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LA DISTILLERIA TIPAN
e quell’odore insopportabile sul cavalcavia de Gasperi
Nella fabbrica lavoravano circa duecento operai, ma sulla città si propagava l'asfissiante fetore emesso dalle lavorazioni delle vinacce


Il cavalcavia De Gasperi e a sx la distilleria Tipan

Quando si pronuncia il termine Tipan, torna subito alla mente di tantissimi brindisini l’odore sgradevole e nauseabondo emesso dallo stabilimento di lavorazione delle vinacce, una volta situato su entrambi i lati del Cavalcavia Alcide De Gasperi, dove oggi sorgono gli edifici di Brindisi City.
L’opificio fu realizzato durante il primo decennio del Novecento dall’imprenditore piemontese Attilio Moriondo, scelta determinata dalla grande disponibilità e varietà di vigneti coltivati nel territorio brindisino. Su una superficie di circa due ettari in quella che era una ricca contrada agricola, tra il muro di cinta della stazione ferroviaria e il tratturo poi diventato via Dalmazia, l’industriale discendente dalla nota famiglia torinese produttori di cioccolato e inventori del gianduiotto, volle realizzare una distilleria-raffineria per la trasformazione dei sottoprodotti della vinificazione. Qui si producevano principalmente il cremore di tartaro, un sale dell'acido tartarico con proprietà lievitanti naturali, e l’alcool denaturato, entrambi per uso farmaceutico, ma anche lo spirito alimentare puro al 95° per i liquori. La fabbrica si componeva di ampie sale dove si eseguiva la distillazione e la lavorazione chimica delle vinacce (il residuo della spremitura dell’uva), con macchine a vapore e caldaie, queste ultime alimentate dalle vinacce esauste, di un ampio deposito degli alcoli con cisterne e silos, di un oleificio per l’estrazione dell’olio dai vinaccioli e persino di un impianto autonomo di produzione di energia elettrica utile al funzionamento di tutti i macchinari.
Nelle “Distillerie e Raffinerie Alcool Moriondo” vi lavoravano oltre trenta operai, soprattutto nel periodo autunno invernale, il titolare, Attilio Moriondo, era conosciuto ed apprezzato come una persona dalle grandi doti morali che scelse Brindisi come sua residenza definitiva, da qui seguiva e coordinava i vari processi estrattivi e la commercializzazione dei prodotti, venduti quasi esclusivamente a diverse e importanti industrie nazionali.


Lo stabilimento Tipan e il cumulo di vinacce, prima della costruzione del cavalcavia De Gasperi (foto archivio BAD)

Nella nostra città, tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del secolo successivo, erano attive altre sei distillerie: la fabbrica di spirito del cav. Vincenzo Casalini attigua alla cantina enologica, la distilleria a vapore con annessa fabbrica di ghiaccio e stabilimento vinicolo di Sergio Magrone, la nota “Distilleria Alcool Francesco Crosti” (poi Ruggiero) e le industrie di Serio, Pasquale Mazzone, Giovanni Poli, e Felice Mazzi.

Dopo circa quarant’anni di attività, con la morte dell’imprenditore piemontese, lo stabilimento rimase inattivo per alcuni anni, fin quando gli eredi non decisero di venderlo, il 28 luglio del 1957 per la somma di quarantanove milioni di lire, alla società “Tipan srl, distillerie, raffinerie, materie tartariche, oleificio”, costituita da due fratelli e un terzo socio provenienti dalla provincia di Pavia. Secondo il compianto prof. Giuseppe M. Catanzaro inizialmente l’attività industriale doveva sorgere a Napoli, “ma approfittando dei benefici concessi dalla Cassa per il Mezzogiorno, i soci si riversarono a Brindisi dove già esisteva lo stabilimento, anche se inutilizzato”. I nuovi proprietari vollero ampliare il complesso industriale rendendolo “tecnologicamente più completo e razionale secondo i moderni dettami produttivistici”, in maniera da avere una lavorazione pressoché costante e continua durante l’intero anno, anziché stagionale.
Gli investimenti riguardarono la costruzione di una nuova distilleria per acquavite di vino, di un impianto di fabbricazione di acido citrico da fermentazione di melasso e di nuovi depositi e fabbricati accessori; furono inoltre rinnovati gran parte dei macchinari ormai obsoleti. Tutte queste circostanze determinarono l’assunzione di nuove maestranze (nel 1961 lavoravano 115 operai nel periodo di maggiore occupazione, un numero che venne quasi raddoppiato dopo gli ampliamenti), e un rilevante incremento della produzione di tartrato di calcio, dei distillati, dell’alcool puro e del cognac grezzo, quest’ultimo veniva poi raffinato nelle botti di rovere per cinque anni.

Nel 1962, con l’apertura al traffico del cavalcavia intitolato al fondatore della Democrazia Cristiana e Primo Ministro per otto governi consecutivi, si completò il processo di urbanizzazione della zona avviato nell’immediato secondo dopoguerra, favorendo l’ulteriore espansione urbanistica dei quartieri Sant’Angelo, Santa Chiara e poi Sant’Elia. La città infatti, stretta nella morsa delle servitù militari e dell’industria, era stata costretta ad estendersi solo verso l’interno, in direzione opposta al mare. Il ponte, che passava sopra la ferrovia e congiungeva adeguatamente il centro con il rione Commenda, divise di fatto l’area di pertinenza della fabbrica: da una parte lo stabilimento caratterizzato dall’alto fumaiolo, dall’altra le montagnole di vinaccia esausta, il deposito delle bucce d'uva e i vinaccioli rivenienti dallo scarto della lavorazione, sulle quali tanti ragazzini si divertivano a fare le capriole o rotolare allegramente, per poi tornare a casa sporchi e puzzolenti, e “buscarle” dai genitori. Si davano appuntamento “allu mustu", era questo il termine che individuava l’area dove oggi sorgono i palazzi degli uffici regionali, anche per disputare interminabili partite di pallone, prima di spingersi al vicino Canalicchio (il Canale Patri) dove riuscivano a catturare pesci e anguille. L’accumulo persistente della massa secca provocava di tanto in tanto piccoli incendi generati da fenomeni di combustione spontanea, cha talvolta richiedevano l’intervento dei Vigili del Fuoco, per questo motivo, soprattutto d’estate, la proprietà cercava di prevenire l’inconveniente mediante getti d’acqua periodici, che però davano origine a ristagni superficiali con conseguente proliferazione di insetti e zanzare.

L’attività industriale della “spiritiera” continuò sino alla metà degli anni settanta tra continue lamentele e le giuste proteste degli abitanti della zona, costretti a convivere con l’asfissiante fetore emesso dai prodotti di lavorazione che perdurava anche per intere settimane, in particolare durante le giornate di scirocco quando l’insopportabile esalazione interessava buona parte della città e si era costretti a tenere chiuse le finestre delle abitazioni per non sentire gli effluvi. Anche chi attraversava il ponte, a piedi o in bicicletta, lo faceva accelerando il passo o si copriva il naso e la bocca anche per evitare di ingoiare moscerini e mosche, abbondanti in certi periodi. Numerose furono le iniziative intraprese da singoli cittadini, associazioni e forze politiche nei confronti dei titolari e dell’amministrazione comunale per porre rimedio all’incresciosa situazione e salvaguardare la salute e le condizioni di vivibilità dei primi abitanti di viale Liguria (oggi viale Aldo Moro), oppressi anche dai rumori dei mezzi meccanici che movimentavano i cumuli durante la notte. Per tutelarsi legalmente, la società pavese conferì l’incarico di assistenza e difesa al noto avvocato Giovanni Leone, poco prima che il parlamentare DC venisse eletto Presidente della Repubblica.


Lo stabilimento Tipan diviso dal cavalcavia De Gasperi (foto archivio BAD)

Dopo circa quindici anni di attività, la Tipan decise di cessare la lavorazione delle vinacce e dedicarsi alla sola commercializzazione dei prodotti, sino a quando, licenziati i lavoratori, cedette come suolo edificatorio l’intera superficie di pertinenza alla società del barese Spiridione Palmiotto, questi con un progetto di lottizzazione, realizzò una serie di palazzi denominando l’area “Brindisi City”.


I palazzi di Brindisi City (via Dalmazia) che hanno preso il posto della distilleria Tipan (2020)


I palazzi di Brindisi City che hanno preso il posto del deposito vinacce della distilleria Tipan (2020)

Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 174 del 13/11/2020

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