorno a Dio e del passaggio
alla vita nuova".
La sagrestia, non staccata dal resto della chiesa
con cui è in stretto rapporto funzionale,
è direttamente collegata allo spazio presbiterale,
alla cappella feriale e alle opere parrocchiali.
I lavori presero avvio con la stipula del contratto
di appalto con la Tecnoedil Europa S.p.A. di Bari
il 13 gennaio 2001; il 29 marzo 2003 la direzione
dei lavori veniva affidata all’ing. Luigi
D’Amato che conduceva a termine l’intrapresa
sicché il 27 gennaio 2005 la chiesa poteva
venire consacrata dall’arcivescovo di Brindisi
- Ostuni mons. Rocco Talucci. L’ing. D’Amato
provvedeva altresì alla progettazione delle
opere parrocchiali di pertinenza ossia di un edificio
adibito a locali per il ministero pastorale e
casa canonica. Il progetto, approvato dal consiglio
comunale di Carovigno, con adozione di variante,
il 31 maggio 2004, è andato a pieno compimento
nel 2008.
Santa
Maria del Soccorso - Nuova sede parrocchiale
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Santa
Maria del Soccorso - Edificio Opere Parrocchiali
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Architetti
Arcangelo Taddeo - Giorgio Pala -
Carlo Pietrucci.
Santa Maria del Soccorso. Progetto
della chiesa nuova.
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Foto Studio D'Amato Engineering
per Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici
-> La
vecchia Sede parrocchiale
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