Brindisini illustri - ORONZO NISI
Oronzo
Nisi (1780 – 1837)
notaio e carbonaro
Le origini
dei Nisi a Brindisi si rifanno al periodo in
cui numerose famiglie di nobili si trasferiscono
dalla Spagna nel Regno di Napoli, allora sotto
il governo riformista di Carlo III di Borbone.
Una circostanza, questa, di cui si è
venuti a conoscenza grazie a un manoscritto
iniziato da Don Tommaso Nisi nella seconda metà
del Settecento, poi ripreso dal nipote Oronzo
e da questi definitivamente chiuso il 29 gennaio
1837.
All’inizio
di queste memorie Don Tommaso, dopo avere precisato
che esse, unitamente alle carte di famiglia,
sono depositate a Tarragona, presso il notaio
Don Bruno Cavaliere del Sole, passa a descrivere
lo stemma delle famiglie Nisi e D’Albret.
In detto stemma lo scudo, la corona, le bandiere,
con la stella e due cannoni sono della Famiglia
Nisi mentre le fasce e il leone appartengono
alla Famiglia D’Albret.
Il manoscritto dei Nisi
Don Tommaso
annota poi che il padre - Don Alderico - nacque
a Tarragona il 7 maggio 1690 da Don Venerato
Nisi, Colonnello delle guardie del re Filippo
V l’Infante e da Donna Cesarina Gonzalos
dei Conti di S. Vincenzo. Tutti di Tarragona.
Il 15 marzo 1726 Don Alderico prese per moglie
Donna Tolomea D’Albret nata a Valenza
dal Grande di Spagna di 3^ classe Don Roberto
D’Albret di Murcia e dalla contessa Donna
Belisaria Orlanda Morcina del Castros, originaria
della città di S. Jacopo, camerista dell’Infante
Donna Elisabetta.
Dalla coppia, il 26 gennaio 1728, nacque, in
Valenza, un solo figlio: Tommaso.
Nel 1729 - continua la narrazione di Don Tommaso
- gli sposi, unitamente al figlioletto e ad
alcuni familiari, per il servizio militare furono
trasferiti nel Regno di Napoli. Quivi il giovane
Tommaso, rimasto solo dopo la morte di tutti
i suoi cari, il 3 aprile 1764, regnante Ferdinando
IV, prese per moglie, nella chiesa di S. Cataldo
a Taranto, Donna Beatrice Pedula, figlia del
negoziante Don Paolo e di Donna Rosa Brizio.
L’8 aprile 1766 da Don Tommaso e D.a Beatrice
nacque Don Damiano Nisi il quale a sua volta,
all’età di quattordici anni, prese
per moglie D.a Costantina Perillo, figlia di
Don Saverio avvocato napoletano e di D.a Innocenza
Valletta.
Il 27 ottobre 1780 da Don Damiano e D.a Costantina
nacque Don Oronzo Nisi che fu battezzato dal
Cavaliere di Malta fra Gennaro Maramonte.
Nel 1789 Don Tommaso fu trasferito come Governatore
Regio a Bitritto, ove portò con sé
suo nipote primogenito Oronzo ed ottenne dal
re che lo stesso fosse ricevuto con la piazza
franca nel collegio di Bari, dove fu educato
per anni sette.
A partire dal 1796 nel manoscritto avviene un
cambio di penna. Al primo estensore delle Memorie
- Don Tommaso Nisi - si sostituisce il nipote.
Siamo nel 1798 e, con la fine del Regno di Carlo,
il “buon re” come lo chiamarono
i napoletani al momento della sua partenza per
la Spagna, la stagione dei Lumi cominciava a
spegnersi. Si rimpiangeva il liberalismo di
Carlo e tutto quello che aveva fatto in venticinque
anni di regno.
Oronzo Nisi, fino all’agosto del 1800,
attese ai suoi studi in San Pietro Vernotico
presso il notaio Don Serafino Serio e il sacerdote
Don Spiridione Grasili.
Il 4 agosto 1800 prese per moglie, in Brindisi,
D.a Carolina D’Aprile, unica figlia del
Notaio Don Vito e della signora Lucia Polmone
di Brindisi.
Nel maggio 1805 fu privilegiato Notaio Regio
col breve (tutta l’attività notarile
di Don Oronzo, raccolta in 16 protocolli annuali
custoditi presso l’Archivio di Stato di
Brindisi, si svolge dal maggio 1805 al maggio
1821).
Da Don Oronzo
e D.a Carolina sono nate tre figlie femmine:
Giuseppa (1801), Concetta (1804) e Costanza
(1810). Nel 1812 morì la moglie D.a Carolina.
Nell’ottobre 1815 morì il suocero
Don Vito D’Aprile, per cui egli restò
solo con le tre figlie, ereditiere dei beni
dell’avo materno, dei quali rimase però
usufruttuario ed amministratore.
Nel novembre 1815 Don Oronzo - Vice console
inglese per l’attaccamento a tale Paese
- ne difese la Bandiera per evitarle un pregiudizio
da parte della Dogana di Brindisi. Egli infatti
si oppose a che il capitano Prossalendi di Corfù,
che comandava un trabaccolo carico di sale e
che si era rifugiato a Brindisi per forza maggiore
avendo bisogno di una sistemazione del legno,
fosse cacciato via dalla Dogana.
Ne risultò, a causa dei cattivi rapporti
stilati dai doganieri, che il Nisi passò
undici giorni di arresti nella Carceri Centrali
di Lecce, unitamente al suo segretario, Don
Giovanni Giaconelli di Brindisi.
Dalle Centrali di Lecce O. Nisi e G. Giaconelli
uscirono solo dopo l’intervento del Ministro
inglese e del Viceré di Napoli. Ne risultò
comunque che Don Oronzo, per motivi politici,
dové rinunziare alla carica di Vice console
inglese.
Nel giugno 1816 passò a seconde nozze
e prese in consorte D.a Elisabetta Giaconelli,
figlia del Notaio Don Pasquale e di D.a Concetta
Secchia. Da questa unione ebbe altri figli:
Teobaldo (1817), Speranza (1818), Liberato (1820),
Policarpo (1824), Carlo (1827), Concetta(1829)
e Filomeno (1832).
Il 21 maggio 1821 Don Oronzo fu arrestato per
misure politiche e condotto a Napoli nel quarto
superiore della Vicaria, ove fu tenuto fino
al 29 ottobre 1821, quindi rimesso nelle Centrali
di Lecce, a disposizione della Polizia, e da
qui liberato il 3 novembre 1822.
Intanto il
governo di Napoli crede opportuno, visto il
suo caparbio attaccamento alle idee liberali,
di revocargli l’ufficio di notaio. E così
il Nostro, con moglie e cinque figli, si ritrova
anche senza lavoro e riesce a vivere solo perché
cura l’amministrazione dei beni patrimoniali
delle tre figlie maggiori.
Malgrado ciò non rinuncia alle proprie
idee e continua, imperterrito, a frequentare
i ritrovi ed i vecchi amici e ad allacciare
nuove, significative conoscenze. Ha 44 anni
e, malgrado i maltrattamenti subiti in carcere,
è nel pieno del suo vigore e ancora disposto
a dire la sua contro i Borboni.
Da un dipinto andato purtroppo perduto, ma di
cui è giunta una testimonianza da parte
di una Nisi (la signora Linda, vedova di Oronzo
Nisi, l’omonimo nipote di Don Oronzo),
ci si può fare un’idea della figura
del notaio. Era egli di statura leggermente
superiore alla media ed aveva una corporatura
snella e scattante. I suoi occhi, estremamente
mobili, erano quasi nascosti da due foltissimi
sopraccigli. La fronte era spaziosa ma leggermente
corrugata e i baffi grossi e curatissimi.
Nel dipinto era raffigurato con un attillato
abito nero che ne risaltava l’agile figura;
aveva una vaporosa gorgiera di merletto bianco,
così come bianche erano le calze che
partivano da sotto il ginocchio. E sulle scarpe
brillavano due grosse fibbie d’argento.
Don Oronzo avrebbe potuto essere un rispettabile
notabile della città, condurre una vita
migliore e sicuramente più tranquilla,
godere di tutti quei vantaggi che gli sarebbero
derivati dalla protezione borbonica e invece
opta per la ribellione. E proprio per tutte
queste rinunce la sua ribellione è più
apprezzabile. È proprio questa sua scelta
cosciente che lo rende istintivamente simpatico
così come a lui ci fa accomunare quant’altri,
a Brindisi e altrove, combattevano per le medesime
idee.
Egli ha risentito
degli stridenti contrasti del Governo borbonico,
ha percepito la novità delle giovani
monarchie costituzionali, ha respirato questa
nuova aria rivoluzionaria durante il seppur
breve periodo della dominazione francese nel
Regno di Napoli (1806 – 1815). E tutto
ciò lo ha portato su posizioni critiche
e via via sempre più antitetiche rispetto
al Governo borbonico.
Infatti, se è pur vero che un intelligente
e illuminato riformismo, attuato dal ministro
Bernardo Tanucci e ispirato alle idee politiche
di Antonio Genovesi, rende particolarmente felice
per il Regno di Napoli l’iniziale periodo
borbonico, caratterizzato da una stretta collaborazione
tra la monarchia e la borghesia illuminata,
è altrettanto vero che tale accordo si
rompe al momento della fuga del re Ferdinando
IV in Sicilia (1798), dell’invasione francese
e della proclamazione della Repubblica napoletana
(22.1.1799).
Il 17 giugno 1815 Ferdinando rientra a Napoli.
La restaurazione borbonica non fu né
brutale né inintelligente, tuttavia il
rigido accentramento introdotto dalla restaurata
monarchia, l’abolizione di molte delle
riforme francesi e l’accettazione dei
princìpi della Santa Alleanza trovarono
una netta ostilità nella parte più
colta e generosa della popolazione. Il lavorio
delle sette fece il resto. A tal proposito è
opportuno precisare che Oronzo Nisi faceva parte,
in qualità di Maestro, della vendita
carbonara de “I liberi Piacentini”;
era anche segretario dei “Filadelfi”,
oltre che legionario graduato, e, per i verbali
di polizia, “effervescente”.
Si giunge al 1° luglio 1820 quando un’insurrezione
militare apre quel breve periodo di vita costituzionale
(7 luglio 1820 – 21 marzo 1821) al quale
porranno fine la doppiezza di Ferdinando e l’intervento
militare austriaco, ma che ribadisce il definitivo
divorzio tra la dinastia borbonica e la popolazione
del Regno.
Tornando
al manoscritto c’è da dire che
di alcuni episodi Don Oronzo non fa cenno alcuno.
Così in una lettera che Gregorio Zerella,
Giudice Istruttore del Distretto di Brindisi,
in data 31 dicembre 1821, indirizza all’Intendente
di Lecce, Comm. Guarini, si parla di un “tentato
assassinio in tempo di notte, ed in comitive
di tre persone, a danno di Don Giuseppe Carrasco
(Tenente della Legione) di questo Comune, che
ne rimase gravemente ferito a colpo di arma
da fuoco…”; di un “assassinio
commesso nella notte del 13 a 14 1820 in persona
di Antonio Carrasco”; di un “attacco
con pubblica violenza e ferite alla pattuglia
del Reggimento Real Corona, seguito in questo
Comune nella notte del 17 novembre…”;
della “tentata evasione de’ Servi
di pena in maggio ultimo col previo disegno
di cambiare il Governo…”; di un
“furto qualificato commesso in comitiva
la notte del 4 agosto 1820 nella masseria denominata
Cambrò in tenimento di Copertino a danno
di quel massaro Lazzaro Franco…”;
della “mascherata dell’ultimo giorno
di carnevale del 1821 in cui si solennizzò
la condanna a morte di un fantoccio allusivo
del Ministro austriaco Principe di Metternich…”.
L’ultimo
arresto di Don Oronzo, per “misure di
polizia” risale al 1826. Fu trattenuto
per nove mesi e nove giorni nelle Carceri Centrali
di Lecce e solo il 25 luglio 1827, provvisoriamente
riabilitato, poté fare rientro a Brindisi
e riabbracciare i suoi cari.
Da qui in avanti il diario tratta sempre meno
gli argomenti familiari a favore degli accadimenti
successi a Brindisi (terremoti, colera, passaggio
di regnanti, ecc.) e nel Regno.
Il manoscritto termina con l’annotazione
di un avvenimento lieto, la nascita dell’ultima
figlia, Elisabetta. Per inciso, Elisabetta è
l’undicesimo figlio di Don Oronzo, anche
se molti sono morti dopo solo pochi mesi di
vita.
Brindisi. Palazzo e araldica
dei Pignaflores, residenza storica dei Nisi
Il notaio
interrompe il manoscritto (rinvenuto nella residenza
storica dei Nisi, in via San Benedetto, nel
palazzo che era stato dei Pignaflores) solo
perché, qualche mese dopo, per l’esattezza
il 2 settembre 1837, passa, a voler usare un’espressione
a lui tanto familiare, “agli eterni riposi”.
Ed è un peccato che non abbia avuto la
soddisfazione di percorrere fino alla fine quella
stretta strada del riformismo intrapreso da
Carlo III e, tra continue contraddizioni e voltafaccia,
ripudiato dai Borboni che gli sono succeduti.
Testo di Guido Giampietro
Bibliografia:
“Storia della Famiglia Nisi e di alcuni
fatti successi a Brindisi nel sec. XIX”
a cura di Guido e Mario Giampietro - Stampato
nel 1985 presso la Grafica Cadore Srl in Milano.
(pubblicazione consultabile presso la Sezione
di Brindisi della Società di Storia Patria
per la Puglia)
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