Monumenti - CASTELLO ALFONSINO
O ARAGONESE
Scheda storica
a cura Roberto Piliego
L'isola di
S. Andrea
L'isola su cui sorgono il Castello Alfonsino e il Forte
a Mare si chiamava anticamente Bara (nome di origine
orientale, forse ebraica): presso gli antichi fu molto
celebre ed è ricordata da Cesare, Appiano, Plinio,
Mela, Lucano. Essa fu utilizzata, durante la guerra
civile tra Cesare e Pompeo, come base d'attacco da Libone,
che per Pompeo comandava una flotta di cinquanta navi,
per cacciare dai posti vicini i presidi della cavalleria
di Cesare e spargere lo spavento tra i suoi soldati.
Marco Antonio, però, assediò a sua volta
Libone e, impedendogli di rifornirsi di acqua potabile,
lo costrinse a fuggire. Si ritiene che i suoi abitatori,
di là cacciati, avessero fondato Bari (l'antica
Barium).
Dal Medioevo l'isola si chiamò invece di S. Andrea,
perché nel 1059 l'Arcivescovo di Brindisi Eustasio,
che aveva la sua residenza a Monopoli, la concesse ai
baresi Melo e Teudelmano per costruirvi un monastero
in onore dell'Apostolo Sant'Andrea. L'importante abbazia
benedettina (i suoi imponenti capitelli sono ora esposti
nel Museo Provinciale) dovette essere costruita in breve
tempo: nel 1062 abate di S. Andrea era Melo. Nei secoli
successivi, i monaci dell'abbazia avrebbero trasferito
il culto del Santo in città, in una chiesa che
era sul promontorio detto di S. Andrea. Nel 1579, la
chiesa e il monastero di S. Andrea "piccolo"
(per distinguerlo da quello dell'abbazia dell'isola)
caddero in rovina, e all'Apostolo fu dedicata una cappella
nella nuova chiesa di S. Teresa, sorta nel 1671, il
cui convento, tenuto dai Carmelitani Scalzi, confinava
con la chiesa e il monastero diroccati.
Nel tempo, per ragioni di difesa marittima, l'isola
fu divisa artificialmente in tre parti: nella prima
sorge il Castello Alfonsino, nella seconda il Forte
a Mare, e nella terza, conosciuta come isola del lazzaretto,
vi era nel 1934 una batteria di cannoni, la "Pisacane".
Fino a 130 anni fa circa, si accedeva al porto medio
di Brindisi attraverso due aperture: la prima, chiamata
Bocca di Puglia, tra l'isola del lazzaretto e punta
Mater Domini, per la quale transitavano le navi provenienti
da Nord; e la seconda, larga il doppio della precedente,
tra il Castello e le Pedagne, per la quale transitavano
le navi provenienti dall'Oriente. Bocca di Puglia fu
chiusa da una diga nel 1869, per maggiore sicurezza
delle navi che si ancoravano a Costa Guacina.
La difesa
del porto fino al 1481
Prima della conquista di Otranto da parte dei Turchi
(1480), la prima difesa della città avveniva
all'altezza dell'attuale canale Pigonati. L'imboccatura,
anticamente molto larga e profonda, ma resa più
stretta da Cesare che voleva impedire l'uscita dalla
città del suo nemico Pompeo, fu ostruita prima
dallo stesso Cesare (48 a. C.), poi dal Principe di
Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo (1450 circa)
e quindi dal Sindaco brindisino Giacomo de Napoli (1529).
Furono i Normanni a sentire per primi il bisogno di
costruire sull'isola di S. Andrea un avamposto difensivo
del porto esterno, più probabilmente a scopo
di vedetta; mentre Carlo I d'Angiò (1226-1285),
che negli anni 1273-1274 sostenne una guerra contro
greci e albanesi, vi fece costruire probabilmente una
torre cilindrica, primo nucleo di quello che sarebbe
diventato un castello solo sotto gli Aragonesi, a seguito
della grave minaccia rappresentata dai Turchi. Gli Angioini
continuarono a considerare l'imboccatura del porto interno
(quello che sarebbe diventato il canale Pigonati) il
primo vero baluardo a difesa della città: sulle
due sponde del canale fecero costruire due torri; la
maggiore - ancora esistente alla fine del 600, sul lato
di ponente - era collegata alla minore da una catena
di ferro, come si vede bene nella celebre pianta della
città, del 1703, di G. B. Pacichelli. La catena
è conservata nel Castello Svevo, sede del Comando
della Marina Militare.
Il castello
a mare angioino (o di S. Maria del Monte)
Carlo I d'Angiò, figlio del re di Francia Luigi
VIII, prima re di Sicilia, poi anche d'Albania e di
Gerusalemme, vincitore degli Svevi nel 1266 a Benevento
e nel 1268 a Tagliacozzo (sarebbe poi stato sconfitto
dagli Aragonesi nel 1284), fece costruire a Brindisi,
nel 1268, un castello con sei torri merlate che si affacciava
sul seno di levante, in località Belvedere. Fu
questo il Castello di S. Maria del Monte (nel quale
era incorporato il palazzo reale), detto Castello a
mare per distinguerlo da quello "di terra",
lo Svevo di Federico II, che pure si affaccia sul mare.
Nel 1410 il castello aveva già bisogno di riparazioni
e divenne inutile (fu disarmato e demolito) dopo la
costruzione del Castello Alfonsino ad opera degli Aragonesi.
Carlo I d'Angiò, che attuò con scarsa
fortuna una politica espansionistica in Oriente, costruì
ai piedi del Castello un grandioso arsenale, nello stesso
luogo in cui si trovava l'arsenale romano e dov'è
ora la stazione marittima.
Il castello
Alfonsino (o Aragonese)
Nel 1481, Ferdinando d'Aragona ordinò al figlio
Alfonso, duca di Calabria, di costruire sull'isola di
S. Andrea una fortezza in grado di difendere efficacemente
porto e città con un minor numero di soldati:
all'inizio fu solo una rocca, o una gran torre, dov'era
la stanza in cui dormiva il re. Già nel 1484
il forte fu attaccato dal generale veneziano Francesco
Marcello che, dopo essere stato sconfitto sul terreno
dal brindisino Pompeo Azzolino, tentò di conquistare
la città dalla parte del mare. Ma, respinto anche
dalle artiglierie della "rocca dell'isola",
ripiegò su Gallipoli, che riuscì ad occupare
a caro prezzo.
Sperimentata con successo la capacità di difesa
della fortezza, Alfonso I d'Aragona la fece ampliare
con la costruzione di un antemurale - con bastioni -
al torrione preesistente, e con mura alte e molto spesse:
alle due torri, cilindrica e quadrata, ne fu aggiunta
un'altra poligonale così che il castello assunse
una forma triangolare. Il tutto inglobava ormai la chiesa
e l'abbazia di S. Andrea. Si chiamò Alfonsino,
ma anche "dell'isola"; i nemici che lo vedevano
da lontano lo chiamavano con timore "il castello
rosso", a causa del colore che al tramonto assumeva
la pietra, cavata nell'isola stessa, con cui era costruito.
E' noto anche come Castello Aragonese, dalla casata
dei re che lo fecero costruire. D'altro canto, Alfonso
fece ampliare e fortificare anche il Castello Svevo,
detto talvolta "castello grande" per la sua
mole.
Nel 1516, il regno di Napoli fu trasferito alla Casa
d'Austria, a seguito della morte di Ferdinando d'Aragona,
la cui figlia Giovanna aveva sposato Filippo I d'Asburgo,
arciduca d'Austria. Il loro figlio Carlo V, nato a Gand
nel 1500, il futuro imperatore, a soli 16 anni ereditò
dal nonno i regni d'Aragona e di Castiglia, con tutti
i loro possedimenti, incluse le colonie americane, poiché
il padre Filippo era morto prematuramente dieci anni
prima. Per contrastare l'enorme estendersi dei domini
di Carlo V, il re di Francia Francesco I promosse una
Lega contro di lui alleandosi con i Veneziani e i Romani
(si sarebbe in seguito unito anche con i Turchi pur
di combattere l'Imperatore).
Nel 1528, i Veneziani con 16 galee attaccarono nuovamente
il Castello, che si difese benissimo con i molti pezzi
di artiglieria di cui era stato dotato, costringendo
le navi nemiche ad allontanarsi (comandante del Castello
era allora Ferdinando Alarcòn, inviato da Carlo
V per controllare e potenziare, come fece, le fortificazioni
della città). La città fu invece costretta
ad arrendersi, e saccheggiata, quando fu attaccata dalla
parte di terra (Porta Lecce) da 16.000 soldati della
Lega. Le artiglierie dell'epoca usavano palle di pietra,
ferro e piombo. A Brindisi si fondevano i cannoni e
si fabbricava la polvere da sparo. Uno dei fonditori
era Nicola Scarzopino (operava nel 1543); mentre Bartolomeo
e Natale de Prenda fabbricavano e raffinavano polveri
da sparo per cannoni e archibugi nel 1595. Una fabbrica
di polvere esisteva allora nelle vicinanze di via S.
Ippolito. Maestri muratori, falegnami e ferrai erano
in quegli anni, a Brindisi, Donato Fischetto e Pietro
de Tuccio (operanti nel 1583), Donato Santabarbara (1593),
Teodoro Ignini (1595), Martino de Stratis (1599), Teodoro
Buongiorno (1602), Francesco Guido (1611). Fornitori
di calce erano, negli anni 1596 e seguenti, i brindisini
Donato Antonio Dotto, Matteo della Ragione e Girolamo
Moriero. Il loro nome è stato tramandato perché
vincitori di appalti indetti per opere e forniture eseguite
per il Castello e il Forte.
Il Forte a
Mare
Nei primi anni del regno di Filippo II d'Austria, figlio
di Carlo V, fu deciso di completare la fortificazione
dell'isola di S. Andrea, per evitare che il nemico,
occupato lo spazio vuoto, vi piazzasse le sue armi di
assedio o di offesa e colpisse molto da vicino il castello,
rendendolo inutile. Nel 1558, si diede inizio alla costruzione
del Forte dell'Isola, o Forte a Mare, di mole smisurata,
contiguo e congiunto alle mura orientali dell'antica
rocca; la costruzione durò 46 anni senza pausa
nei lavori. Castello e Forte costituirono un grande
triangolo isoscele; erano divisi solo da un profondo
fossato, per impedire al nemico che avesse eventualmente
conquistato l'uno di passare facilmente all'altro.
Dapprima, nel 1577, Forte e Castello furono uniti da
un ponte di pietra che scavalcava il fossato: in quell'occasione
fu aperta la porta sul Forte e fu chiusa quella del
castello che era sul mare verso mezzogiorno. Ma presto
gli ingegneri e i commissari reali si accorsero dell'errore
di esporre entrambe le fortezze ad un unico pericolo,
e sostituirono il ponte di pietra con uno levatoio di
legno per dare un solo comandante ad entrambe e per
dividerle in caso di necessità. Risale al 1583
l'iscrizione fatta apporre dal castellano Lorenzo Cariglio
di Melo in memoria dell'unificazione dei due immobili
sotto un solo comando. Per dare un'idea dell'importanza
della piazzaforte di Brindisi in Puglia al tempo degli
Austriaci: nel 1572 erano a Brindisi duemila soldati
in pianta stabile (come a Taranto); a Trani mille, a
Bari 600, ad Otranto 400. Un tentativo di attacco al
forte avvenne nei primi giorni del giugno 1616, durante
il regno di Filippo III, da parte di undici vascelli
veneziani, che furono dissuasi da otto grandi navi da
guerra spagnole, comandate dal gen. Francesco di Ribera.
Il più famoso castellano del Forte a Mare fu
il "maestro di campo" Luigi (Aloysio) Ferreyra
di Lisbona, che il 25 febbraio 1711 istituì,
con un cospicuo capitale personale di 9.000 ducati,
una rendita di 600 ducati annui a favore dei soldati
del castello e dei loro eredi. Il 4 giugno 1715 entrarono
in città 150 soldati tedeschi, dei quali cento
presidiarono il Forte a Mare e il Castello Alfonsino,
dopo che Filippo V (nipote di Luigi XIV), salito al
trono di Spagna nel 1701, primo dei Borboni, era stato
privato, con la pace di Utrecht (1713) e quella di Rastatt
(1714), del regno di Napoli, a seguito della guerra
di successione provocata dall'Austria. Vent'anni dopo,
nel 1735, con la riscossa spagnola che costrinse i tedeschi
ad abbandonare la città, il figlio Carlo III
di Borbone assunse il titolo (per la prima volta) di
re delle due Sicilie. A Carlo sarebbero successi Ferdinando
I di Borbone nel 1759, salito al trono come Ferdinando
IV di Napoli, Francesco I nel 1825, Ferdinando II nel
1830 e, ultimo, Francesco II nel 1859, appena due anni
prima dell'Unità d'Italia.
Il 12 marzo 1739 giunse a Brindisi una delegazione di
ingegneri e ufficiali di artiglieria, al comando del
maresciallo spagnolo Andrea de los Covos, primo ingegnere
di Carlo III, per fare la pianta del Forte, del castello
di terra e di tutta la città, di cui misurò
le strade e le mura. Si tratta della famosa "mappa
spagnola" in possesso del Comune di Brindisi: in
quegli anni la città era abitata da 7.000 persone,
mentre poteva contenerne più di 50.000.
Il Forte fu attaccato, danneggiato ed espugnato, il
9 aprile 1799, dal vascello francese "Il Generoso".
Brindisi, rimasta fedele ai Borboni, dopo che i rivoluzionari
francesi, entrati a Napoli tre mesi prima, vi avevano
proclamato la repubblica, ospitava in quei giorni due
controrivoluzionari corsi arruolati nell'esercito borbonico,
Giovanni Francesco di Boccheciampe e Giovan Battista
De Cesari. Costoro assunsero il comando delle batterie
del Forte, danneggiarono la nave francese (un colpo
di cannone ne uccise il comandante) che tuttavia, aiutata
da otto paranze barlettane favorevoli alla causa rivoluzionaria,
riuscì a smantellare la fortezza nel versante
in cui era disarmata e a conquistarla. I francesi entrarono
in città ma si ritirarono in fretta pochi giorni
dopo, il 16 aprile, lasciando le provviste alimentari
che avevano trovato nel Forte (farina, biscotti, vino,
fagioli, ceci, carne salata). Boccheciampe fu preso
e fucilato dai rivoluzionari nei pressi di Trani.
Nel secolo successivo, castelli e fortezze persero la
loro funzione difensiva: il Castello Svevo di Brindisi
fu utilizzato come bagno penale, il Forte a Mare come
lazzaretto, il Castello Alfonsino come sede di un faro
e, durante la Grande Guerra (1915-1918), come deposito
di mine. Nel 1984, la Marina Militare consegnò
il complesso dell'isola (forte e castello, 28.600 metri
cubi, oltre ai grandi spazi aperti) al Demanio dello
Stato, che lo affidò alla Soprintendenza regionale
ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici.
Con i fondi dell'Unione Europea destinati allo sviluppo
del turismo, e in particolare del turismo d'affari,
la Soprintendenza sta ora restaurando il Forte a Mare,
mentre la Provincia di Brindisi ha pressoché
terminato i lavori, assunti di propria iniziativa, per
il recupero funzionale del Castello Alfonsino.
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