LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
Estate
1973: L'EMERGENZA SANITARIA PER FRONTEGGIARE
IL COLERA
Ricordiamo l’importante epidemia vissuta nel nostro
territorio e gli accorgimenti adottati per evitare il
diffondersi del contagio
L’emergenza
sanitaria del primo semestre del 2020 richiama alla
memoria gli eventi vissuti durante le settimane di fine
estate del 1973, quando vi fu una violenta epidemia
di colera causata dal consumo di una partita di cozze
crude e di altri frutti di mare importati dalla Tunisia
contaminati dal vibrione. Chi ha vissuto quell’esperienza
ricorda ancora bene le preoccupazioni generate in tutta
la popolazione meridionale dal parassita definito “virgola”
per la sua tipica forma visibile al microscopio, una
malattia infettiva ad altissima contagiosità,
evocatrice di paure ancestrali poiché ha generato
più volte, nei secoli passati, un altissimo numero
di infettati e migliaia di morti per la sua aggressività
e rapidità di diffusione.
Il vibrione del colera visto
al microscopio
In quel fine di agosto
si verificarono numerosi casi di infezioni di colera
a Napoli e a Bari, il primo si manifestò a Torre
del Greco, un popoloso centro abitato alle pendici del
Vesuvio, dove una donna era stata ricoverata con i sintomi
della malattia causati del batterio gram-negativo “Vibrio
cholerae", ovvero con forti mal di pancia, diarrea
profusa, vomito e crampi alle gambe. Il 31 agosto i
giornali pugliesi diffusero la notizia di alcuni casi
sospetti di gastroenterite nel barese e nel foggiano,
i sanitari temevano il contagio del morbo preoccupati
anche da gli esiti positivi delle prime analisi, ma
era necessario attendere la conferma delle controanalisi
da eseguire con un siero proveniente da Roma. Ed in
effetti il giorno dopo arrivò la conferma: era
proprio colera, provocato dal ceppo El Tor serotipo
Ogawa (dal nome dello studioso che lo classificò).
Il morbo era lo stesso che aveva già causato
il decesso di nove persone a Napoli tra i duecentoventi
ricoverati all'ospedale “D. Cotugno” (in
dieci giorni diventarono ben 911), mentre nel Policlinico
di Bari quell’1 settembre si registrarono quaranta
ricoveri in isolamento nella divisione infettivi, di
cui nove accertati come infezioni coleriche. Alla fine
dell’emergenza, durata 47 giorni (dal 27 agosto
al 12 ottobre), si contarono complessivamente ventiquattro
decessi, quindici sui 119 casi verificati a Napoli e
dieci sui 110 contagiati a Bari, tutti prevalentemente
adulti con una preponderanza di uomini.
La vaccinazione per il colera
con le siringhe mediche a pistola (dal web)
L’intera economia
pugliese, se non quella dell’intero meridione,
fu messa a dura prova: in tutta la regione vennero proibiti
inizialmente e per almeno un mese la vendita di frutti
di mare, di verdura cruda nei mercati ed il suo consumo
nei ristoranti, negli ospedali e nelle comunità,
anche i gelati preparati e venduti artigianalmente vennero
vietati, banditi dalle tavole anche i fichi, attaccabili
da altri possibili vettori di infezione come le mosche.
Crollò la vendita ed il consumo di pesci, rei
di frequentare le stesse acque dei mitili. Non erano
consentiti i bagni in mare sia negli stabilimenti che
sulle spiagge libere, con controlli più accurati
soprattutto nelle zone con acque contaminate e vicini
agli scarichi fognari, venne altresì proibita
l'irrigazione nei campi con i liquami, una pratica all’epoca
molto diffusa. Gli altri provvedimenti riguardarono
la chiusura di cinema, la sospensione delle partite
di calcio, degli esami di riparazione nelle scuole e
gli “appelli” universitari, contestualmente
furono avviati massicci interventi per disinfettare
e ripulire le città.
Accuse di disfunzioni, trascuratezze e intempestività
emersero in quei tristi giorni, polemiche che viaggiavano
esclusivamente sulla carta stampata, nei notiziari della
radio e della televisione, in particolare sugli unici
canali tv che trasmettevano in quegli anni, Rai Uno
e Rai Due. Tutto veniva testimoniato nelle foto e nei
servizi televisivi dei reporter provenienti da tutto
il mondo: a finire sul banco degli imputati furono principalmente
le precarie condizioni igieniche e sanitarie di tanti
paesi del Sud, a partire dai sistemi fognari che talvolta
non erano dotati di impianti di depurazione.
La vaccinazione per il colera
con le siringhe tradizionali (dal web)
Anche a Brindisi,
dove alla fine dell’emergenza si contarono solamente
due casi di contagio e nessun morto, si vissero momenti
di angoscia. Ci fu apprensione e sconcerto quando venne
confermata la notizia dell'ordinanza che vietava lo
svolgimento di pubblici eventi civili e religiosi al
fine di evitare pericolosi assembramenti che potessero
favorire il contagio. Infatti quell'infausto anno la
tanto attesa e sempre riuscita “Festa dell’Uva”
non si svolse: era quasi tutto pronto ma si preferì,
giustamente, dapprima rimandare e poi annullare l’iniziativa
che di solito richiamava un gran numero di persone.
L’amata manifestazione da allora non è
stata più riproposta.
La vaccinazione per il colera
con le siringhe mediche a pistola (dal web)
Nonostante l’abolizione
delle bancarelle dalle piazze e dai mercati, la vendita
ed il consumo dei mitili continuò in alcuni casi
in clandestinità, anche se non mancarono i sequestri
e sanzioni ai trasgressori. Notevoli danni subìa
questo proposito il settore dell’allevamento di
cozze nere che si praticava da secoli sui pali nel bacino
portuale di fronte al Castello Alfonsino. Fu questa,
secondo l’opinione di molti, “l’inizio
della fine” della mitilicoltura brindisina.
Furono avviati anche nella nostra città gli interventi
utili a debellare la malattia con l’adozione su
larga scala della prevenzione vaccinale effettuata presso
alcuni presidi sanitari, nell’ufficio igiene del
Comune e nelle sale della stazione marittima, ovunque
ci furono lunghe file di persone, composte ed ordinate,
in attesa di ricevere il vaccino da iniettare sul braccio
destro con siringhe in vetro preventivamente sterilizzate.
L’afflusso era regolato dalla presenza di guardie
edi infermieri, è giusto anche ricordare l’abnegazione
dei medici e di tutto il personale impegnato nell’emergenza.
A Napoli intanto, dopo l’iniziale la carenza di
disinfettanti, antibiotici e sulfamidici che generò
non poche proteste e mobilitazioni, un milione di dosi
di vaccini vennero offerte e somministrate alla popolazione
partenopea dai militari americani della Sesta flotta
della Us Navy con l’impiego di siringhe mediche
a pistola utilizzate per le vaccinazioni di massa dei
loro soldati impegnati nella guerra del Vietnam. Fu
la più grande operazione di profilassi mai esercitata
in Europa dalla fine della guerra.
Brindisi, allevamento di mitili
nel porto medio
Le principali misure
da mettere in pratica per fermare la diffusione del
batterio erano: lavare bene le mani, cuocere sempre
la verdura e consumare solo cibi cotti, pastorizzare
il latte e bere esclusivamente l’acqua imbottigliata,
evitando il consumo (all’epoca molto diffuso)
di acqua dal rubinetto, che in ogni caso doveva essere
sempre bollita. In quelle settimane venne incrementato
l’uso del succo di limone, che si diceva attenuasse
gli effetti del vibrione, di conseguenza i prezzi di
questi agrumi salì alle stelle. Un altro provvedimento
cautelativo adottato dalle autorità nazionali
fu quello di rinviare l'apertura delle scuole di ogni
ordine e grado dal primo ottobre, come di solito avveniva,
al cinque di novembre.
Il precedente episodio epidemicoavvenuto a Brindisi
risaliva al 1911, il fenomeno nell’occasione non
assume vaste proporzioni, ma per ovvi motivi sanitari
la festa patronale venne inizialmente rinviata ai primi
giorni di novembre e poi rimandata all’anno successivo.
Già nel 1909 la settima pandemia “vi
penetrò da Brindisi ma in maniera poco rilevante”
ricorda il prof. M. Soscia, mentre l’anno successivo
si manifestò con grande intensità a Napoli
ed in Puglia. Una devastante diffusione colerica si
ebbe già nel 1836-37: l’infezione durò
un anno circa causando nella sola capitale del regno
oltre diciottomila decessi, tra loro anche il poeta
Giacomo Leopardi. Le severe norme igieniche dettate
all’epoca prevedevano di gettare le salme in fosse
comuni dentro cui veniva versata la calce viva.
L’epidemia
del 1973 generò comunque alcune ricadute positive,
come in genere accade dopo il verificarsi di importanti
calamità: vennero distrutti i vivai abusivi di
mitili, si potenziarono i controlli su quelli autorizzati
e su gli scarichi della rete fognaria, nuove misure
di profilassi furono adottati così come lo stile
di vita si adeguò alle più moderne attitudini
in materia di igiene e pulizia.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.139 del 13/3/2020
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Bibliografia
principale:
- Vittorio
Polito, Il colera a Bari, storia e curiosità
in Il Giornale di Puglia del 11/29/2014
- Ugo Sbisà, Puglia,
quando arrivò il colera nel 1973 il Nord
ci sbeffeggiò in La Gazzetta del Mezzogiorno,
25 Febbraio 2020
- Mario Fabbroni, Colera,
l'epidemia del 1973: quando gli americani "salvarono"
Napoli, e la giornalista del Guardian finse
di essere malata, in Leggo, 4
ottobre 2018
- Stella Cervasio, Il
colera 40 anni dopo "I giorni della paura"
in La Repubblica ed. Napoli, 27 Febbraio
2017
- La Gazzetta del Mezzogiorno del 31 agosto
1973
- Mario Soscia, Tra storia e letteratura.
Il colera in Italia e a Napoli in Sinestesieonline,
n. 10 - dicembre 2014
- Amedeo Elio Distante, Colera 1973, due
casi nella provincia di Brindisi, curiosa terapia
del 1883 in Geografia delle epidemie
di colera in Italia. Mangone : Istituto di scienze
neurologiche, CNR, stampa 2002. vol. 2,
p. 503-509
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