Monumenti - TORRI COLOMBAIE
Le torri colombaie,
simbolo della civiltà rurale dimenticata
Sino a qualche decennio
fa i colombi avevano una diversa considerazione da parte
dell’uomo. Da importante risorsa per l’economia
domestica, oggi rappresentano essenzialmente un problema
grave e difficile da risolvere. La nutrita presenza
nelle città dei piccioni, causata dall’eccessivo
e incontrollato aumento demografico che, superando i
500 individui per chilometro quadrato, genera una sorta
di rottura del cosiddetto punto di equilibrio con gli
ecosistemi urbani, crea spesso accese discussioni sull’interferenza
con le attività umane e le interazioni con l’ambiente
cittadino, procurando danni da corrosione e forte degrado.
Discendente dalla
colombo selvatico (Columba Livia), il cosiddetto
“piccione di città” non sarebbe da
assimilare né alla forma selvatica, né
a quella domestica, si tratterebbe infatti di un volatile
di origini domestiche tornato alla condizione di “randagio”.
E’ definita come una “specie problematica”
per i potenziali e non sottovalutabili rischi sanitari
per gli esseri umani e gli animali domestici, sia direttamente
- poiché accolgono nel loro piumaggio parassiti,
pulci, acari, zecche e microrganismi in grado di provocare
malattie al solo contatto - sia indirettamente attraverso
i loro escrementi, in quanto possono trasmettere la
salmonella e altre sessanta tipi diverse di malattie.
La componente acida delle loro feci causa inoltre tangibili
danni a fabbricati e monumenti, in particolare alle
opere di valore artistico e storico, ed aggravano, e
non poco, le condizioni dell’igiene urbana generando
un particolare tipo di inquinamento biologico. Attualmente
è considerato un animale non cacciabile ma non
esistono riferimenti di legge chiari e definiti sui
vari e complessi aspetti di carattere etico ed ambientale.
Furono introdotti in città alla fine dell’ottocento
per renderle più belle, anche se la loro migrazione
dalla campagna ai centri abitati, dove poi hanno trovato
un ambiente naturale e per questo si sono riprodotti
in maniera smisurata, è avvenuta quasi spontaneamente
in concomitanza con il contestuale ripopolamento nei
fondi rustici di alcuni loro predatori, come i rapaci
notturni e diurni tra i quali il falco pellegrino e
l’allocco.
Eppure l’uomo
nel corso dei secoli ha sempre allevato i piccioni,
operando una sorta di selezione artificiale sulla base
di alcuni caratteri preferiti, come le dimensioni, la
bellezza del piumaggio, la fertilità, la qualità
delle carni e la loro capacità di orientamento
estremamente evoluta. E grazie proprio all’eccellente
abilità nel trovare la via del ritorno, i piccioni
viaggiatori sono stati per molto tempo il più
veloce mezzo di comunicazione disponibile, a questo
scopo sono stati adoperati con successo anche durante
i due conflitti mondiali del secolo scorso.
Il celebre trattato De arte
venandi cum avibus (Sull'arte di cacciare con gli
uccelli)
Fino ad un passato
non troppo lontano il piccione garantiva inoltre una
importante fonte economica per tante famiglie di contadini,
e rappresentava talvolta l’espressione della condizione
sociale e del potere dei grandi proprietari terrieri.
Questi animali venivano ospitati ed allevati in apposite
torre colombaie, manufatti volutamente realizzati
per far nidificare al loro interno anche più
di mille coppie di colombi, una delle più antiche
testimonianze che documentano la presenza di questi
edifici è rappresentato dal trattato di falconeria
dell’imperatore Federico II "Sull'arte
di cacciare con gli uccelli" (XIII
secolo), dove compare la miniatura di una torre colombaia
a base circolare. Complementari alla masserie, questi
pregevoli manufatti di edilizia rurale, oggi quasi del
tutto scomparse, hanno caratterizzano visivamente le
bellezze architettoniche del paesaggio agricolo salentino.
S’innalzavano maestose, per vanto e per orgoglio
dei padroni, non lontano dal fabbricato principale,
quasi sempre più alte del necessario e decorate
da merlature sulla sommità in modo da conferire
l'aspetto di una piccola fortezza al pari di una torre
di difesa.
In passato la carne
di colombo era un alimento molto apprezzato e ricercato
nella nutrizione umana in quanto ricco di proteine.
Si faceva mangiare ai bambini, agli ammalati e agli
anziani, inoltre il brodo di colombo era solitamente
la primo piatto che veniva somministrato alle donne
subito dopo il parto. Considerata “carne reale”
dai nobili e dalle classi sociali medio alte, veniva
servita nelle grandi occasioni e durante le cerimonie
ufficiali.
La torre colombaia era organizzata in modo da raccogliere
con facilità anche gli escrementi prodotti dai
piccioni, che venivano utilizzati come fertilizzante
naturale del terreno in quanto ricco di colombina, un
ottimo concime a base di azoto impiegato perfino nella
concia delle pelli. Se si considera la frequenza di
riproduzione di questi uccelli, anche sei volte l’anno
da marzo a settembre, è facile immaginare l’importanza
del loro allevamento nell’economia aziendale.
Nell’agro di
Brindisi ne restano solo pochi esempi tutte a pianta
quadrangolare, edifici che spiccavano tra le pertinenze
aziendali nel quale si integravano perfettamente, come
a Masseria Specchia dove la torre è
ancora il fulcro dell’insieme dei fabbricati,
o quella di Masseria Mascava a dominare
la corte principale. Caratterizzate dai fori d’ingresso
dei colombi, consentivano l’allevamento dei volatili
in cellette di circa 20 per 20 cm per 30-40 cm di profondità
appositamente ricavate nello spessore delle mura interne.
Masseria Specchia con al centro
la torre colombaia
Masseria Mascava, la torre colombaia
e la residenza padronale
Quasi tutte le masserie
e le case rurali possedevano una colombaia anche di
tipo minimale, con le nicchie ricavate lungo la facciata
degli edifici o in corrispondenza dei ricoveri degli
animali, come testimoniano i ruderi delle masserie Baroni
Vecchi e Marrazza.
Verso la fine dell’800 la masseria Mitrano
era famosa per i tanti piccioni selvatici che qui si
trovavano, al proprietario Antonio Tarantini
furono dedicati i versi del più illustre tra
i poeti dialettali, don Agostino Chimienti:
”E ttu ‘Ntoniu Tarantini, cce llu sa
ca stau malatu? Cu mmi mandi li palumbi ti si propria
mmurtalatu”.
Particolarmente elegante la colombaia di Masseria
Pignicedda realizzata nello stesso stile neogotico
degli edifici principali, ormai tutti in rovina. Continua
ad essere frequentata dai volatili quel che resta della
torre integrata nei fabbricati (ormai fatiscenti) della
nota masseria Pignaflores.
Le cellette per i colombi della
Masseria Baroni Vecchi
Con la modifica delle
abitudini alimentari, la mancanza di interesse economico
e produttivo e l’abbandono delle aziende e delle
attività agricole, anche le torri colombaie si
sono inesorabilmente svuotate, un patrimonio architettonico
che rimane così esposto ai processi di degrado
rischiando di scomparire nell’indifferenza senza
lasciare il segno del loro prestigio.
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