COLLEZIONE ARCHEOLOGICA
FALDETTA – Palazzina del Belvedere
La Collezione
Archeologica Faldetta è ospitata all’interno
della Palazzina Belvedere, sul lungomare
del porto interno di Brindisi, nei pressi della scalinata
Virgilio (Viale Regina Margherita, 11-12), con alla
sommità i resti della casa del sommo poeta latino
Virgilio, e delle Colonne Romane.
La Palazzina Belvedere, sede
della Collezione Archeologica Faldetta
CENNI STORICI
PALAZZINA DEL BELVEDERE
La sistemazione della piazzetta in cui furono erette
le Colonne Romane, comunemente note quali terminali
della Via Appia, costituisce una delle questioni care
alle politiche urbanistiche del ventennio fascista.
Nel 1928 l’Amministrazione Comunale incaricò
l’architetto Saverio Dioguardi per la realizzazione
del progetto di sistemazione dell’area, che fu
approvato l’anno successivo.
Con il progetto si andavano a demolire due fabbricati
preesistenti e si realizzava una nuova gradinata parallela
a quella esistente, con inserimento di archi rampanti,
due sfingi e un ballatoio, pensati quali rimandi alle
antiche vestigia romane, e la costruzione laterale di
un nuovo edificio con loggiato e balconi ed una terrazza
destinata a pubblico belvedere.
Il progetto ebbe parere negativo da parte del Consiglio
Superiore per le Antichità e Belle Arti, che
rilevava una profonda alterazione del contesto storico.
Nel 1930 fu redatto un nuovo progetto (del costo finale
di lire 490.000) a cura dell’ufficio tecnico comunale,
che prevedeva l’attuale sistemazione della scalinata
e del Belvedere, con la Palazzina che ospita la collezione
Archeologica Faldetta, scandito per tutta l’altezza
da lesene.
La soluzione a cui si pervenne prevedeva, come è
attualmente visibile, una unica scalinata con due pianerottoli
intermedi, su cui sono posti due lampioni per lato a
forma di candelabro.
Il complesso fu inaugurato nel 1931.
LA COLLEZIONE
ARCHEOLOGICA FALDETTA
La Collezione, sottoposta a tutela ai sensi della legge
1° giugno 1939 n. 1089 con decreto ministeriale
18 ottobre 1978 proposto dalla Soprintendenza Archeologica
della Puglia, vanta 363 reperti essenzialmente
di provenienza pugliese, disposta nella sala di piano
terra e del piano superiore.
Essa comprende una ricca varietà di forme vascolari
in ceramica micenea, corinzia, attica a figure nere,
italiota a figure rosse, a vernice nera, bruna e rossa,
in stile di Gnathia, policroma, acroma, geometrica,
subgeometrica e a fasce. Inoltre, vi sono anche esempi
di reperti in pasta vitrea, in bronzo ed alcuni esemplari
di coroplastica e scultura di ambito indiano.
La potenzialità
della collezione è nella unicità di alcuni
esemplari. Tra questi di notevole importanza vi sono:
una giara a staffa, di produzione micenea
del 1300-1230 a.C. (foto 1 in
basso) e sei crateri a campana, appartenenti
alla ceramica italiota a figure rosse del IV secolo
a.C.
Tra i crateri di ceramica italiota a figure
rosse spicca, per il suo notevole valore artistico
e storico, un cratere di produzione protoapula del secondo
venticinquennio del IV secolo a.C., attribuito dal prof.
Arthur Trendall (noto specialista di ceramografia antica),
alla cerchia del Pittore di Tarporley, che dipinge scene
figurate in cui è ripetutamente raffigurata una
maschera teatrale. L’eccezionalità è
nella particolare e rara decorazione che il vaso reca:
la raffigurazione di due maschere femminili.
Il reperto in esame è stato menzionato su un
importante saggio scientifico, edito da John Russel
Brown dal titolo “The Oxford Illustrated History
of theatre” (foto
2 in basso) .
Inoltre, va citato un altro cratere a campana, sempre
collegato al mondo del teatro, sempre di produzione
protoapula (380 -360 a.C. ca.) sul quale il soggetto
della scena principale è una scena dell'Orestea
di Eschilo. Il cratere è attribuito ad un seguace
del pittore di Tarporley, al "Long Overfalls Group".
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Foto 1: Giara a staffa
Ceramica micenea |
Foto 2: Cratere a campana
a figure rosse
Ceramica italiota a figure rosse
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Gestione, valorizzazione
e promozione:
Associazione culturale di Promozione Sociale
Le Colonne Arte Antica e Contemporanea.
Fotogallery
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Alcuni reperti
della Collezione Archeologica Faldetta
GIARA A STAFFA
Vetrina A, reperto
1;
H 11,2 cm;
Diametro orlo 2 cm;
Diametro piede 3,7 cm;
Produzione del Miceneo IIIB, 1300-1230 a.C.
Il contenitore, modellato
al tornio, è realizzato in argilla beige, il
bocchello cilindrico con orlo arrotondato è posto
verticalmente sulla spalla, e le due anse a bastoncello
raccordano il collo centrale, chiuso da un elemento
discoidale, al corpo globulare.
A partire dal collo sono presenti tracce di vernice
nera, sulla spalla, in particolare, la decorazione vegetale
è resa da linee e punti, mentre il corpo è
decorato da fasce e linee parallele fino a raggiungere
il piede a disco. Anche le anse sono verniciate.
Discreto stato di conservazione, il piede risulta scheggiato,
la decorazione poco leggibile e abrasa, sono presenti
incrostazioni.
La giara a staffa
era un contenitore adibito a contenere liquidi e rappresenta
l’unico esemplare della collezione appartenente
alla ceramica micenea.
L’uso del gusto decorativo minoico, caratterizzato
da elementi naturalistici fantasiosi ed eleganti, fu
senz’altro d’ispirazione per la civiltà
micenea, ma nella fase avanzata di questa cultura si
denota un graduale distacco dall’arte cretese.
La decorazione mostra una stilizzazione sempre più
evidente che comporta successivamente, la trasformazione
di temi vegetali e zoomorfi in forme lineari; le fasce
di linee ondulate, i semicerchi concentrici, le linguette,
le volute e i reticoli, per l’appunto, si concentrano
in zone e riquadri metopali del vaso seguendo un criterio
estetico geometrico. Inoltre, le tipologie dei contenitori
si riducono a pochi tipi.
La ceramica micenea si diffuse in tutto il Mediterraneo
spingendosi fino in Occidente, tanto che in Puglia si
attestano ritrovamenti nella fascia costiera ionica
e adriatica (Punta Le Terrare, Torre Santa Sabina, ecc.)
a dimostrazione anche del fatto che questi popoli fossero
dei grandi navigatori e commercianti.
OINOCHOE
Vetrina A, reperto
2;
H 12 cm;
Diametro corpo 10,6 cm;
Diametro piede 10,1 cm;
Produzione del Protocorinzio Medio (MPC I), 680-665
a.C.
Il contenitore, utilizzato
per versare il vino o l’acqua (oinos, vino e chéo,
verso), è in argilla giallina, modellato al tornio,
caratterizzato da un corpo globulare, una bocca espansa,
un fondo piatto e un’ansa a nastro sormontante.
A partire dalla base del collo si notano decorazioni
in vernice rosso bruna, quali un serpente e delle rosette,
che evolvono poi in linee e fasce parallele con una
serie di sigma sul corpo, e in linee verticali e orizzontali
parallele sull’ansa.
Il vaso è stato ricomposto e integrato con ampie
integrazioni in gesso; il labbro è stato completamente
restaurato.
Il periodo che va
dal X all’VIII sec a.C. vede, nella Grecia delle
poleis e delle colonie, l’elaborazione di un primo
modello matematico di “bellezza universale e armonicamente
ordinata”, base di tutta l’evoluzione artistica
ellenica: è il periodo geometrico, in
cui le decorazioni di vasi adibiti alla conservazione
di acqua e vino, sono costituite esclusivamente da linee
rette o regolarmente circolari (la loro esecuzione avviene
con il solo uso del compasso e della riga). Si tratta
di eleganti fasce in cui si alternano secondo ritmi
gradevoli e proporzionati, quadretti, triangoli, losanghe,
cerchi, linee spezzate, meandri.
Alla fine dell'VIII secolo cominciano ad apparire figure
umane e di animali che entrano a far parte di scene
figurate, ma sempre con proporzioni, forme e stilizzazioni
(silhouette) che riprendono la geometria dell'insieme.
Solo dopo essersi nutrita per oltre 300 anni di stilemi
geometrici, la Grecia si lascia affascinare e invadere
da motivi, temi, tecniche prettamente orientali; questi
verranno pienamente assimilati e rielaborati con diverse
intensità a seconda delle aree geografiche e
culturali. Atene infatti, rimase ancora chiusa nella
cultura geometrica per la prima parte del VII sec a.C.,
a differenza di altre città come Corinto, le
isole Cicladi e Creta, centri di grande dinamicità
commerciale, collocate strategicamente lungo vie di
scambio.
Intorno al 720 a.C. a Corinto si avvia un processo di
differenziazione della produzione ceramica e nasce lo
stile protocorizio.
Tra la fine dell’VIII
e la metà del VI sec a.C. Corinto divenne un
fiorentissimo centro di produzione ceramica in Grecia
e nel Mediterraneo, basti pensare alla notizia riportata
da Plinio il Vecchio che la ruota del tornio fu inventata
qui per comprendere l’importanza che assunsero
le ceramiche corinzie.
Mentre le botteghe ateniesi continuavano a ripetere
gli stilemi tardo geometrici, Corinto introduce elementi
nuovi, di influenza orientalizzante nella sintassi decorativa
e nella forma dei contenitori stessi. Sono vasi di piccole
dimensioni, spessore molto sottile, fabbricati con un’argilla
chiara e fine che in cottura assume i toni del giallo,
del verdino e del camoscio, mentre la tonalità
delle vernici oscilla dal rossastro, al bruno, al nero.
Nel primo periodo della produzione (fase protocorinzia),
l’ornato si compone di elementi subgeometrici
di linee, fasce orizzontali e verticali, motivi a chevrons,
corone di raggi a cui gradualmente si aggiungono animali
(uccelli, pesci, cervi, leoni), rosette, trecce e spirali,
fino ad arrivare, infine, a fregi figurati a vocazione
narrativa e mitologica. Oltre che per il colore, si
distinguono per le dimensioni ridotte dei contenitori
destinati a unguenti e olii profumati, aryballoi, ispirati
a unguentari orientali, dai profili conici, ovoide e
piriformi.
Verso la fine del VII secolo la produzione corinzia
entra in crisi, ma le ceramiche continueranno a essere
commercializzate anche nel secolo successivo, e a partire
dal VI secolo a.C., si assiste al fiorire di forme di
imitazione di queste tipologie vascolari in occidente
(ceramica Italo-Corinzia).
AMPHORISKOS
Vetrina A, reperto
6
H 9,3 cm;
Diametro orlo 2,7 cm;
Diametro corpo 5,6 cm;
Diametro piede 2,1 cm;
Produzione Corinzio Tardo (LC I), 570-550 a.C.
La piccola anfora
in argilla beige con inclusioni micacee aveva la funzione
di balsamario, adibito quindi alla conservazione di
olii profumati e balsami. Il labbro è ad anello
rilevato e un collo troncoconico si unisce al corpo
ovoide che si rastrema verso il basso; sul collo e sulla
spalla in particolare, sono dipinte delle linguette
con vernice bruna lucente, mentre sul corpo si susseguono
linee e fasce parallele con punti disposti a scacchiera.
Le anse, a bastoncello verticali, sono decorate con
tratti paralleli.
Il contenitore reca un foro sul corpo e l’orlo
scheggiato; la decorazione evanida.
ARYBALLOS
H 7,6 cm;
diametro orlo 3,2 cm;
diametro corpo 4,5 cm;
diametro piede 1 cm;
Produzione Protocorinzio Tardo (LPC), 630 a.C. ca.
L’aryballos,
anch’esso realizzato al tornio in argilla beige,
è costituito da un labbro a disco e un collo
cilindrico collegato al corpo piriforme, con spalla
convessa e piede a disco; dal labbro al corpo un’ansa
a nastro verticale.
Come già accennato, le figurazioni che caratterizzano
questa fase matura sono teorie di animali pascenti alternati
a fiere e riempitivi a rosetta. Infatti, sul labbro
si denota una raggiera tra circonferenze, sulla spalla
delle rosette a punti e sul corpo un fregio con cani
in corsa verso sinistra intervallati da punti; il fregio
è delimitato da linee e punti disposti a scacchiera.
Anche sul fondo una raggiera mentre sul piede e sull’ansa,
una fascia.
La decorazione è parzialmente evanida e sono
presenti incrostazioni.
ALABASTRON
H 8,7 cm;
Diametro orlo 3,3 cm;
Diametro corpo 4,8 cm;
Produzione Corinzio Antico (EC), 620-590 a.C.
Tra i vasi unguentari
si annovera anche l’alabastron, per contenere
l’olio che i giovani usavano per ungersi il corpo
quando andavano in palestra e che erano soliti legare
al polso con una cordicella. Questo esemplare presenta
un labbro discoidale, un collo cilindrico che sfuma
nel corpo ovoide con fondo concavo e un’ansa forata
verticale. il labbro e il collo sono decorate con linguette
e una fila di punti, il corpo invece ospita rosette
e una Sirena di profilo a destra con ali falcate e polos
sul capo.
HYDRIA
Vetrina H, reperto
n.77;
H 36 cm;
Diametro orlo 13 cm;
Diametro piede 11,7 cm;
Produzione apula del terzo venticinquennio del IV sec
a.C.
L’Hydria
è un vaso greco utilizzato principalmente per
il trasporto dell’acqua; ha corpo ovoidale distinto
dal collo ed è munito di tre anse: i due orizzontali,
posti simmetricamente uno dall’altro, sul punto
in cui il corpo è più largo, per attingere
l’acqua e sollevare il vaso all’altezza
del capo; il terzo verticale, posto sul retro tra collo
e corpo, per versarla.
La forma canonica dell’hydria viene dapprima
sviluppata in bronzo e successivamente in ceramica;
nel VI sec a.C. è fabbricata con collo e corpo
ben distinti e diventa molto diffusa tra i ceramografi
a figure nere e a figure rosse per le sue ampie pareti,
ottimo supporto per rappresentazioni mitologiche e non.
Questo reperto è dotato di labbro espanso con
orlo revoluto, collo concavo e spalla arrotondata, il
corpo globulare rastremato verso il basso, il piede
troncoconico e le tre anse a bastoncello.
La decorazione parte dall’orlo con baccellature
in nero, continua con un ramo di alloro sinistroso tra
linee e si estende sul corpo. Sul fronte, si vede una
scena di offerte legata al culto di Dioniso: una menade
di tre quarti a destra con timpano e corona fiorita
tra le mani, è rivolta verso Dioniso, seduto
di profilo a sinistra su uno scranno drappeggiato. Il
dio regge una phiade e un lungo fiore campanulato,
indossa alti calzari e porta una tenia sul capo. La
menade, invece, indossa un chitone cintato, calzari
e un mantello che pende dal braccio sinistro, ha i capelli
raccolti in un sakkos aperto, è adorna
di stephane, una collana a doppio giro e armille
doppie. Tra di loro, una phiale, elementi vegetali
e una tenia.
Sul retro del corpo, è stata raffigurata una
palmetta incorniciata da girali e alla base, un meandro
interrotto da riquadri con punti, che percorre l’intero
perimetro.
Agli attacchi delle anse sono presenti sbaccellature.
Il vaso è in argilla nocciola, a figure rosse
e vernice nera coprente; sono presenti monili e tocchi
di colore sovradipinti in bianco e bianco - giallo.
Anche questo reperto è stato ricomposto con piccole
integrazioni di gesso dipinto e presenta delle scheggiature.
Tra i diversi reperti
appartenenti alla classe ceramica italiota a figure
rosse, non mancano altri esemplari come ad esempio il
pelike, vaso simile all'anfora a profilo continuo,
ma più ampio nella parte inferiore del corpo,
oinochoi trilobate, lekythoi, skyphoi, lekane ecc.
TROZZELLA
Vetrina Z, reperto
n.232;
H 23 cm;
Diametro orlo 6,5 cm;
Diametro piede 5,8 cm;
Produzione messapica, 340-290 a.C. ca.
La classe ceramica
geometrica, sub geometrica e a fasce si afferma in ambito
apulo nella prima età del Ferro (IX-VIII sec
a.C.), nel periodo in cui la civiltà iapigia
si evolve nelle tre componenti geografiche che caratterizzano
l’età preromana in Puglia: Daunia, Peucezia
e Messapia.
La classe ceramica
geometrica, sub geometrica e a fasce si afferma in ambito
apulo nella prima età del Ferro (IX-VIII sec
a.C.), nel periodo in cui la civiltà iapigia
si evolve nelle tre componenti geografiche che caratterizzano
l’età preromana in Puglia: Daunia, Peucezia
e Messapia.
Nella collezione archeologica Faldetta la maggior parte
di questa ceramica è di produzione messapica
e tra le varie forme vascolari quella più rappresentativa
è la Trozzella.
La sua forma insolita (che non trova riscontri in altri
luoghi) e la sua costante presenza nei corredi tombali,
fanno supporre che la sua funzionalità non fosse
quella di un oggetto d’uso e che il suo nome,
forma italianizzata della voce dialettale salentina
tròzzula (dal latino troclea, carrucola)
le fosse impropriamente attribuito. Probabilmente si
tratta della trasposizione in ceramica dell’anfora
in metallo munita del sistema di rotelle e corde per
emungere acque sorgive o di raccolta.
Si tratta comunque di un vaso avente un uso simbolico
ed occupava un posto importante nel rituale funerario.
L’esemplare
n.232 è stato realizzato in argilla chiara. È
costituito da labbro estroflesso, collo troncoconico,
corpo globulare con spalla distinta, piede a disco modanato
con fusto di raccordo, anse a nastro inflesse e una
coppia di trozze.
Le decorazioni, in pittura bruna opaca, comprendono
triangoli, rombi, scacchiere, clessidre e fasce, infatti
è quello che si rileva dal reperto preso in considerazione.
Sul labbro vi è una fascia, sul collo riquadri
delimitati da linee e campiti da file di punti, linee
ondulate, rombi reticolari, un’onda semplice,
punti e motivi “a esse” tra rombi e un tralcio
di edera sinuoso; sul corpo invece, un’onda destrosa
e un’alta fascia compresa tra due coppie di linee
parallele. Parte del piede è verniciato e sulle
anse è possibile notare una linea ondulata tra
linee continue; sulle trozze, dischi crociati con punti.
La trozzella è stata ricomposta con ampie integrazioni
di gesso sul piede; la decorazione si presenta scrostata
e poco riconoscibile; sono presenti incrostazioni.
La collezione ospita
diverse tipologie di trozzelle appartenenti ad un lasso
temporale compreso tra la seconda metà del VI
sec e la prima metà del III sec a.C. Di seguito
alcuni di questi reperti per sottolineare come la dimensione,
la decorazione, il numero di trozze … cambia nel
corso dei secoli.
CERAMICA ITALIOTA
La collezione Archeologica
Faldetta comprende una trentina di vasi a figure rosse
appartenenti quasi esclusivamente alla produzione apula
con l’eccezione di un cratere a campana di produzione
proto lucana.
La ceramica italiota a figure rosse costituisce una
delle più importanti attestazioni della cultura
magnogreca.
Questa tipologia vascolare, che imita la ceramica attica
a figure rosse, si diffonde in Lucania, Puglia e Campania
a partire dagli ultimi decenni del V secolo a. C. e
si consolida in modo particolare nel IV secolo a.C..
La produzione apula, pur essendosi ispirata a modelli
attici, sviluppò ben presto un proprio repertorio
con caratteri stilistici e tematiche originali che alternava
forme di grandi dimensioni, decorate da scene spesso
di grande complessità, a forme di medie e piccole
dimensioni con raffigurazioni più semplici e
di genere.
I temi attestati nel mondo apulo sono molteplici variando
dalla sfera del mito e del culto a quella domestica
e soprattutto traendo, come fonte di ispirazione, il
teatro.
Nel periodo finale della ceramica apula, si diffonde
una produzione ancora più semplificata e di serie,
in cui la decorazione figurata si limita a una testa
femminile con dettagli ripetuti in modo ossessivo.
Le teste sono caratterizzate quasi sempre dalla presenza
di gioielli e da pettinature con capelli raccolti sulla
nuca e contenuti in un tipico fazzoletto ricamato.
In alcuni casi sono invece rappresentati animali isolati
anche di ispirazione fantastica.
Fotogallery
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1. Cratere, il reperto più
importante della Collezione
2. Cratere di produzione lucana
3. Cratere con scena dell'Orestea di Eschilo. |
Fonti:
Bejor Giorgio, Castoldi Marina, Lamburgo Claudia, Arte
greca. Dal decimo al primo secolo a.C., Mondatori
università
Andreassi Giuseppe (a cura di), La Raccolta Archeologica
Salvatore Faldetta, Adda, Bari 2011
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