La
Cattedrale di San Giovanni Battista, il
cui perimetro fu consacrato dal pontefice Urbano
II (1088-99) nel 1089, fu compiuta entro il 1143.
L'intrapresa sottolineava la ricostruzione della
città, voluta dai normanni nel contesto
della loro politica d'espansione verso oriente;
Brindisi, di fatto, riacquistò in breve
il ruolo, già suo proprio nell'età
antica, di caposcalo nelle rotte verso levante,
passaggio obbligato per quanti da Roma volevano
dirigersi verso Gerusalemme.
A sottolinearne il ruolo, Ruggiero, figlio di
Tancredi, fu qui, nella grande cattedrale, incoronato
re di Sicilia nel 1191, primo fra i normanni ad
esserlo fuori Palermo, e nell'anno successivo
si unì in matrimonio con Irene, figlia
di Isacco l'Angelo imperatore di Costantinopoli.
Nel 1225 ancora proveniente dall'oriente, la quattordicenne
Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, avrebbe
celebrato le proprie nozze in Brindisi; lo sposo
era il signore dell'occidente, l'imperatore Federico
II.
È nella cattedrale, prossima alle banchine
del porto, che si riuniscono in preghiera i crociati
prima di salpare verso Terra Santa: Brindisi è
campo di raduno già dei partecipanti alla
I crociata. I segni della secolare presenza della
basilica cattedrale nella via dei pellegrini,
da Roma a Gerusalemme, sono nelle reliquie che
allora arricchiscono il suo tesoro: il braccio
di San Giorgio, l'idria delle nozze di Cana, le
reliquie di san Teodoro d'Amasea rendono alla
sede metropolitica brindisina prestigio e alla
città flusso ininterrotto di pellegrini.
Teodoro era ed è grandemente venerato nel
Mediterraneo orientale; protettore dell'esercito
bizantino, dedicatario di numerose città,
per secoli, dal IV sino alla traslazione delle
sue reliquie a Brindisi nel XIII, aveva avuto
in Eucaita, nell'attuale Turchia, il fulcro del
suo culto.
La basilica cattedrale, ricostruita dopo il terremoto
del 20 febbraio 1743 impostando la facciata secondo
il pignolesco schema del Gesù romano, disegnato
e realizzato da Giacomo Della Porta a partire
dal 1565, in seguito sarebbe stata più
volte restaurata.
Tra il 1920 e il 1923, ad iniziativa dell'arcivescovo
Tommaso Valeri (1910 - 42), si completò
la facciata con un timpano cui si pensò
di sostituire, coi restauri avviati nel 1957,
promossi dall'arcivescovo Nicola Margiotta (1953-75)
e condotti sotto la direzione dell'arch. Lorenzo
Cesanelli, le statue dei santi Teodoro, Lorenzo
da Brindisi, Leucio e Pio X, in cemento, modellate
da Alessandro Fiordegiglio. I lavori si conclusero
con la solenne riapertura della basilica il 18
luglio 1959; erano stati dati in appalto dal Provveditorato
alle Opere Pubbliche di Bari all’impresa
cav. Pietro Acquaviva di Brindisi. Si giustificavano
per i danni occorsi col bombardamento aereo subito
da Brindisi l’8 novembre 1941. Si era avuto
allora il crollo di tutta la copertura della basilica,
di parte del campanile, del cornicione, dello
spigolo e della quinta del prospetto. All’interno
si erano registrati danni in parte del presbiterio,
ai dipinti parietali, all’organo, agli infissi
d’ingresso e al fonte battesimale. Come
annotò lo stesso Pietro Acquaviva, si pose
mano ai “lavori della copertura, rifacimento
delle pareti, costruzione di due pensiline per
l’appoggio dei due organi, eseguito il pavimento
completo compreso quello dell’altare maggiore,
tutta la zoccolatura in marmo di Trani di tutto
il perimetro dell’interno e posa in opera
della fonte battesimale, coloritura della parete
e soffitto, riquadri alle pareti con cornici in
gesso, formando dei riquadri al soffitto e, al
centro della cupola, un grande rosone”.
A spese dell’arcivescovado, annotò
ancora Acquaviva, “furono eseguiti lavori
in economia, come pulizia del prospetto, spicconatura
dell’intonaco, eseguita in un secondo tempo,
riportando la muratura naturale ed originale della
chiesa. Costruite e messe in opera le statue sul
prospetto, sul cornicione e nelle nicchie”.
Le statue modellate da
Alessandro Fiordegiglio
Nel 2007 sono state collocate
sulla facciata della basilica le statue dei santi
Leucio d’Alessandria, Teodoro d’Amasea,
Lorenzo da Brindisi e Giustino de Jacobis, opere
di Francesco Fiorentino.
Il campanile, ove è ammurato
lo stemma dell'arcivescovo Giovan Battista Rivellini
(1778-95) che ne promosse la costruzione protrattasi
dal 1780 al 1793, fu progettato dagli architetti
Giuseppe e Carlo Fasano di Ostuni; danneggiato
dai bombardamenti aerei alleati su Brindisi durante
la seconda guerra mondiale, fu ricostruito attenendosi
all'antico modello.
Della chiesa romanica è
rimasta la planimetria basilicale, comune a quella
della coeva basilica di San Nicola in Bari, a
tre navate senza transetto, com'è dimostrato
dalle coincidenze dei limiti estremi della nuova
chiesa con quelli dell'antica. La posizione attuale
della facciata è la stessa di quella romanica,
tripartita verticalmente in fasce corrispondenti,
la centrale alla navata di mezzo e le altre due
alle laterali. La navata centrale aveva la copertura
a doppio spiovente più alta che non quella
delle navate laterali che erano a semplici spioventi.
Una bifora era al di sopra dell'unica porta di
accesso sulla facciata.
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Pavimento
musivo - particolare |
Cappella
e volta del S.S.Sacramento |
Acquasantiera |
Il pavimento musivo
della cattedrale di Brindisi appartiene ad un
gruppo di pavimenti eseguiti in Puglia e Calabria
tra 1160 e 1178. Datato 1178, esso conclude la
serie, seguendo nel tempo i pavimenti delle cattedrali
di Taranto, Otranto e Trani e della chiesa monastica
di Santa Maria del Patirion presso Rossano Calabro.
Il pavimento musivo di Brindisi, voluto dall'arcivescovo
francese Guglielmo (1173-81), ha grandemente sofferto
lungo i secoli sino alla distruzione avvenuta
per volere dell'arcivescovo Raffaele Ferrigno (1856-75).
Oggi sono visibili alcuni frammenti nella navata
laterale sinistra ed intorno all'altar maggiore.
Il mosaico fu opera di un artista che probabilmente
conosceva i pavimenti di Otranto e Taranto; creò
tuttavia una composizione originale sia per lo
stile che per l'inserimento di nuove immagini,
come la figura di Ascanio e per il rilievo dato
ad episodi della Chanson de Roland. Nei frammenti
che sono verso il fondo della navata sinistra
è la rappresentazione di un tronco d'albero
che ha radici sopra un globo con decorazione a
giglio, spinto verso destra da due uomini, tra
cerchi a larghe bordure e con decorazioni zoomorfe
nell'interno. Gli altri vicino l'altare maggiore
includono cerchi a larga bordura in cui sono motivi
zoomorfi. A differenza di ciò che resta
nella navata, vi sono animali non inclusi in cerchi
o cornici che giocano dentro e fuori i bordi,
alla destra e alla sinistra dell'altare. Questi
animali sono movimentati e vari: cani che mordono
cani, uccelli con colli legati, bestie con code
trasformate in feroci teste ed uccelli appaiati
coi colli intrecciati attraverso le eleganti bordature
alla base dell'originale muro absidale.
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Coro dei
Canonici
vista d'insieme |
Coro dei
Canonici
particolare |
Coro dei
Canonici
particolare |
Coro dei
Canonici
particolare (*) |
Coro dei
Canonici
particolare |
(*) San Giorgio che uccide
il drago e sullo sfondo la città di Brindisi
nel XVI secolo
Foto di Umberto de Vitti per Ufficio Beni Culturali
Ecclesiastici
L'area presbiteriale fu rialzata,
rispetto al piano delle navate, allorché
si ripensarono gli spazi della chiesa in relazione
alle indicazioni offerte dal Concilio di Trento;
l'abside centrale fu demolita sul finire del 1582
per dar luogo al magnifico coro dei
canonici, in legno di noce, poi
realizzato nel 1594 dall'arcivescovo Andrea de
Ajardes (1591-5) e modificato, forse per l'intervento
di Giuseppe Cino (1635-1722), ai primi del XVIII
secolo. Può ritenersi opera di intagliatori
locali, forse gli stessi che hanno eseguito il
coro della chiesa cattedrale di Nardò.
Le formelle con le immagini dei santi Giorgio
e Teodoro rendono, sullo sfondo, l'una la città,
l'altra il porto di Brindisi nel '500.
Il presbiterio è definito da una balaustra
marmorea "di marmo saravazzo" eseguita
durante l'episcopato di Antonino Sersale (1743-50)
che ne commise la realizzazione al napoletano
Aniello Gentile che iniziò il lavoro il
1748. Nel novembre di quell'anno il maestro si
fece sostituire nell'incarico dal concittadino
Michele Capuezzo cui si sarebbero aggiunti, su
indicazione dello stesso Aniello, Antonio Polmone
e Gennaro Chiriatti. Il 5 ottobre 1749 fu consegnata
l'opera. Ancora al Gentile va ricondotto il rifacimento
degli altari nelle cappelle del Santissimo
Sacramento, di Sant' Antonio da Padova
e di San Teodoro d'Amasea; in quest'ultimo
caso è la civica amministrazione, il 4
marzo 1751, a proporsi come committente. L'artista
s'impegnò allora a realizzare l'altare
in marmo "con la palaustrata avanti la detta
cappella, parimente di marmo statuario nella strottura
consimile a quella della cappella di S. Antonio
che gli sta di rimpetto". Nei tre descritti
ambiti sono tele dei Bianchi di Manduria: l'Ultima
Cena, firmata da Diego Oronzo e datata 1715,
il Giudizio di Salomone, Salomone e la regina
di Saba, Sant'Antonio da Padova,
Resurrezione di un morto, Miracolo
della mula, Giudizio di San Teodoro d'Amasea,
Martirio di San Teodoro d'Amasea e del
napoletano Filippo Palizzi (1818-99) autore del
San Teodoro a cavallo eseguito il 1840.
Clara Gelao ha evidenziato assonanze molto
forti fra l'altare del Santissimo Sacramento di
Brindisi e l'altro, con lo stesso titolo, che
è nella Cattedrale di Bitetto soprattutto
"nella struttura e nell'articolazione decorativa
della fronte e nella tipologia dei putti, dagli
identici capelli a ciocche lisce e rilevate".
Le absidi laterali furono occluse dagli altari
per i quali furono da Oronzo Tiso (1726-1800)
dipinte le due tele rappresentanti la Predicazione
di san Leucio ed il Martirio di san Pelino, compiute
nel 1771.
L'abside di destra, l'unica di cui sussista la
struttura esterna, ha cornicione sostenuto da
teste di elefanti scolpite in pietra dura; alla
base è tuttavia leggibile la firma dell'architetto
costruttore della cattedrale romanica. La lettura
di questa iscrizione è incerta potendosi
leggere PETRUS FILIUS GU(ilelm)I DE L(oc)O COM(ens)E
oppure PETRUS FILIUS GUI(donis) DE L(oc)O CON(s)E.
Il
fonte battesimale, voluto dall'arcivescovo Bernardino
de Figueroa (1571-86) è in pietra leccese;
la vasca, ornata da quattro cherubini, poggia
su un supporto in cui si evidenzia il motivo del
delfino, simbolo del Cristo. La Morte di sant'Anna,
tela dipinta da Domenico Viola nel 1682, era nella
chiesa delle Scuole Pie ove, per essere adattata
al sito predisposto, fu ampliata da altra mano
(foto).
Nella sacrestia sono due epigrafi,
già all'esterno, sulla porta principale
della chiesa, riferibili alla costruzione della
cattedrale con memoria dell'arcivescovo Bailardo
(1122-43):
COMPOSUIT TEMPLUM/ PRESUL BAILARDUS HONES(T)UM/
AUDIAT IN CELIS/ GAUDE BONE SERVE FIDELIS e del
re normanno Ruggero II (1130-54): GLORIA VERA
DEI/ T(IBI) SIT REX MAGNE ROGERI/ AUXILIO CUIUS/
TE(M)PLI LABOR EXTITIT HUIUS.
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