Monumenti - PALAZZO PENNETTA
- LAVIANO
Il seicentesco
e signorile edificio è stato dimora di baroni
e nobili, ed ha ospitato importanti personalità
italiane e internazionali. Lo stemma araldico simboleggia
l’atavico culto legato alla procreazione.
Palazzo Pennetta-Laviano
Al centro di quello
che è stato il quartiere ebraico di Brindisi,
a pochi passi dalla chiesa parrocchiale dell’Annunziata,
sorge l’imponente “Fortezza”
di Palazzo Pennetta – Laviano,
dimora seicentesca che dà il nome all’antistante
piazzetta.
Il possente edificio ha subito notevoli rinnovamenti
e modifiche nel corso dei secoli, conservando però
l’originale stile classico e austero voluto da
Pompilio Pennetta, probabile committente
del palazzo completato nel 1618, data scolpita sugli
architravi delle finestre.
L’uso di incidere date, frasi e citazioni latine
sugli estradossi era un modo per condensare il pensiero
morale di chi vi abitava, una particolarità che
ritorna anche su questo importante fabbricato, a “dimostrazione
della stratificazione sociale esistente”
nella famiglia Pennetta, i cui componenti erano intestatari
di notevoli proprietà fondiarie, e partecipavano
all’amministrazione cittadina sin dalla metà
del Cinquescento. Due versi incisi sono da riferirsi
al noto poeta latino Quinto Orazio Flacco
(65 a. C. – 5 a.C.): “Invidus alterius
macrescit rebus opimis” (L’invidioso
si consuma guardando il benessere degli altri), e “Virtus
recludens immeritis mori coelum negata tentat iter via”
(La virtù che apre il cielo a coloro che meritano
l’immortalità, tenta il cammino per una
via non concessa ad altri), la terza frase è
riferita al noto aforisma latino “Omnia si
pereat fama(m) servare memeto” (è
meglio morire con onore che vivere con vergogna).
Palazzo Pennetta-Laviano. I versi
di Orazio incisi sull'architrave di una finestra
L’intero patrimonio
immobiliare dei Pennetta passò sotto il controllo
dei baroni Laviano nel 1704, quando
Vittoria Pennetta, figlia di Tommaso,
già sindaco della città nel 1675-76 e
1678-79, si unì in matrimonio con Fausto
Laviano. Solo allora venne aggiunto sul portale
principale della dimora lo stemma della casata originaria
napoletana, raffigurante “una sirena a due
code con tre stelle sopra […] sta tuffandosi nell’acqua
con le due code alzate tenendole appoggiate sulle braccia”,
blasone sormontato da una corona.
Merita una breve descrizione questa figura femminile
antropomorfa molto diffusa in epoca medievale, che trova
ampio riscontro anche in contesti più antichi.
La Melusa, o sirena
bifide, è una creatura marina insolita
e misteriosa, rappresentata con le gambe pinnate divaricate
come a mettere in evidenza la parte intima femminile,
la sua raffigurazione costella arcate, capitelli e portali
di moltissime chiese, monasteri e conventi italiani
ed europei, un simbolo particolarmente presente lungo
la via Francigena tanto da essere considerata come una
guida per i pellegrini. L’immagine della sirena
ammaliatrice “che consola e inganna“
suscita da sempre polemiche e discussioni tra gli studiosi
per l’attribuzione del suo significato, una figura
mitologica che per secoli ha offerto svariate interpretazioni,soprattutto
in chiave religiosa: trattasi, secondo una tesi tra
le più accreditate, di una delle testimonianze
del passaggio dal paganesimo al cristianesimo, in particolare
del culto della fertilità dionisiaca molto sentita
nelle aree agricole e pastorali, dove la sirena rappresenterebbe
la dea della prolificità e delle acque, protettrice
del creato, divenendo quindi simbolo di fecondità.
La rappresentazione nel corso dei secoli si è
ulteriormente evoluta senza però perdere la sua
originale simbologia uterina a garantire l’atavico
culto legato alla procreazione. La presenza di questa
immagine carismatica sull’architettura privata
è anche legata all’immaginario degli uomini,
in quanto elemento apotropaico capace di allontanare
le forze maligne e proteggere la famiglia e la propria
dimora, assicurando alle giovani coppie la procreazione.
Lo stemma araldico dei Laviano, simboleggiato dalla
sirena bicaudata, è anche presente sullo spigolo
tra via Indipendenza e via Trani, sul palazzo tardo
ottocentesco appartenuto alla famiglia oriunda partenopea
giunta a Brindisi ai primi del Seicento.
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Stemma araldico della famiglia
Laviano simboleggiato dalla sirena bicaudata
a sx quello di Palazzo Pennetta Laviano, a dx quello
della dimora di via Indipendenza ang. via Trani
Palazzo Pennetta-Laviano
fu ingrandito nel 1796, perdendo l’ampio giardino
che affiancava l’edificio e si sviluppava sul
“belvedere” retrostante; tre anni dopo l’edificio
venne utilizzato come propria abitazione dal comandante
delle truppe francesi durante la breve occupazione della
città dal 9 al 16 aprile, in occasione della
proclamazione della Repubblica Partenopea. La tradizione
popolare racconta come i servitori del barone “mostrarono
il muso all’orgoglio invasore” e condussero
l’assalto al palazzo per dare “una dura
lezione” al generale transalpino e permettere
ai proprietari “scacciati” dai
francesi di rientrare in possesso dell’antica
dimora. In quei sette giorni i mille soldati francesi
occuparono anche l’Episcopio e altre case religiose,
depredando alcune collezioni museali.
Durante il periodo
risorgimentale alcuni componenti della famiglia Laviano,
in particolare i fratelli Cosimo, Antonio
e anche Giovanni, figlio di quest’ultimo,si
distinsero per la loro attività antiborbonica,
subendo continue persecuzioni e reclusioni per motivi
politici. L’ultimo esponente è stato Amerigo,
segretario politico della Sezione di Brindisi del partito
nazionale fascista, morto nel 1942.
Nel Palazzo è cresciuta anche la baronessa Francesca,
che nella prima metà dell’800 si unì
in matrimonio con il nobile Ottaviano Fiori,
discendente anch’esso da una antica famiglia di
origine napoletana, il cui stemma è ammurato
sull’angolo dell’edificio che guarda verso
la chiesa. Furono poi i discendenti della casata, iscritta
nell’Albo d’oro della Nobiltà, a
prendere il totale controllo del patrimonio famigliare.
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Palazzo Laviano. Portale e stemma
araldico della nobile famiglia dei Fiori
Sul finire del XIX
secolo, infatti, in una ala del palazzo ha soggiornato
Rachele Fiori, nipote della baronessa,
insieme al marito Giustino Durano,
fondatore e direttore del quotidiano locale “L’Indipendente”,
periodico stampato al pian terreno del palazzo che dava
sul lato di vicolo D’Afflitto. Nei saloni della
casa il noto giornalista volle creare una sorta di salotto
letterario culturale dove venivano ospitati numerose
personalità locali e internazionali (era l’epoca
della famosa Valigia delle Indie),
tra loro anche il sovrano Nicola di Montenegro,
suocero del re Vittorio Emanuele III,
di passaggio da Brindisi.
Palazzo Laviano negli anni '60
del Novecento
Negli anni Trenta
del Novecento due finestre sul prospetto furono trasformate
per realizzare dei piccoli balconi che oggi si vedono
al piano nobile. Davvero interessante il portale con
il robusto portone in legno, sul quale domina l’immagine
della suggestiva Melusina che stringe fra le mani le
estremità delle due code, idolo seducente e ingannatore
che continua a portare con sé il mistero sul
suo antico significato.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 168 del 9/10/2020
Bibliografia:
- Giacomo Carito. Brindisi Nuova Guida. Brindisi
1993
- Nadia Cavalera. I Palazzi di Brindisi. 1986
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