LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
IL BRIGANTAGGIO
POST UNITARIO IN TERRA DI BRINDISI
Le azioni iniziarono nel settembre 1862 tra
Specchiolla e Serranova. Ma uno dei posti
più frequentati era il bosco di Curtipitrizzi,
a Cellino, oggi di proprietà della famiglia Carrisi
Il termine Brigante,
secondo una delle tante correnti di opinione, deriverebbe
dall’etimo francese “brigant” usato
per indicare banditi e persone la cui attività
è fuorilegge. Anche se l’origine della
parola potrebbe essere molto più antica, venne
utilizzata la prima volta dai francesi nel 1809 per
designare un determinato gruppo di rivoltosi italiani
che combatterono valorosamente contro l’occupazione
transalpina.
Quando si parla di briganti ci si riferisce di solito
ai ribelli del periodo postunitario raggruppatisi nel
Mezzogiorno per contrapporsi con energica determinazione
alle truppe regie, un fenomeno spesso associato al banditismo
armato ed organizzato, che ha assunto i connotati di
una vera e propria rivolta popolare a sfondo politico
e sociale. Negli ultimi anni il fenomeno è stato
oggetto di un attivo e dibattuto revisionismo storico
avente l’obiettivo di rivalutare con imparzialità
alcuni degli avvenimenti storici dell’epoca e
far luce sui tanti episodi ancora pieni di contraddizioni.
Gruppo di briganti meridionali
(dal web)
Le 350 formazioni
di ribelli che imperversavano in tutto il sud, costituite
essenzialmente da ex militari borbonici, contadini,
pastori, gente comune ma anche da fannulloni ed ex galeotti,
venivano duramente combattuti dalle truppe della Guardia
Nazionale, soldati piemontesi e carabinieri, con ferocia
e spietatezza: durante le azioni militari di repressione
ci sono stati innumerevoli casi di massacri indiscriminati,
esecuzioni sommarie di gente inerme, stupri e brutali
violenze sulle donne, saccheggi, deportazioni e arresti
di massa. Tutto ciò contribuì ad aumentare
la rabbia e incrementare la ribellione, facendo convergere
altri uomini - e numerose donne - ai gruppi di briganti
pronti a darsi alla macchia dopo aver preso parte a
crudeli azioni di guerriglia. Durante quel triste decennio
(1860-1870) fu usata tanta, troppa violenza, sia da
una parte che dall’altra, una vera e propria carneficina
che contò oltre una decine di migliaia di morti.
Molti capibanda dei
briganti e alcuni loro gregari sono rimasti alla storia
per il coraggio dimostrato ma anche per la loro spietata
ferocia, personaggi dotati di un particolare carisma
tanto da “turbare” i sogni di molte popolane
ma anche di donne di origini borghesi, probabilmente
il più famoso e temuto è stato Carmine
Crocco detto “Donatello”, che con la sua
numerosa banda agiva tra l’Irpinia, il Vulture
e la Capitanata, mentre nel territorio brindisino imperversava
il gruppo di circa trecento elementi sotto la bandiera
bianca gigliata borbonica capeggiati dal gioiese Pasquale
Domenico Romano, un ex sergente dell’esercito
borbonico conosciuto come il “sergente
Romano” (Enrico La Morte era invece il
nome di battaglia che si era dato), coadiuvato dai luogotenenti
Cosimo Mazzeo detto “Pizzichicchio”,
Giuseppe Nicola Laveneziana noto anche
come “lu figghiu di lu Re”,
descritto come “giovane dalla persona alta
e prestante, dall’aspetto truce e imperioso”,
nativo di Carovigno come l’ex sottufficiale garibaldino
Giuseppe Valente soprannominato “Nenna-Nenna“,
un brigante letterato che sapeva leggere e scrivere
e dotato di una spiccata capacità dialettica.
Del gruppo facevano parte anche l’ex sottufficiale
borbonico Francesco Monaco di Ceglie
Messapica, Tito Trinchera di Ostuni,
figlio del noto e stimato notar Pietro e Carlo
Antonio Gastaldi, un disertore dell’esercito
piemontese originario della provincia di Biella. I briganti
vestivano in maniera semplice, qualcuno indossava un
copricapo con un fiocco rosso e si avvolgevano in grandi
cappe scure. I capibanda si distinguevano dalla folta
barba ed il cappello all’italiana.
Il brigante Cosimo Mazzeo detto
"Pizzichicchio" e un'immagine disegnata del
sergente Romano (dal web)
Le azioni brigantesche
nel circondario di Brindisi, secondo autorevoli studiosi,
iniziarono nel settembre del 1862 quando per la prima
volta furono avvistati alcuni uomini a cavallo in perlustrazione
o impegnati nel reclutamento di nuove forze. In quel
periodo il gruppo di briganti si muoveva tra Specchiolla
e Serranova, godendo probabilmente di diverse complicità
nel territorio, per poi allargare il raggio d’azione
depredando denari, alimenti e cavalli in diverse masserie
tra Mesagne, Brindisi e S. Pietro Vernotico, spingendosi
anche nella zona tra San Vito dei Normanni e Ceglie.
La banda viveva alla giornata e in continua latitanza,
senza un piano preciso o un progetto politico e sociale,
agendo quasi esclusivamente di notte dopo aver percorso
lunghe distanze. Le loro azioni di guerriglia, fatti
di imboscate e di azioni rapide a sorpresa condotte
con successo contro l’esercito regolare, contribuivano
a far accrescere il loro mito e la considerazione popolare.
Uno dei luoghi particolarmente
frequentato dai briganti era il fitto bosco
di Curtipitrizzi nell’agro di Cellino
San Marco, oggi di proprietà della famiglia Carrisi,
a poca distanza vi era il loro rifugio segreto, una
grotta sotterranea conosciuta come la “Rutta
dei Briganti” (Grotta dei Briganti),
il cui ingresso era in buona parte nascosto dalla fitta
vegetazione di macchia mediterranea e quindi difficilmente
individuabile. Gli anziani del posto, depositari e custodi
di ricordi ancora più antichi, raccontano della
presenza di camminamenti segreti e di tunnel che permettevano
ai fuorilegge di darsi alla fuga con facilità
e nascondersi nel bosco o nella caverna. Uno storico
del luogo racconta come già nel 1842 i briganti
scorazzavano nella zona e “assaltavano le
diligenze, svaligiavano i malcapitati viaggiatori e
non mancavano di penetrare di tanto in tanto nello stesso
paese, dove, spargendo il terrore, non lievemente danneggiavano
nelle persone e nei beni la già immiserita popolazione”.
Il loro sostentamento veniva garantito dai manutengoli,
i protettori del brigantaggio: ecclesiastici, parenti,
contadini ma anche alcuni esponenti dell'aristocrazia
locale contrari al processo di unificazione nazionale,
uno di questi fu il marchese Francesco Granafei
di Mesagne, accusato e processato per aver accolto e
non denunciato i briganti: nelle sue proprietà
in effetti non vi furono mai assalti e razzie, ad eccezione
di una “inoffensiva sosta alla Masseria
Acquaro dove i briganti, dopo aver rinchiuso
i contadini in una stanza, si accontentano di un lauto
pasto”. Il marchese, definito dai carabinieri
“pessimo soggetto”, venne prosciolto dall’accusa
ma le sue masserie vennero chiuse, fu l’unica
misura applicata nei suoi confronti.
Cellino San Marco (BR): la grotta
dei briganti (all'interno di Carrisiland)
Anche l’Arcivescovo
di Brindisi Raffaele Ferrigno fu accusato
di aver cospirato per una "restaurazione borbonica
clericale" con coinvolgimento di figure di
primo piano del mondo cattolico locale quali il matematico
Raffaele Rubini e l'arcidiacono Giovanni
Tarantini. Nel giugno del 1866 il prelato fu
persino assegnato a domicilio coatto, accusato di aver
rifiutato di impartire disposizioni per far celebrare
funzioni religiose in occasione della festa nazionale
per l'unità d'Italia.
Quando la Guardia
Nazionale riusciva a penetrare nei covi dei banditi,
oltre a trovare armi e munizioni, spesso scopriva scorte
di provviste come pane, formaggi, carni e anche medicinali.
Uno dei “fornitori” e uomini di fiducia
della banda era Antonio Carrisi, il
bisnonno del noto cantante Albano, che lavorando nel
bosco di Curtipitrizzi come carbonaio aveva contatti
diretti con i briganti: gli veniva chiesto di portar
loro i rifornimenti più urgenti, e temendo una
reazione incollerita era costretto ad ubbidire.
Un plotone di bersaglieri che
fucilano un brigante (dal web)
Dopo un conflitto
a fuoco avvenuto la sera del 24 luglio del 1861, quattro
mesi dopo la proclamazione dell’unità d’Italia,
la Guardia Nazionale comandata dal cap. Luigi
Lupinacci riuscì a catturare undici
briganti nascosti nel bosco cellinese, i fuorilegge
furono fucilati a Brindisi due giorni dopo.
Ma in altre occasioni furono i briganti ad avere la
meglio, purtroppo non mancarono esecuzioni sommarie
e le mutilazioni.
Giovanni
Membola
per Il 7 Magazine n.89 del
15/3/2019
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