Monumenti
L'ARCHITRAVE DELLA
CHIESA DI SAN BENEDETTO
e il simbolismo del conflitto tra Cristo e l’anticristo
Nuovi spunti per una inedita interprestazione iconografica
in uno studio di Teodoro De Giorgio, giovane storico
dell’arte cristiana e docente universitario brindisino
L’architrave
istoriato del portale marmoreo della chiesa
di san Benedetto in Brindisi (leggi)
è considerato, a giusta ragione, uno dei più
interessanti esempi di scultura figurativa dell’intero
meridione, ed è particolarmente apprezzato dai
principali esperti di arte medievale.
L’elemento scultoreo è stato oggetto di
un interessantissimo studio da parte di Teodoro
De Giorgio, storico dell’arte e professore
di Heritage Marketing (disciplina che si occupa di promozione
del patrimonio culturale) all’Università
del Salento, che ha offerto nuovi spunti di valutazione
iconografica utili ad una nuova e originale interpretazione
del significato delle immagini scolpite. Il giovane
docente brindisino, autore di numerose pubblicazioni
sulla storia dell’arte cristiana, ha posto l’attenzione
su alcuni piccoli dettagli presenti nelle tre scene
rappresentate sull’architrave marmoreo del fianco
meridionale della chiesa, riuscendo a cogliere alcuni
elementi - sino ad oggi sfuggiti alla critica moderna
– per “far luce sul reale senso”
del manufatto risalente ai primi anni del XII secolo.
La chiesa di San Benedetto e
il portale marmoreo con l'architrave
Nelle tre metope (formelle
scolpite a rilievo) sono raffigurati uomini nell’atto
di trafiggere con una lancia rispettivamente due leoni
ed un drago, animali considerati “protagonisti
dei bestiari medievali e che tanto timore incutevano
all’immaginario collettivo”, in particolare
ai fedeli che varcavano la soglia della chiesa normanna
di Santa Maria Veterana (1090) oggi dedicata a san Benedetto:
essi venivano affascinati da queste rappresentazioni
cariche di significato allegorico-morali documentate
dalle citazioni bibliche, ricevendo fondamentali insegnamenti
per imprimere con maggiore forza nelle loro coscienze
l’ammonizione a non cadere nel peccato e a vivere
e comportarsi da buoni cristiani.
L’architrave all’ingresso
della chiesa di San Benedetto "decodificato"
dallo studioso brindisino Teodoro De Giorgio
La scena centrale
è il fulcro dell’intera composizione, dove
l’artista dell’epoca, con una precisa strategia
visiva, ha volutamente attrarre l’attenzione del
credente: qui è raffigurato un monaco benedettino
senza barba, molto più alto dei due personaggi
a lato, inginocchiato sulla gamba destra mentre afferra
la coda del drago e con una lancia è pronto a
trafiggere l’animale. Il mostro, ovvero Satana,
è rappresentato di profilo mentre trae dalla
bocca la lingua lunga sulla quale è collocata
una sfera (una perla o una moneta) che sembra offrire
all’uomo, una tentazione che il giovane monaco
respinge anche grazie all’aiuto della Santa Trinità,
simboleggiata dai tre cerchi concentrici posti davanti
all’uomo, come prescritto dal Santo di Norcia
nella sua “Regula”. Nella scena
la serenità e l’indifferenza del benedettino
verso la seduzione del diavolo traspare anche dall’assenza
dell’elmo e nella dominazione fisica sull’animale,
pronto ad avvelenare l’uomo lambendolo con la
lingua (nei bestiari medievali i draghi non mordono,
ma lusingano e leccano per avvelenare); lo sguardo del
frate è inoltre rivolto verso l’osservatore
per “invitarlo a fare altrettanto”.
Architrave, scena centrale
Le due scene laterali
sembrano speculari, su entrambe vi sono monaci in abiti
da guerriero (secondo la tradizione benedettina il religioso
è equiparato ad un soldato in grado di resistere
alle insidie del diavolo), mentre con una lancia colpiscono
un leone, in realtà – spiega Teodoro De
Giorgio – i due felini apparentemente simili assumono
significati ambivalenti, rappresentando sia il Cristo
(il Leone della tribù di Davide) che l’anticristo
(descritto da san Pietro come “il diavolo
che come leone ruggente va in giro cercando di divorare”).
Nella metopa di sinistra l’uomo con baffi sottili
e un copricapo a foggia conica, vestito con un farsetto
d’arme e cintura, tiene ferma la gamba dell’animale
– ovvero l’anticristo che assume sembianze
animalesche - mentre lo infilza con una lancia nella
coscia sinistra (si vede in rilievo la punta che fuoriesce),
mentre il leone “tenta di sedurlo con la sua
voce possente”, rappresentata dal tralcio
che parte dalla bocca e si sviluppa con otto dardi o
teste di serpenti. In basso un cane (animale fedele
e pronto a morire per l’uomo) morde la coda della
fiera “a significare la presenza divina al
fianco del cristiano”.
Architrave, metopa di sinistra
Nella scena opposta
i ruoli si invertono: dalle fauci del leone, che in
questo caso rappresenta il Cristo, fuoriesce “mite
la sua parola di salvezza”, raffigurata dal
tralcio con all’estremità quattro foglie
(qui si distinguono le venature e sono cave all’interno).
Sulla coscia dell’animale è marchiato un
importante contrassegno circolare, si tratta della “ruota
armena dell’eternità” (arevakhach),
un simbolo della cultura armena di origine pagana legato
al culto del sole e che nel medioevo assunse valenza
cristologica, “tanto da essere collocato sulle
chiese, steli, croci in pietra e sui cippi funerari
per indicare la vittoria di Cristo sulla morte e il
conseguente concetto dell’eternità dell’anima”
precisa lo studioso brindisino, il primo ad individuare
e collegare questo determinante simbolo con i riferimenti
biblici all’architrave dell’edificio sacro.
Inoltre “il moto circolare in senso orario
della ruota a dieci petali – sottolinea Teodoro
De Giorgio – risalta la signoria di Cristo
sul tempo, un influsso alla cultura armena non unico
nel complesso benedettino, ma che si riscontra anche
nelle sculture e in alcune peculiarità architettoniche
delle absidi della chiesa, come già notato da
altri Autori in diversi esempi dell’arte romanica
pugliese”.
Il dettaglio della "ruota
Armena dell'eternità" (arevakhach)
L’uomo in abiti
militari dalla lunga barba ispida, che afferra la zampa
dell’animale mentre lo trafigge con una lancia,
è l’anticristo che in questo caso assume
le sembianze umane, descritto da san Paolo nelle sue
Lettere come “uomo iniquo, figlio della perdizione”,
destinato ad essere condannato e sconfitto da Cristo.
Tra le zampe del leone l’artista ha collocato
in questo caso un rapace dal becco ricurvo con orecchie
e artigli, mentre becca la coda del felino; il volatile
- probabilmente un gufo o un nitticorace - nei bestiari
medievali è indicato come uccello immondo e simboleggia
i “peccatori desviati […] che respinsero
da se il Signore che veniva per salvarli”.
Architrave, metopa di destra
Sintetizzando, gli
episodi figurativi rappresentati sull’architrave,
ricchi di elementi presenti nelle Sacre Scritture,
avrebbero principalmente lo scopo di indicare la strada
per giungere alla salvezza spirituale, “spronando
il cristiano a indossare l’armatura di Dio per
opporsi all’anticristo (scena a sinistra),
a resistere alle tentazioni del maligno (scena
centrale) e a confidare, nelle avversità
e nell’apparente sopraffazione del male (metopa
a destra), nella salvezza offerta da Cristo e alla
vita eterna”.
Teodoro De Giorgio
L’interessante
interpretazione iconologica proposta dal De Giorgio,
nominato da Papa Francesco “Cavaliere dell’Ordine
di San Silvestro Papa” per l’impegno al
servizio del patrimonio culturale della Chiesa, permette
di fare importanti passi avanti rispetto ai concetti
sin’ora espressi in molti studi pregressi, dove
si è spesso generalizzato parlando di “caccia
eroica” o semplificato il senso delle immagini
nella consueta “vittoria del bene sul male”.
Il recente studio è stato presentato durante
un importante convegno nel 2018 e pubblicato in un importante
saggio di storia dell’arte medievale.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 107 del 19/7/2019
Bibliografia:
- Teodoro De Giorgio.
L’architrave istoriato della chiesa di San
Benedetto a Brindisi: un problema iconografico,
in Conversano nel Medioevo. Storia, arte e cultura
del territorio tra IX e XIV secolo - Saggi di storia
dell’arte, a cura di Gaetano Curzi, Maria
Antonella Madonna, Stefania Paone, Maria Cristina
Rossi. 2018.
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