Monumenti - CASTELLO SVEVO
Scheda storica
a cura Roberto Piliego
Il Castello grande,
detto anche svevo dall'Imperatore Federico II che fece
costruire il primo nucleo, quello interno, oltre che
"castello di terra", è - in ordine
cronologico - il secondo dei quattro castelli che Brindisi
ha avuto. Del primo, chiamato "antico", si
sa solo che era contiguo allo svevo, e si trovava nell'area
detta ancora oggi della "cittadella", e che
di esso nel sec. XVII si vedevano ancora parti delle
mura e dei fossi: una fortezza in cui i cittadini si
rifugiavano in caso di pericolo per meglio difendersi.
I due successivi allo svevo furono quelli fatti edificare
da Carlo I d'Angiò nel 1268 a sua dimora e protezione,
noto come castello di S. Maria del Monte o "castello
a mare", scomparso da oltre cinque secoli, e da
Alfonso d'Aragona dopo il 1481 sull'isola di S. Andrea,
all'imboccatura del porto medio, noto come castello
alfonsino, o aragonese, dal nome del suo fautore, o
rosso (dal colore che la pietra assumeva al tramonto),
al quale fu aggiunto dagli Austriaci, nel 1558, il poderoso
Forte a mare. Dei quattro castelli, l'ultimo fu probabilmente
l'unico ad essere eretto per fronteggiare unicamente
i nemici esterni, compito che ha sempre assolto bene,
a parte l'episodio bellico finale che lo vide attaccato
e conquistato dal vascello francese "Il Generoso",
nel 1799. Ma a quell'epoca, con i progressi dell'artiglieria,
i castelli e le altre opere fortificate avevano ormai
perso le loro funzioni difensive.
Castello Svevo o di Terra
Federico II
di Svevia
Il Castello grande nacque - come la maggior parte dei
castelli (nome che deriva dal latino "castellum",
piccolo castrum, l'accampamento militare dei Romani)
- come residenza fortificata dell'Imperatore svevo,
della sua famiglia e servitù, dei suoi funzionari
e soldati; e questi ultimi erano soprattutto saraceni,
stimati per il loro valore e fedeltà da Federico
II che, dopo averli deportati dalla Sicilia a Lucera,
li aveva poi accolti nel suo esercito e in particolare
nella sua guardia del corpo. Per i brindisini, che erano
rimasti affezionati ai Normanni e non soffrivano gli
Svevi - oltre che per il trattamento crudele che il
padre di Federico II, Enrico VI, aveva riservato al
loro nobile concittadino Margarito, grande ammiraglio
fedelissimo dei Normanni - per gli eccessivi obblighi
fiscali, le servitù e le prepotenze cui erano
assoggettati, il castello divenne il simbolo di un potere
oppressivo, contro il quale si ribellarono più
volte. Tra l'altro, l'Imperatore svevo aveva voluto
a Brindisi il fedele Ordine militare e ospedaliero dei
Cavalieri Teutonici, costituito solo da nobili tedeschi,
colpevoli anch'essi, come le soldatesche saracene, di
soprusi e molestie ai danni dei cittadini (Imperatore
e cavalieri teutonici sarebbero stati scomunicati, nel
1244, da Papa Innocenzo IV; l'ultimo degli Svevi, Corradino,
sarebbe stato giustiziato a Napoli nel 1268, e i Saraceni
che vivevano nell'Italia meridionale sarebbero stati
sterminati dagli Angioini nel 1300). Eppure, fu proprio
sotto Federico II che la città assunse l'aspetto
di una capitale, perché oltre al nuovo imponente
castello e alle mura poderose ebbe un'importante zecca,
che aveva sede nella sontuosa casa dell'ammiraglio Margarito
(che era nel sito in cui furono poi costruiti la chiesa
di San Paolo e l'annesso monastero). Nel Duomo di Brindisi
Federico II sposò nel novembre 1225 Isabella
di Brienne, figlia di Giovanni re di Gerusalemme (leggi
l'approfondimento).
Nel 1226 Federico
II pensò di approfittare del gran numero di soldati
e pellegrini in ozio, convenuti a Brindisi per partecipare
alla sesta crociata, utilizzandoli per far costruire
un castello - molto vicino a quello "antico",
che doveva essere già in cattive condizioni o
comunque non soddisfaceva il raffinato Imperatore -
con un doppio accesso: dalla parte di terra (a breve
distanza dall'anfiteatro romano e da un tempio pagano,
che furono demoliti per ricavarne il materiale necessario
alla costruzione), e dalla parte del mare, là
dove terminava l'antica via Appia. Qui le darsene consentivano
l'attracco contemporaneo di almeno venti galee per rifornire
la guarnigione nel caso in cui l'approvvigionamento
fosse stato impedito da terra. Un'eventualità
non remota poiché i brindisini avevano già
invaso 'nequiter et rapaciter' , secondo Federico, le
residenze dei cavalieri teutonici, il castello di Mesagne
e la 'domus Margariti', tra il 1220 e il 1221; si ribellarono
poi, con particolare violenza, contro Manfredi, figlio
di Federico, che per riconquistarla nel 1257, fu costretto
ad assediare Brindisi due volte. Il castello grande
fu dimora di Federico, sede di uffici, caserma, prigione
e arsenale, funzioni che ha continuato a svolgere nei
secoli successivi.
La costruzione iniziò
nel 1227, e nel 1233 il castello era già rifinito.
Di forma trapezoidale, aveva quattro altissime torri
agli angoli; era difeso da un lato dal mare e dagli
altri tre lati da un largo e profondo fossato. Negli
stessi anni fu costruito il castello di Oria, località
più salubre di Brindisi, soprattutto nelle estati
torride, posta com'è su un'altura (150 metri),
e allora circondata da una vastissima foresta. Federico
II, uomo di grande cultura, aveva tra l'altro molta
passione per l'architettura e costruiva opere, come
Castel del Monte, con l'intento di far vivere il suo
nome in eterno.
Ferdinando
I d'Aragona
Potenziato da Carlo I d'Angiò (1226-1285), prima
re di Sicilia e poi di Napoli, che nell'ambito della
sua politica espansionistica in Oriente, costruì
a Brindisi un grandioso arsenale sull'attuale sito della
stazione marittima, il castello grande fu molto ampliato
e fortificato nel 1488 da Ferdinando I re di Napoli
(detto il Ferrante), figlio di Alfonso V d'Aragona.
Egli fece costruire una nuova cinta di mura (l'antemurale),
meno alta delle torri erette 260 anni prima da Federico
II, e quattro grandi torri circolari agli angoli. Coprì
con una volta il fossato che divideva la nuova cinta
di mura dal nucleo svevo, ricavando all'interno tanti
locali sotterranei da poter ospitare - in caso di necessità
- tutti gli abitanti della città. Circondò
l'antemurale con un nuovo fosso, largo e profondo come
quello che aveva appena coperto all'interno, in modo
da dare - attraverso spiragli - luce ai locali sotterranei.
Nello scavare il nuovo fosso, furono trovate fonti d'acqua
potabile e abbondante, in grado di dissetare a lungo
gli abitanti del castello in caso di assedio. Fece costruire
anche, interrato, un ampio locale da minare in caso
di bisogno: il pericolo era rappresentato dai Turchi,
che otto anni prima avevano conquistato Otranto e facevano
frequenti scorrerie nel Salento. Nel 1492 Brindisi ospitò
un'armata costituita da cento navi, di cui 40 galere,
affidata da re Ferdinando al figlio Federico, per opporla
ai Turchi in caso di un loro attacco, che fortunatamente
non avvenne. Due anni dopo, nel 1494, Ferdinando morì,
lasciando via libera al tentativo di Carlo VIII di Francia
di rivendicare i diritti angioini sul trono di Napoli,
tentativo fallito l'anno successivo per merito della
potente lega che si era formata contro di lui.
Il 30 marzo 1496 Brindisi
fu consegnata da Ferdinando II d'Aragona, detto Ferrandino
(1467-1496), alla Repubblica di Venezia (ma il suo dominio
durò solo 13 anni), con il castello grande, il
castello alfonsino e le due torrette fatte costruire
nel 1301 da Carlo II d'Angiò, che si trovavano
sulle sponde dell'attuale canale Pigonati, e che chiudevano
con una catena di ferro (ora conservata nel castello
svevo) l'accesso al porto interno. Nella relazione di
Priamo Contarini, inviato dal doge di Venezia per fare
l'inventario dei beni della città, il Castello
grande è definito "bello e fortissimo, che
domina la città e gli altri castelli" (del
contado, evidentemente).
Carlo V d'Asburgo
L'imperatore Carlo V d'Asburgo (1500-1558), che a 16
anni - alla morte del nonno materno Ferdinando II d'Aragona,
detto il Cattolico, re di Spagna col nome di Ferdinando
V - aveva tra l'altro ereditato i domini italiani (Napoli,
Sicilia e Sardegna), ha svolto un ruolo importante nella
storia di Brindisi e del castello grande. Dopo che egli
aveva sconfitto Francesco I di Francia a Pavia nel 1525
e messo a sacco Roma nel 1527, la lega costituitagli
contro da Francia, Inghilterra, Firenze, Venezia, ducato
di Milano e Papa Clemente VII, invase il regno di Napoli.
Erano 16.000 i soldati francesi, veneziani e romani
che nell'agosto 1528 diedero l'assalto a Brindisi, dapprima
dalla parte del mare, ma inutilmente, perché
furono respinti dai cannoni del castello alfonsino.
Come ulteriore opera di difesa, per impedire l'accesso
alle navi francesi, il sindaco brindisino Giacomo de
Napoli bloccò l'imboccatura del porto interno
(attuale canale Pigonati), facendovi affondare una sua
nave (una fusta, piccola galea a un solo albero) carica
di piombo. I soldati della lega riuscirono però
a conquistare la città da porta Lecce, e vi si
insediarono requisendo le abitazioni. Comandava il castello
grande Giovanni de Glianes, per conto di Ferdinando
d'Alarçon, generale di cavalleria qui inviato
nel 1516 da Carlo V. Il castellano, nella convinzione
che una parte dei brindisini avesse instaurato rapporti
amichevoli col nemico, mentre con ogni probabilità
essi cercavano solo di fare buon viso a cattivo gioco,
ordinò di sparare con i cannoni contro le abitazioni,
colpendo così anche gli innocenti e i fedeli
dell'Imperatore. Contro l'artiglieria del castello il
nemico oppose - con un tiro incrociato - due batterie,
una che si trovava tra il castello e San Paolo (attuale
sito di S. Aloi, voce dialettale derivante dal francese
che sta per sant'Eligio), e l'altra sulla riva in prossimità
del termine dell'antica via Appia. Si continuò
a colpire da entrambe le parti per molti giorni, mentre
i soldati del castello facevano sortite vittoriose.
L'episodio che portò
al saccheggio della città e al massacro di molti
brindisini avvenne in quell'occasione. Il comandante
generale dei soldati della lega, Simone Romano, mentre
passava sul ponte situato nei pressi della seconda batteria
(per non far conoscere il suo grado era salito sul cavallo
di un semplice militare), attrasse l'attenzione di un
artigliere del castello, che si vantava con i compagni
di essere molto preciso. Costui scommise che sarebbe
riuscito a colpire l'uomo a cavallo con una piccola
bombarda (chiamata smeriglio), e in effetti - misurando
a occhio la distanza e i movimenti del cavallo - colse
il generale Romano su un fianco e lo gettò morto
a terra. I soldati occupanti celebrarono solenni funerali
al loro comandante, il cui corpo fu posto a riposare
nella chiesa di Santa Maria del Casale. Sul suo sarcofago
era ancora nel XVII secolo la seguente iscrizione: Hic
iacet Simeon Thebaldus Romanus, Imperator Exercitus.
Prima di togliere
l'assedio, i soldati della lega - non potendo vendicarsi
degli artiglieri del castello - sfogarono la loro ira,
nel corso di un'intera notte, contro la città,
saccheggiando e uccidendo uomini, donne, vecchi, come
avevano già fatto a Molfetta. Quello che ottomila
mercenari luterani tedeschi (Bavaresi, Svevi e Tirolesi)
avevano fatto a Roma l'anno prima, fecero a Brindisi
sedicimila francesi, veneziani e romani ai danni degli
innocenti cittadini. Un episodio degno di nota è
quello del brindisino che, travestito con i suoi domestici
da soldato nemico, mise in salvo vita e beni facendo
finta di svaligiare la sua stessa casa. Il sacco lasciò
Brindisi poverissima e pressoché priva di abitazioni,
perché molte erano state demolite dall'artiglieria
del castello.
Incaricato da Carlo
V, il generale d'Alarçon nel 1530 munì
la città di nuove mura, potenziò i castelli
e porta Lecce e fece costruire i torrioni di San Giacomo,
San Giorgio (si trovava davanti all'attuale piazza della
stazione ferroviaria) e quello posto a lato della porta
di Mesagne.
Fu Gioacchino Murat,
generale francese e cognato di Napoleone, re di Napoli
dal 1808 al 1815 (allorché fu fatto fucilare
dai Borboni a Pizzo Calabro), a trasformare nel 1814
il castello grande - da tempo in stato di abbandono
dopo che era stato dismesso dagli Spagnoli - in "bagno
penale", funzione che svolse anche sotto i Borboni
e i Savoia fino ai primi anni del 900, quando la Marina
Militare ne fece la sede della sua base di Brindisi.
Nel 1879 il castello ospitava 800 forzati.
Il medico milanese
di Carlo V, Luigi Marliano, suggerì all'Imperatore
nell'estate 1516 di adottare quale stemma di Brindisi
le due colonne - che comunque erano già da secoli
l'emblema più o meno ufficiale della città
- così come si osservano, con la scritta ai lati
"AD HERCVLIS COLVMNAS", nel bassorilievo in
pietra murato all'esterno del castello grande, all'ingresso
del Comando della Marina Militare.
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