LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
UNA LUNGA CONTROVERSIA
TRA BRINDISI E VENEZIA (1341-1350)
Nel Trecento più volte dalle navi della
Repubblica di San Marco, che avevano trovato riparo
nel porto, furono "sequestrate" consistenti
quantità di alimenti. Un debito che fu pagato
(in parte) solo molti anni dopo e rischiando quasi una
guerra
I traffici commerciali
tra Venezia e Brindisi sono documentati sin dai tempi
della dominazione bizantina. Nel XII secolo è
attestata la presenza di importanti case commerciali
veneziane a Brindisi e tra le due città si stipulò
un trattato di pace e di scambievole difesa. I traffici
divennero ancora più intensi durante il periodo
federiciano, restando solidi anche con l’avvento
degli Angioini, nonostante nei primi
tempi di dominazione questi preferirono trattare con
mercanti e banchieri fiorentini.
I rapporti tra le due città divennero alquanto
agitati verso la fine del XIII secolo, quando nel porto
di Brindisi vi furono una serie di sequestri di carichi
navali ai mercanti veneziani, dispute risolte solo dopo
l’intervento dell’amministrazione centrale.
Anche nel primo decennio del ‘300 vi furono controversie
e ribellioni nei principali porti pugliesi per gli eccessivi
privilegi concessi alla Repubblica di San Marco,
tutto questo generò una sorta di “caccia
alle navi veneziane” che venivano catturate, danneggiate
e quasi sempre depredate.
Una immagine del porto di Venezia
del XIII secolo
Nel febbraio del 1341
si generò probabilmente la più lunga controversia
tra brindisini e il senato della Serenissima, originato
ancora una volta dal sequestro di una nave con l’intero
carico di frumento, appartenuto in gran parte alla nobile
e potente famiglia veneziana dei Marcello,
e per il resto ai Vidal.
Come si è detto, non era la prima volta che i
brindisini ricorrevano ad “atti di violenza”
e saccheggiavano il carico di grano dalle navi veneziane
per rifornire la città di cereali, spinti principalmente
dalla carestia e dalla miseria che imperava in quel
periodo. Negli anni precedenti ad altre due navi della
Repubblica, costrette ad entrare nel porto di Brindisi
in cerca di riparo dalla tempesta, erano state requisite
gran parte delle merci, allo stesso modo la nave di
Cà Marcello fu obbligata a rifugiarsi a Brindisi
per sevitiam maris (per la furia del mare),
e i brindisini, senza perder tempo, avevano imposto
al comandante Domenico Marotto di “scaricare
700 salme di frumento ‘ad salmam Brandicii’
(ovvero secondo la ‘salma di Brindisi’,
l’unità di misura dei cereali in vigore
all’epoca nella città, ndr) che valevano
ogni tomolo sette carlini, once 653 e tarì dieci
di carlini gigliati” (G.I. Cassandro, 1937).
Miniature di Roberto d'Angiò
detto "il Saggio" e la moneta del Gigliato
o Carlino emesso dal sovrano
La Repubblica di
Venezia in questa occasione assunse un atteggiamento
fermo ed inflessibile, e con pazienza, tra proteste
e lunghe trattative, attese quasi un decennio prima
di ricevere il completo risarcimento del danno. I veneziani
infatti minacciarono ma evitarono prudentemente la rappresaglia,
rimedio violento usato solitamente in questi casi, anche
per timore di essere esclusi dai mercati pugliesi e
perdere quella posizione di privilegio tanto insidiata
dagli altri concorrenti commerciali, in primis dai fiorentini.
Il carico di grano era altrettanto importante per la
Serenissima, povera di territori fertili adatti alla
coltivazione dei cereali, che erano costretti a procurarselo
da “vari parti del mondo”.
Il senato della Repubblica
subito dopo l’evento scrisse al console di Puglia,
con sede a Trani, e al re Roberto d’Angiò
detto il Saggio, per chiedere giustizia e soddisfazione,
senza però ottenere nulla, quindi decise di nominare
una manus sapientes composta da tre savi veneziani
incaricati di esaminare accuratamente la delicata questione
e proporre opportuni rimedi, scavalcando di fatto l’organo
competente per i casi simili, ovvero il collegio delle
rappresaglie. Secondo l’opinione di alcuni storici,
in quel momento di particolare debolezza della monarchia
angioina, Venezia avrebbe potuto infliggere una dura
ritorsione contro Brindisi e continuare i traffici commerciali
con le altre città, mantenendo inalterati gli
interessi con il resto del regno. Ma ciò non
avvenne. Il sovrano angioino, il quale “tentava
di tenersi amica la Repubblica” governata dal
doge Bartolomeo Gradenigo, aveva anche
scritto al giustiziere di Terra d’Otranto, al
capitano e all’università di Brindisi,
“ma questi si erano ben guardati dall’obbedire”.
Prima della fine dell’anno il senato veneziano
ripropose l’intervento del re e decise di inviare
a Brindisi un notaio, al fine di ricordare l’impegno
preso dalla città al momento del sequestro, ovvero
il pagamento dell’intero valore del frumento.
I brindisini da parte loro, intenzionati chiaramente
a tirare la questione per le lunghe, pretesero il pagamento
del dazio su tutto il materiale confiscato. Qualcosa
Venezia riuscì ad ottenere grazie alla missione
del fattore dei Marcello, Nicola Contarini,
inviato dai saggi per cercare di risolvere l’annosa
faccenda, costui si assicurò il pagamento di
120 once e 35 ducati d’oro per i danneggiamenti
subiti.
Il giglio angioino impresso sulla
colonna del chiostro di san Paolo Eremita in Brindisi
Il senato veneziano
non intendeva assolutamente rinunziare al pagamento
dell’intera somma stabilita, nominò altri
savi che, il 22 giugno del 1342, decisero di applicare
la rappresaglia se non gli fosse stato riconosciuto
il completo risarcimento dei danni entro otto giorni
dalla formale protesta portata a Brindisi dal viceconsole
e da un altro notaio veneziano. La ritorsione consisteva
nel rompere ogni relazione di commercio con Brindisi,
escludendo l’importazione di prodotti e merci
dei brindisini, con il sequestro dei loro beni nei territori
soggetti alla Repubblica. Anche i mercanti veneti che
non rispettavano l’ordine incorrevano in pene
severe. I brindisini ancora una volta “non si
commossero”, evidentemente non temevano questo
tipo di rivalsa, considerato lo scarso commercio che
svolgevano nell’Adriatico, “poche navi e
poche mercanzie mandavano in giro” in quel periodo,
principalmente per le persistenti condizioni di miseria
che portarono qualche anno dopo alla carestia (1345)
e alla peste (1348).
La regina Giovanna I d'Angiò
((Napoli, 1327 circa – Muro Lucano, 12 maggio
1382)
Non avendo ancora
una volta raggiunto lo scopo prefissato, nel novembre
del 1342 il Consiglio dei Rogati, l’organo
costituzionale della Repubblica di Venezia, decise di
nominare altri tre savi nella speranza di un esito migliore
di una nuova ambasceria da inviare in Puglia. L’intervento
della regina Giovanna I (1343), sul
trono del regno di Napoli dopo la morte di Roberto d’Angiò,
fece ottenere ai brindisini una dilazione delle somme
ancora da pagare, ma non pose termine alla questione.
Gli atti indicano che alla fine del 1344 il debito dei
brindisini era sceso a 394 once che doveva essere pagato
in parte subito (200 once) e la restante entro un anno,
sotto la garanzia di “quattro cittadini mercanti
brindisini”. Ma ancora una volta le speranze venete
rimasero deluse. Nel 1346 e nel novembre 1349 ci furono
ulteriori recriminazioni veneziane accompagnate dall’inasprendo
delle misure già adottate nel giugno del 1342.
La fine della lunga
controversia giunse finalmente alla metà del
1350, quando alcuni rappresentanti dell’università
di Brindisi, per assicurarsi la ripresa dei traffici
veneziani e quindi dell’economia locale, si recarono
a Venezia a trattare “direttamente con i danneggiati
la liquidazione dell’ormai annosa controversia”,
ottenendo di pagare il rimanente debito per terminos
(a scadenza stabilita) riuscendo anche a farsi riconoscere
plena finis quietatio et remissio (la piena
fine del contenzioso e la cancellazione formale del
debito) e i danni arrecati dalla rappresaglia veneziana.
Tutta un’altra politica.
Si ringrazia per la preziosa collaborazione il
prof. Damiano Mevoli
Giovanni
Membola
per Il 7 Magazine n.75 del 30/11/2018
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Bigliografia
- Giovanni Italo Cassandro.
Una controversia tra Venezia e Brindisi
nel secolo XIV in Rinascenza Salentina,
1937
- Nicola Nicolini.
Episodi di vita veneto-brindisina ai tempi dei
primi re di casa d’Angiò,
in Studi di storia pugliese in onore di
Nicola Vacca (ed. Congedo, 1971 - p. 339-349)
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