Il
museo diocesano è fulcro del progetto
diocesano per i beni culturali; i materiali
raccolti derivano dall'attività sistematica
d'inventariazione dei beni mobili condotta nell'arcidiocesi.
La sede è nel settecentesco palazzo del
Seminario recentemente restaurato e dotato d'impianti
di sicurezza con sezioni in Santa Teresa degli
Scalzi e in San Benedetto. La consistenza e
la funzionalità del museo vanno continuamente
migliorando; si tratta d’istituzione che
svolge un ruolo fondamentale nell'economia culturale
del territorio. In questo quadro trovano collocazione
programmi di formazione e di aggiornamento del
clero e del laicato sulla cura e sulla promozione
dei beni culturali attuati sia attraverso la
partecipazione a corsi promossi dalla CEI che
con proprie iniziative.
L'istituzione documenta le
bimillenarie vicende della più antica
sede diocesana del Salento sia attraverso i
percorsi in sito che per i rimandi continui
al tessuto territoriale con la costruzione di
una rete organica di riferimenti.
Nell'atrio del
Seminario sono materiali lapidei riferibili alla
fabbrica della Cattedrale e a chiese del centro
storico; rilievo particolare ha la statua in pietra
di san Rocco.
Nel 1526, per scampo dalla peste, fu eretta in
Brindisi, nei pressi di porta Mesagne, una chiesa
in onore di san Rocco, concessa nel 1529 in uso
ai carmelitani; nel tempo il culto per il santo,
ancora invocato durante la peste del 1656, non
venne meno. Allorché nello scorso secolo,
nel decennio francese, fu decisa la generale soppressione
degli ordini religiosi, con conseguente destinazione
di convento e chiesa a usi impropri, la statua
del santo fu traslata in cattedrale ove era stato
un altare dedicato a san Rocco prima della ridefinizione
seguita al sisma del 20 febbraio 1743. La statua,
collocata in fondo alla basilica, fu poggiata
su una vera di pozzo altomedievale ora conservata
nel museo provinciale di Brindisi. Nel corso dei
lavori, completati il 1923, voluti dall'arcivescovo
Tommaso Valeri (1910-42), la statua trovò
nuova collocazione e nuovo basamento nell'oratorio
di San Michele; i restauri del 1957 promossi dall'arcivescovo
Nicola Margiotta (1953-75) non previdero la conservazione
in sito della statua che fu allora traslata nella
chiesa di San Sebastiano o delle Anime.
La campana del
XIV secolo, già della chiesa di Sant'Anna,
porta la scritta del maestro Bartolomeo fonditore.
+ DUM PRIOR HIC MATHEUS ERAT NOS CONDIDIT AMBAS:
+SET NOS PRESBITERI MANUS EGIT BARTOLOMEI
Non trascurabili
sono le memorie dell'insediamento cappuccino in
Brindisi. Nel 1588 i padri cappuccini ottennero
in uso la chiesa di Santa Maria della Fontana
allora radicalmente trasformata. Annota lo storico
brindisino come restasse "nulladimeno in
quelle rovine intatta la cappella e l'immagine
di nostra Signora antica nel luogo istesso dove
si trovava" offrendo così persistenza
a remoti itinerari cultali. Il complesso subì
interventi notevoli in connessione alle diverse
destinazioni d'uso che ebbe una volta seguita
la soppressione degli ordini religiosi con decreto
luogotenenziale del 17 febbraio 1861. Resti pertinenti
alla chiesa conventuale furono allora riversati
in aree di discarica, da cui sono stati recuperati,
prossime al complesso stesso. Paiono attribuibili
al XVIII secolo.
Nelle
sale espositive è l’Idria di marmo
serpentino, sec. VIII. Si tratta di un "vaso
dell'Epifania": era, infatti, proprio nel
giorno dell'Epifania che era commemorato dalla
liturgia il miracolo delle nozze di Cana, evento
per il quale esso sarebbe stato originariamente
realizzato. Il vaso, analogamente a molti altri
esemplari cui è assegnata un'origine simile,
fa dunque parte di quella schiera di vasi noti
in ambito religioso e letterario come "idrie
di Cana". Si tratta di manufatti realizzati
in materiali preziosi e di provenienza orientale,
spesso corredati di iscrizioni relative al rito
di benedizione delle acque che avveniva proprio
nel giorno dell'Epifania. Tali vasi compaiono
in ambito religioso italiano sin dall'Alto Medioevo,
quali doni di provenienza orientale. Per questo
motivo la tradizione della provenienza dalla Terra
Santa del vaso ha motivo di essere veritiera:
le crociate sembrano anzi aver potuto costituire
il veicolo più appropriato per l'arrivo
di oggetti come questo, veri e propri trofei di
guerra piuttosto che doni, ma comunque oggetti
da esibire nelle sedi più autorevoli e
cui attribuire origini illustri e significati
simbolici strettamente collegati al potere politico
e religioso. Oggi sappiamo essere stata l'idria
brindisina realizzata nell'VIII secolo, in Egitto,
per essere collocata nella chiesa di Kefer Kenna
- località indicata, piuttosto che Khirbet
Qana come l'antica Cana - quale memoriale del
miracolo. Può ritenersi traslata a Brindisi
nel corso del XIII secolo, forse in uno con le
reliquie di san Teodoro d'Amasea, nell'occasione
delle nozze, celebrate nella basilica Cattedrale
il 9 novembre 1225, fra Isabella di Brienne, regina
di Gerusalemme, e Federico II di Svevia (scheda
sull'idria).
La
quadreria, collocata in Episcopio, offre notevole
documentazione sulla produzione artistica non
solo locale. Notevole è la cinquecentesca
tela con rappresentazione della Madonna con
Bambino. Restaurata il 1999, denota, nelle
figure irrigidite, negli effetti chiaroscurali
sui visi e sulle vesti, un linguaggio arcaico,
tipico della tradizione dei madonneri del secolo
XVI. Il gusto attardato ricorda, da un punto di
vista compositivo, modi tipici di Jacopo de Vanis
che dovette esercitare una certa influenza sulle
botteghe brindisine del secondo Cinquecento. Tali
influssi stilistici sono riscontrabili nella figura
muliebre che reclina leggermente il capo, in quei
tipici morfemi delle mani sproporzionate nel rapporto
tra le dita e il metacarpo, nei duri panneggi
delle vesti. L'opera può ricondursi a una
bottega locale della seconda metà del XVI
secolo, vicina all'ambiente del de Vanis. Magnifica
è la Maddalena, olio su tela,
del XVIII secolo. Il dipinto pare opera di pittore
"informato sui fatti artistici della cultura
napoletana dei primi decenni del Settecento. Pur
sviluppando un linguaggio pittorico autonomo l'artista
rivela influssi, sia pure vaghi, dell'ambiente
solimenesco". Il Sant'Antonio col Bambino,
olio su tela, presenta motivi stilistici riconducibili,
come rilevato da Antonio Infante, a Paolo De Matteis
(Piano del Cilento, Orria, SA, 1662 - Napoli,
1728). La Madonna con Bambino, olio su
tela, XVIII secolo, si deve a bottega locale,
influenzata in qualche misura dalla cultura napoletana
seicentesca. La figura della Madonna seduta e
del Bambino benedicente raffigurato in piedi sono
ben realizzate: oscurate da una penombra creata
da una fonte luminosa. L'Educazione di Maria,
olio su tela, XVIII secolo, pare da ascriversi
a un ignoto pittore locale seicentesco di cultura
genericamente meridionale. La Madonna con
Bambino e san Giovannino, olio su tela, XVIII
secolo per lo schema compositivo rimanda a modelli
classicheggianti. L'opera realizzata tra la fine
del '600 e primi del secolo successivo deriva
da un analogo soggetto raffaellesco, la Madonna
del Diadema. La Madonna del Latte,
olio su tela, ha caratteri stilistici genericamente
riferibili a una cultura seicentesca: vedi, gli
alleggeriti effetti pittorici e chiaroscurali
sui volti e le biancastre lumeggiature sugli incarnati
che denunciano un'attenzione a dati naturalistici.
Il San Paolo apostolo, olio su tela,
è attribuibile al XVIII secolo come la
Sant'Agata, opera che si muove lungo
le direttrici del naturalismo napoletano.
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Idria di marmo |
Madonna
con Bambino |
San Francesco
Saverio |
Angelo
con simbolo della Passione |
Il percorso
si completa in Santa Teresa degli Scalzi; qui
documentano l'attività di botteghe locali
settecentesche il San Francesco Saverio,
dipinto nel 1749 dal brindisino Giovanni Scatigno
(1726 - c.1780), la Madonna del Purgatorio
(foto sopra a destra),
dipinta il 1789 dal cistranese Barnaba Zizzi (1762-1828)
e i due ovali con Anime purganti. L'Angelo con
il simbolo della Passione: la scala della Croce,
è stato da Lucio Galante attribuito ad
ambito di Simon Vouet (1590-1649) che una serie
di dodici angeli coi simboli della passione dipinse
per il cardinal Ascanio Filomarino di Napoli.
Il dipinto brindisino, restaurato il 1991 da Francesca
Marzano, scrive Lucio Galante, "rivela un
autore che è così vicino al modello,
anzi che ha una tale conoscenza del suo stile
da confondersi col medesimo. In altre parole sarebbe
impensabile un tale dipinto al di fuori dello
stretto entourage del Vouet" (lettura
del dipinto e tracce didattiche).
A
ignoti argentieri meridionali è attribuibile
la duecentesca arca d'argento di san Teodoro d'Amasea.
Nel XIII secolo, in età federiciana, forse
il 27 aprile del 1210 come vuole la tradizione
o più probabilmente il 1225 in occasione
delle nozze di Federico II con Isabella di Brienne,
regina di Gerusalemme, le reliquie di san Teodoro
d'Amasea furono traslate in Brindisi dalla città
anatolica di Euchaita. Le spoglie, giunte avvolte
in uno sciamito, troveranno collocazione in un'arca
le cui quattro facce verticali sono completamente
rivestite di lastre d'argento; la frontale e la
laterale sinistra figurate con rilievi a sbalzo.
Nella parte superiore è chiusa con due
grate, una semplice, di ferro, l'altra, d'argento,
cesellata. Le varie lastre d'argento, realizzate,
ad eccezione della Vergine col Bambino sulla testata
sinistra della cassa e del San Giorgio a cavallo
che uccide il drago sul lato frontale, nella prima
metà del XIII secolo furono adattate alla
cassa attuale di cipresso, realizzata, verosimilmente,
nel XVI secolo Sul lato frontale sono, da sinistra
verso destra, le immagini affiancate dei due santi
vescovi Leucio e Pelino, benedicenti alla greca,
con pallio, mitra e pastorale; episodi salienti
della vita di san Teodoro e traslazione delle
sue reliquie in Brindisi; condanna di san Teodoro.
Sulla testata sinistra è riproposta la
passio di san Teodoro. La circostanza che, nell'ultima
lastra del lato frontale, il sovrano che giudica
il santo si presenti per due volte sfigurato e
in una privato del volto, indurrebbe a pensare
a rappresentazioni di Federico II rese irriconoscibili
in età angioina. (scheda
di approfondimento)
Lo
sciamito operato a due trame avrebbe avvolto i
resti di san Teodoro all'atto della loro traslazione
da Eucaita a Brindisi il 1225. Il tessuto di seta
dal fondo dorato è ornato di medaglioni
polilobati, disposti in serie ordinate in orizzontale
e verticale.
Un fregio continuo ad archetti, con piccoli fiori
rivolti all'interno, costituisce la cornice del
medaglione e racchiude due grifi rampanti, addossati
nei corpi e contrapposti nelle teste, caratterizzati
da anatomia poco marcata, grande occhio, becco
adunco, accenno di barba, orecchie equine, zampe
e parte posteriore del corpo leonine, ali stilizzate.
Ciascun medaglione è circondato da rosette
composte da sedici fiori rossi a otto petali mentre
motivi a intreccio costituiti da un quadrilobo
e da quattro piccoli cerchi riempiono gli interspazi
tra i medaglioni. La seta è lavorata in
armatura di sciamito:
(scheda di approfondimento
sulla sciamito)
Il telo presenta
evidenti caratteristiche tecniche e stilistiche
di ispirazione bizantino-sasanide. La preziosità
tecnica è accompagnata a quella materica:
seta e oro membranaceo noto fino alla fine del
Medioevo come "oro di Cipro" prodotto
anche a Bisanzio, introdotto in Occidente attorno
al IX secolo compongono il telo. I segni decorativi
si confrontano con almeno altri tre reperti di
notevole valore: il piviale di Bonifacio VIII
conservato ad Anagni, il cosiddetto mantello di
Don Felipe conservato al Musée Historique
des Tissus di Lione e il tessuto di una mitra
vescovile conservata sempre a Lione.
Le scarpe bianche,
ricamate, da pontificale, appartennero al beato
Giovanni XXIII, da cui furono donate al canonico
Augusto Pizzigallo. Il leggio ligneo costituiva
verosimilmente la parte centrale del coro della
chiesa di San Benedetto demolito il 1925. Fu eseguito,
per quel che si rileva da una data dipinta sul
retro ove sono le immagini, in ovale, di San
Benedetto e Santa Scolastica, il
1665.
L'urna in legno
per le votazioni capitolari ha, su tre delle due
facce, rappresentazioni di San Leucio (foto),
San Teodoro (foto)
e dello stemma del Capitolo.
La croce astile
in argento fu realizzata a spese della clarissa
Maria Cherubina Leo che ricoprì in Santa
Maria degli Angeli l'ufficio del sacristanato
il 1732. L'uso delle croci astili risale all'alto
medioevo. Poiché il sacerdote celebrava
stando dietro l'altare, la Croce non veniva posta
sopra la mensa, ma stava a sinistra, sorretta
da un crociferario, e serviva anche da croce processionale.
Nelle croci processionali del XV secolo la fantasia
gotica si esprime con grande esuberanza. Sono
della prima metà del secolo le splendide
Croci delle maggiori scuole di Venezia, in cristallo
di rocca e argento, tutte frastagliate da fiori
e figurette d'angeli. Più severe, con prevalenza
di elementi plastici, sono le croci abruzzesi,
fra cui sono note quelle di Nicola da Guardiagrele.
Probabile, come rileva Giovanni Boraccesi, si
trattasse, originariamente, di una croce d’altare
tramutata in astile fra il 1824 e il 1831 con
l’aggiunta del nodo e dell’asta processionale.
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Croce astile |
Pastorale
d'argento |
Santa Teresa
d'Avila |
Il pastorale
d'argento, reca lo stemma dell'arcivescovo Giuseppe
de Rossi (1764 -1778), nobile, originario di Napoli.
Si tratta di un'insegna liturgica propria del
vescovo e degli abati nelle funzioni pontificali,
eccettuate quelle del Venerdì Santo e dei
defunti. Consta di un'asta dell'altezza di un
uomo, munita al di sopra di una curvatura a spirale;
è consegnato nel giorno della consacrazione
ed è portato nella sinistra, la curvatura
verso il popolo nel territorio proprio. Il modello
impostosi nel secolo XVIII si è rivelato
persistente; esso vede il motivo delle foglie,
dei fiori, delle ghirlande comporre voluta elegante
intorno alle statuette centrali; la ricca decorazione
del nodo è soppressa a vantaggio di una
maggiore facilità dell'impugnatura.
Il calice, del
primo seicento, già in Episcopio, reca,
sotto il piede, l’incisione: MARIA IACINTHA
PINCETI 1638. L’ostensorio raggiato, del
Capitolo Metropolitano di Brindisi, è databile
alla prima metà del Seicento; il piatto
da parata, pur esso del Capitolo, fu realizzato
in Napoli il 1694 dall’argentiere Andrea
Califano. Il calice, già della famiglia
Antonelli-Incalza di Ostuni, pare seicentesco.
Le due legature di libro liturgico, già
in Santa Maria degli Angeli, sono databili l’una
al 1732, durante il sacristanato di suor Maria
Geronima Martini e suor Maria Cherubina Leo, l’altra,
attribuibile a Baldassarre De Blasio, al 1738.
Le tre cartegloria, anch’esse già
in Santa Maria degli Angeli, furono realizzate
negli anni trenta del settecento dall’argentiere
Simone Cimmino. Pertinenti al Capitolo della Cattedrale
di Brindisi sono due legature di libro liturgico
con lo stemma dell’arcivescovo Antonino
Sersale (1743-50). L’indice segnalibro,
anch’esso del Capitolo, fu realizzato in
Napoli nella prima metà del XVIII secolo,
come la palmatoria e l’ottocentesco servizio
da lavabo. La corona da statua è verosimilmente
attribuibile ai primi del XIX secolo.
Il busto in
cartapesta di Santa Teresa d'Avila fu realizzato,
per la chiesa annessa al conservatorio di Santa
Chiara in Brindisi, ai primi del XVIII secolo.
Come di consueto la santa è raffigurata
in un momento di estasi; probabile che nella dizione
originaria un angelo le trafiggesse il cuore con
un dardo aureo.
L'immagine
dipinta su vetro della sibilla tiburtina, d'età
romana, fu rinvenuta il 1763 dal carmelitano Vincenzo
Morelli e da questi donata a Ortensio De Leo per
essere collocata nel suo museo. La collezione,
dopo alterne vicende segnate anche da spoliazioni,
confluirà nello scorso secolo, pressoché
nella sua interezza, nel museo provinciale di
Brindisi. La sibilla è nella tradizione
classica una vergine, giovane, ma talora pensata
anche come decrepita, la quale quando è
ispirata e quasi posseduta da Apollo rivela il
futuro. Pur essendo unica nella concezione, la
sibilla ha avuto varie specificazioni locali associate
quasi sempre a una fonte sacra o a un antro; Varrone
ne fissa il numero a dieci e le dispone nel seguente
ordine cronologico: Persica, Libica, Cimmeria,
Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia e
Tiburtina. A quest'ultima si attribuiscono carmi
isolati, compresi negli Oracoli Sibillini, databili
a tardissima età imperiale. Nella chiesa
di Fontegiusta a Siena un affresco di Baldassare
Peruzzi, databile 1528, raffigura la sibilla tiburtina
che annuncia all'imperatore Augusto la nascita
di Nostro Signore. L'affresco di Raffaello nella
chiesa di Santa Maria della Pace a Roma quattro
sibille, e fra queste la tiburtina, sono raggruppate
con diversi puttini in un’armoniosa scena
elegiaca.
Sul retro dell'immagine brindisina, su proprio
supporto, è un testo dettato da Ortensio
de Leo
TIBURTINAE SANCTISSIMAE
VATIS
IMAGINEM CRYSTALLO SCITE PICTAM
CARBINATUM SUBURBANO IN AGRO
IN SALLENTINEIS
SYBILIO DICTO
A. S. MDCCLXIII FORTE EFFOSSAM
VINCENTII MORELLI CARMELIT. FAMIL. THEOL. MAG.
OPPIDI INDIGENAE CURA
STUDIOSAE POSTERITATI SERVATAM
AB EODEM VIRO HUMANISS(IMO)
MOX DONO GRATISSIMO ACCEPTAM
UNA CUM FICTILIBUS VASCULIS
HORTENT(IU)S DE LEO
ANTIQUITATIS ADMIRATOR
MUSEOLO SUO P. A. D.
XV KAL. IUNII
Il Privilegium
Imperatoris Friderici II confirmantis Peregrino
Archiepiscopo Brundusino omnia jura Ecclesiae
suae ob ejus merita praestitaque servitia eidem
Principi ab ejus incunabulis, pergamena,
del 1219 reca la firma autografa dell'imperatore
Federico II conferma all'arcivescovo di Brindisi
Pellegrino d'Asti (1216-22) le prerogative patrimoniali
e giurisdizionali di cui la sua chiesa godeva
ab antiquo.
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sibilla tiburtina
dipinta su vetro |
Piatto per elemosine
(chiesa S.Paolo) |
Piatto per elemosine
(chiesa S.Teresa) |
Pergamena a firma
di Federico II |
Il piatto per
elemosine in ottone, di manifattura tedesca, realizzato
per la chiesa di San Paolo in Brindisi nei primi
decenni del cinquecento non è inconsueto
per la Puglia del XV-XVI secolo. Fra gli esemplari
pugliesi che mostrano un uguale motivo ornamentale
a foglie incurvate e gonfie, sono quelli conservati
nel museo diocesano di San Severo e nel tesoro
della Cattedrale di Volturara e della sua chiesa
badiale di San Bartolomeo in Galdo. Altro, analogo
e coevo fu realizzato per la chiesa di Santa Teresa
con diverso motivo ornamentale: il Paradiso Terrestre
con Adamo ed Eva sotto il melo proibito, l'albero
della conoscenza del bene e del male. Può
essere raffrontabile con quello conservato nel
museo diocesano di San Severo. Sul fondo del piatto,
entro due cerchi concentrici è l'iscrizione
RATME(IN) W(E)IS(SE) K(U)N(DE) U(ND) S(O) S(E)I
ossia: "La volontà mia sappi annunciare
e così sia".
La Sacra
Famiglia con san Giovannino, già nella
Basilica Cattedrale, è interessante per
originalità. La tavola, restaurata il 1741,
era parte di un polittico forse avente a soggetto
l'Adorazione dei Magi; reinterpretata come anta
destra di una porta per la perdita dell'altare
di riferimento documenta la trasformazione della
figura di san Giuseppe in senso classico sul paradigma
del senescente pio Enea.
Nel museo è la documentazione della visita
pastorale effettuata in Brindisi da Sua Santità
il pontefice Benedetto XVI il 14-15 giugno 2008;
sono qui conservati i paramenti sacri (scheda),
il calice (scheda)
e il messale allora utilizzati.
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L'Educazione
di Maria |
Maddalena
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Madonna con
Bambino |
Madonna
del latte |
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Sacra Famiglia
e S.Giovannino |
Sant'Agata
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San Antonio
con Bambino |
San Paolo
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Foto di Umberto de Vitti per
Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici
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