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Rocco Papaleo
fa visita ai detenuti del carcere di Brindisi
L’attore
e regista lucano ha incontrato questa mattina un gruppo
di detenuti nella casa circondariale di Brindisi, tra
cui i partecipanti al progetto «Dentro-fuori:
carcere e dintorni» realizzato dalla compagnia
"TeatroDellePietre"
Quando la porta che
immette nella zona di reclusione del carcere cittadino
si apre, è esattamente come s’immagina:
lunghi corridoi, porte blindate tra una sezione e l’altra.
Ma stamani alle 11 è attesa una visita speciale,
quella di Rocco Papaleo, il popolare attore, regista
e musicista che questa sera al «Teatro Verdi»
di Brindisi avrà la seconda replica del suo spettacolo,
«Una piccola impresa meridionale», e sono
lì per parlare, per ascoltare. L’incontro
si svolge per iniziativa della Fondazione Nuovo Teatro
Verdi con l’amministrazione della casa circondariale
di Brindisi nell’ambito del progetto «Dentro-fuori:
carcere e dintorni», un percorso avviato tre anni
fa dal «TeatroDellePietre» e che vede impegnati,
al fianco dei detenuti, gli attori della compagnia.
La sala per un attimo introduce in un altro mondo, come
se fosse quello vero, come se si fosse fuori. Qualche
stretta di mano e si parte subito, più di un’ora
consumata in fretta, tra racconti e domande, Papaleo
non si sottrae. Racconta dell’incontro, del momento
che scava nell’anima, perché è come
navigare in un mare di storie. Storie impresse sulle
facce, quelle di tanti ragazzi che mandano giù
a memoria scene di film del loro protagonista ed escono
per un pezzo di mattinata dalla quotidianità.
«Ricordo l’incontro nell’istituto
penale per minori di Nisida - esordisce Papaleo - perché
è stata la più bella esperienza della
mia vita. Gli sguardi dei detenuti trasmettono una forza
speciale, sono carichi di speranza e di storie. Sono
sensazioni forti. Avrò fatto centinaia di incontri
con il pubblico, ora neanche li ricordo. In carcere
incontri una umanità che lascia il segno, è
come attraversare un pensiero forte, è un contatto
che indaga a fondo, per questo sono io che ringrazio
voi per questa opportunità». I ragazzi
fremono, hanno tante domande in serbo, immagini di Papaleo
in sospeso tra la scena di un film e la passerella rutilante
del festival di Sanremo. L’ospite ascolta e asseconda,
con quell’aria sempre un po’ stralunata
e distratta, ma solo in apparenza, con quel modo sincopato
e quell’accento lucano così trascinato.
«Mi ritengo un uomo fortunato - continua l’attore
- tanto che la metà basta. Se ora finisse tutto
sarei contento lo stesso. Faccio il lavoro che amo,
e ho la fortuna di farlo come piace a me, respirando
le persone e le cose prima di raccontarle, vivendo contatti
totali e autentici, e senza distinguere troppo tra persona
e personaggio. È questo il mio modo di fare cinema
e teatro, in generale di stare sulla scena, anche se
il teatro ti proietta verso una relazione più
forte, direi più fisica. Il mestiere dell’attore
è bello perché ti permette di colpire
il pubblico in maniera diversa, di suscitare effetti
ed emozioni diverse, personali, anche quando ti attieni
a un copione e percorri ogni volta le stesse parole.
Non esiste mai una replica uguale a un’altra».
Nella stanza ci sono i ragazzi del laboratorio teatrale,
quelli che hanno scelto il teatro e il suo linguaggio
per costruirsi un tempo attivo nel perimetro del carcere.
E qui Papaleo prodiga consigli, e qualche incoraggiamento.
«Chi sta in scena entra in contatto con se stesso
- spiega -, vivere il palcoscenico è un concetto
spirituale. Perché aiuta a conoscersi, a interrogarsi
nel profondo, a confrontarsi con parole e modi di osservare
il mondo che sono di qualcun altro. Io ho vinto così
la timidezza. Poi avete le facce giuste per il teatro,
avete qualcosa da raccontare, siete ragazzi con esperienze
alle spalle, con un vissuto che è capace di contenere
mille storie, e cos’è il teatro se non
lo specchio di una vita tra tutte quelle possibili,
giuste o sbagliate». Papaleo racconta se stesso,
un po’ come fa nello spettacolo con cui è
in tournée in questi giorni, recupera i primi
passi, il rapporto con il suo Sud, l’idea del
film di cui più di tutti è orgoglioso,
il road movie «Basilicata coast to coast»,
una genesi mutuata dall’americano «Easy
Rider», pellicola girata in pieno clima «Beat
generation», alla fine dei Sessanta. «Ognuno
fa il proprio percorso - conclude il “ragazzo
di Lauria” - e la questione non è tanto
pentirsi perché gli errori fanno parte della
propria storia e restano lì tutta una vita a
ricordarci di essere migliori. Il punto è rialzarsi,
uscire di qui e darsi dei significati migliori, mettere
sotto i piedi una strada differente». Il fuoco
di fila delle domande si fa incessante, tra Sanremo
e una filmografia che conta più di quaranta lavori.
«Quando ho fatto Sanremo non ho pensato che dietro
le telecamere ci fossero milioni di persone, ho ragionato
come se fosse una serata a teatro come tante, anche
se la pressione mediatica era decisamente diversa».
Infine una curiosità sul Papaleo attore lontano
dalla macchina da presa o dalla scena del teatro, sui
rapporti con il mondo dello spettacolo. «Non sono
invidioso, provo semplicemente ammirazione per i bravi
interpreti. Penso al talento immenso di Checco Zalone,
una citazione orgogliosa ancor prima che dovuta perché
lui ha detto lo stesso di me, spero non scherzasse».
Brindisi, venerdì 9 gennaio 2015
Comunicato Ufficio
Stampa & Comunicazione Fondazione Nuovo Teatro Verdi
- Brindisi
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