LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
BOMBRE INESPLOSE,
QUANDO GIOCARE PER STRADA ERA PERICOLOSO
Alla fine della Seconda guerra mondiale migliaia di
ordigni difettosi erano stati abbandonati nei campi
Molti bambini persero la vita: uno anche a Brindisi
A settantacinque anni
dalla fine del secondo conflitto mondiale, continuano
ancora oggi gli interventi degli artificieri per il
disinnesco di residuati esplosivi che hanno coinvolto
l’intero territorio nazionale. Gli specialisti
del Genio Civile e di altre forze militari compiono
annualmente circa tremila operazioni per disattivare
e rimuovere bombe d’aereo anche di grandi dimensioni,
come quella avvenuta lo scorso 15 dicembre proprio qui
a Brindisi, ma anche di innumerevoli piccoli ordigni,
come bombe a mano, granate di artiglieria e cartucciame
vario, materiale dal potenziale esplosivo inferiore
ma non meno letale.
Nell’immediato secondo dopoguerra non furono pochi
gli episodi durante i quali rimasero gravemente feriti,
o persino uccisi, numerosissimi ragazzini mentre maneggiavano
ordigni inesplosi. Fu persino emanata una apposita legge,
la n. 1784 del 26 ottobre 1952 (“Norme per
salvare i ragazzi d'Italia dalla deflagrazione di ordigni
di guerra”), dove veniva fatto obbligo al
Ministero della pubblica istruzione di curare la propaganda
per la prevenzione di questi danni, disponendo corsi
periodici a cura degli insegnanti delle scuole primarie
e secondarie inferiori, per spiegare agli alunni il
pericolo mortale al quale andavano incontro nel maneggiare
gli ordini rinvenuti. Inoltre chi ritrovava esplosivi
di ogni specie, e non ne dava immediata comunicazione
alle autorità di pubblica sicurezza, era passibile
di pene molto severe, compresa la reclusione fino a
sei mesi.
Manifesti predisposti dal Ministero
della Difesa per mettere in guardia i ragazzi sul pericolo
per l'incauto maneggio e smontaggio di ordigni bellicosi
occasionalmente ritrovati
Pochi mesi prima,
esattamente il 12 aprile del 1952, proprio a Brindisi
l’esplosione di una bomba a mano di tipo “Breda”
in alluminio, contenente ben 63 grammi di tritolo ed
utilizzata durante l’ultimo conflitto dall'esercito
italiano, aveva causato la morte del piccolo Bruno
Morleo: secondo quanto riportato nel rapporto
stilato dalla Prefettura locale ed inviato al Ministero
dell’Interno, l’undicenne aveva trovato
l’ordigno nella vicina campagna e l’aveva
nascosto sotto mucchi di sarmenti in un cortile di un
vicino di casa, in via Po al rione Perrino. Quella mattina
il ragazzino, circondato da altri bambini incuriositi,
aveva ripreso la bomba e sulla soglia della propria
abitazione aveva cercato di smontarla “forse
per ricavarne le parti metalliche ricercate dai rigattieri”,
provocando l’inevitabile deflagrazione dell'esplosivo.
Il piccolo Bruno moriva subito dopo lo scoppio, rimasero
feriti i suoi tre fratelli, Anna Maria, Giovanni e Franco,
rispettivamente di sei, quattro e un anno, e la loro
madre Maria Palmisano, insieme ad altri ragazzini che
si trovavano nelle immediate vicinanze, Michele Daniele
(5 anni), sua sorella Anna (di 3 anni), Federico Tofani
(5 anni), Teodoro Giannotta e Lucia Allegrini, tutti
prontamente ricoverati presso l’ospedale civile
di Brindisi con le ambulanze della Marina Militare e
del Comune.
Molto probabilmente
l’episodio, e il timore di ulteriori pericoli,
aveva indotto alcuni incauti possessori di materiale
esplodente a disfarsene abbandonandoli sconsideratamente
per le vie della città e nelle campagna limitrofe.
Nei giorni successivi infatti furono segnalati in via
Mazzini tre proiettili anticarro funzionanti, e altre
dodici cartucce per fucile e quattro cartucce per pistola
automatica tipo inglese furono rinvenute, sparse per
terra, nel Parco delle Rimembranza. Il 16 aprile alcuni
contadini intenti nelle operazioni di aratura dei terreni
di contrada Sbitri, rinvennero circa 200 ordigni esplosivi
di vario tipo (proiettili di artiglieria, cartucce per
fucile e spezzoni) tutti efficienti. Il 15 luglio in
Cala Materdomini furono ritrovate avvolte “in
tela di sacco” ben 29 bombe a mano e durante
la stessa mattinata, scandagliando la scogliera nei
pressi di Bocche di Puglia, vennero recuperate altre
49 bombe a mano dello stesso tipo e due scatole di detonatori.
Tutti i materiali vennero rimossi e consegnati nel locale
Deposito di Artiglieria.
Alcune settimane
prima del tragico incidente numerosi materiali bellici
erano già stati rinvenuti alla periferia del
rione Commenda (18 spezzoni fumogeni incendiari da mortaio
di fabbricazione tedesca), e sempre nello stesso quartiere
alcuni ordigni di guerra furono scoperti durante lo
scavo delle fondazioni degli alloggi per i lavoratori,
sul suolo ex Moriondo; nei rapporti stilati dalla Questura,
Prefettura e Carabinieri sono riportati ulteriori ritrovamenti
di cartucce e proiettili da mortaio non esplosi, oltre
a diversi quantitativi di balestite (polvere da sparo),
tutti materiali rinvenuti nelle zone della città
particolarmente colpite durante i bombardamenti del
1941, in particolare nei pressi di via Sant’Aloy
e via Manzoni.
Campionario di ordigni esplosivi
inertizzati (Archivio di Stato di Brindisi). La freccia
indica la bomba a mano di tipo “Breda”
In vista dei numerosi,
gravi e spesso mortali incidenti che continuavano a
verificarsi per lo scoppio di ordigni bellici inesplosi,
il Ministero dell'Interno ribadì la necessità
di una rigorosa osservanza della legge n. 1784, con
l’avvio di una vasta campagna di informazione
e con l’obbligo di affissione, più volte
l'anno, di appositi manifesti predisposti dal Ministero
della Difesa utili a mettere in guardia i cittadini
ed in particolare i ragazzi, sul pericolo per l'incauto
maneggio e smontaggio di ordigni bellicosi occasionalmente
ritrovati. Sui manifesti venivano rappresentati dei
bambini vittime di esplosioni dopo aver incautamente
maneggiato gli ordigni bellici, talvolta venivano illustrati
i tipi più comuni di bombe e granate in modo
che si potessero riconoscere. Venne rinnovata alle autorità
scolastiche ed ecclesiastiche, in specie a quelle che
avevano sede nelle zone rurali dove gli incidenti si
verificano con maggiore frequenza, ad insistere nella
propaganda e nel rappresentare ai ragazzi tutta la gravità
del pericolo. Nel febbraio del 1954 l'Arcivescovo di
Brindisi Nicola Margiotta scrisse al
Prefetto assicurando la collaborazione del clero nell’opera
di prevenzione, così come il Provveditore agli
studi confermò l’impegno, suo e di tutto
il personale insegnante, nell'azione divulgativa e conoscitiva
dei materiali pericolosi con l'utilizzo di cinque cassette
di legno contenente un campionario di ordigni esplosivi
inertizzati (privati dell'esplosivo) forniti dalla Direzione
Artiglieria di Taranto: gli insegnati potevano così
mostrarli agli alunni facendoli anche toccare, con un
impatto maggiore rispetto al vederli riprodotti su un
manifesto appeso ai muri della scuola, così da
poter essere meglio identificati ed evitare ulteriori
incidenti. Due di queste cassette, insieme alla ricca
ed interessante documentazione consultata per l’elaborazione
della presente nota, sono custodite nei depositi dell’Archivio
di Stato di Brindisi, a disposizione degli studiosi.
Cassette campionario di ordigni
esplosivi inertizzati (Archivio di Stato di Brindisi)
In quegli anni la
ricerca e la raccolta clandestina di questo pericoloso
materiale veniva spesso incoraggiata e favorita da parte
di incettatori e piccoli commercianti di oggetti metallici
fuori uso, con la speranza di modesti guadagni, tutto
ciò produceva non poche mutilazioni o luttuosi
incidenti, determinati essenzialmente da imprudenze
e incaute manovre dei ragazzi, non consci del pericolo.
Pertanto era diventato essenziale richiamare l'attenzione
delle famiglie sulla necessità di evitare, nel
loro interesse, di raccogliere qualsiasi oggetto che
avesse pure l'apparenza di ordigno esplosivo, e di darne
immediato avviso al Sindaco della città o agli
organi di Pubblica Sicurezza.
Purtroppo ancora
pochi anni fa, nel marzo del 2013, tre ragazzi tra i
16 e i 18 anni della valle di Susa rimasero gravemente
feriti dall'esplosione di una bomba a mano di tipo Breda,
la stessa che uccise il piccolo Bruno Morleo nel 1952.
I giovani sarebbero stati attratti dalla “cupola”
di colore rosso dell’ordigno che spuntava dal
terreno mentre si trovavano nel campo per preparare
il terreno alla semina delle patate.
L’emergenza del nostro Paese, pertanto, non è
ancora conclusa.
Si ringrazia per
la collaborazione Maria Ventricelli, direttrice dell’Archivio
di Stato
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.131 del 17/01/2020
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