LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
DAGLI AUSTRIACI
AI BORBONE, GLI EVENTI BRINDISINI
Maggio 1734
Dall’arrivo del vicerè alla
lunga resistenza dei castellani prima della resa, ma
anchela fuga dell’arcivescovo dal suo palazzo
per la presenza di “femmine”
Dopo circa vent’anni
di egemonia austriaca, nel 1734 il Regno delle Due Sicilie
passò sotto il dominio borbonico in occasione
della guerra di successione polacca, quando Carlo
di Borbone, alla guida dell'esercito spagnolo,
conquistò i due vicereami asburgici. Fece ingresso
a Napoli il 10 maggio 1734, assumendo il titolo di “Neapolis
rex”, e con la successiva battaglia di Bitonto
combattuta il 25 maggio, l’esercito imperiale
austriaco - sonoramente sconfitto - fu costretto ad
abbandonare la Puglia.
Il regno di Napoli e Sicilia non tornò ad essere
subordinato alla Spagna come nei secoli precedenti,
ma riacquistò l’antica indipendenza con
l'infante don Carlo, figlio di Filippo V
di Spagna e di Elisabetta Farnese,
primo sovrano della dinastia dei Borbone con il titolo
di Carlo III.
A sx Filippo V ed Elisabetta
in un ritratto di Louis-Michel van Loo nel 1739, a dx
Carlo III in un ritratto di Giuseppe Bonito
Le cronache del tempo
registrano una frenetica attività delle truppe
“tedesche” di stanza in Brindisi e nel circondario:
le voci dei successi militari spagnoli portarono le
milizie austriache a rafforzare la difesa del porto
spostando nei due castelli della città numerosi
cannoni in bronzo, “palle di vario calibro,
polvere da sparo ed altri attrezzi guerreschi”,
e a fare scorta dei viveri necessari al sostentamento
delle truppe, che qui continuavano ad arrivare sia a
cavallo che a bordo di bastimenti.
Il 7 maggio giunse
in città il vicerè Giulio Visconti,
uno degli uomini più ricchi di tutta la penisola,
questi aveva lasciato Napoli poco prima dell’occupazione
spagnola e si era recato in Puglia per riorganizzare
le truppe asburgiche e pianificare una valida resistenza.
Con lui anche l’intera corte composta da segretari
di giustizia, reggenti, consiglieri auditori dell’esercito
e tutti i ministri, ad attenderli nei pressi di Porta
Mesagne l’arcivescovo Andrea Maddalena
e le principali autorità locali, dove il corteo
fu accolto dallo sparo di mortaretti, dalle salve del
castello e dal suono di tutte le campane delle chiese
brindisine. L’importante rappresentanza governativa,
a bordo di oltre quaranta splendide carrozze, sfilò
per le vie della città attorniata dalla guardia
a cavallo “con spade ignude alla mano
[…] e vi fu un gran concorso della città
a vedere detta entrata”. Il vicerè
si accomodò nel palazzo vescovile mentre gli
altri illustri ospiti furono accolti nelle abitazioni
di alcuni nobili patrizi locali, come Lorenzo
Ripa, Carlo Baoxich, i fratelli
Amorea e i Granafei.
Due giorni dopo vennero in città altri centocinquanta
granatieri, tutti ospitati nel seminario, e oltre seicento
soldati austriaci, fatti alloggiare nei conventi dei
padri Domenicani, Carmelitani e Agostiniani.
A sx il dipinto di Scuola milanese
di Giulio Visconti Borromeo Arese (1664-1751), Museo
di Milano
a dx il ritratto del generale José Carrillo de
Albornoz, duca di Montemar, eseguito dalla pittrice
Joaquina Serrano y Bartolomé, Museo del Prado,
Madrid.
Durante la permanenza
a Brindisi, il vicerè, oltre a ricevere quotidianamente
staffette inviate dal generale Giovanni Carafa
e da Vienna, volle ispezionare il castello di terra
e il Forte a mare, imbarcandosi da Porta Reale su una
feluca “veramente bella, fatta a simetria
di galera, tutta intagliata e indorata con ventiquattro
remi”. Anche in questa occasione “fu
salutato entusiasticamente con salve da tutti i bastimenti”
che si trovavano nel porto e dalle artiglierie del Forte.
Il 13 maggio, in occasione del compleanno dell’arciduchessa,
tenne “cappella reale” in Cattedrale, dove
il vescovo celebrò la messa alla presenza di
tutta la corte. Nella circostanza il Visconti vestì
di gala “con un ricco giamberghino di canovaccio
di oro a fogliame, e tutti li signori lo corteggiavano,
sì forestieri come della città, con concorso
di tutte le dame e castellane, artigiane e cittadine”.
Il soggiorno brindisino del vicerè austriaco
si concluse due giorni dopo, quando partì con
tutta la corte per Bari dove aveva destinato nei giorni
precedenti quasi duemila soldati, tutti transitati da
Brindisi. Qui cercò di raggruppare le forze austriache
e approntare, invano, le ultime difese austriache. La
partenza da Brindisi fu salutata, manco a dirlo, dallo
spari di salve e mortaretti.
Il Palazzo del Seminario di Brindisi
(1908)
Il 25 maggio comparvero
davanti al porto di Brindisi le prime due navi spagnole,
veleggiavano minacciose tra le Pedagne e Torre Cavallo,
ne arrivarono altre due nei giorni successivi che in
più occasioni sfidarono i cannoni del castello
di mare. Gli austriaci cercarono di organizzare una
difesa di terra per impedire lo sbarco degli invasori,
ma le autorità locali decisero che la città
doveva restare “quieta e non mostrarsi contraria,
ma chi era più potente, e restava vincitore,
a quello si dovesse obbedire”. La notizia
della disfatta di Bitonto giunse a Brindisi il 27 maggio,
due giorni dopo furono consegnati i primi inviti alla
resa, uno dei quali a firma del generale spagnolo José
Carrillo de Albornoz, duca di Montemar,
il vincitore dello scontro bitontino, ma i castellani
delle due piazzeforti brindisine rifiutarono le proposte
e si prepararono all’eroica resistenza.
Per mettere al sicuro le donne e i bambini presenti
nei manieri dall’incombente invasione spagnola,
decisero di inviarli al palazzo vescovile, ma monsignor
Maddalena non gradì tale scelta e nel vedere
la sua residenza “tutta piena di femmine,
tra damigelle, serve, e figli, cosa non troppo decente
per un prelato […] se n’andò
in casa del signore tesoriero Arrisi”. Venendo
a mancare l’autorevole presenza del prelato, figura
determinante per godere dell’immunità,
il giorno dopo le famiglie rientrarono nei castelli
e il vescovo tornò felice al suo palazzo.
Brindisi, Castello Svevo o di
Terra
Il 20 di giugno un
centinaio di spagnoli sbarcarono dalle navi ed occuparono
la città, chiudendo il porto ad ogni tentativo
di ingresso e di fuga, nonostante ciò le fortezze
cittadine, ormai isolate, decisero di restare dignitosamente
fedeli all’imperatore d’Austria. Per riuscire
a espugnare il castello di terra fu scavata una trincea
fuori Porta Mesagne, da dove per l’intera giornata
vi fu uno scambio di tiri di cannone “senza
offendere”. Solo al mattino seguente - era
il 6 luglio del 1734 - fu ammainata la bandiera imperiale
e si giunse ad un “atto di capitolazione”,
con l’occupazione spagnola del castello federiciano.
Il Forte a mare invece riuscì a resistere eroicamente
per tre mesi, capitolò “per mancanza
di viveri” solo il 10 settembre: dopo l’uscita
del castellano e degli ufficiali, fu issato lo stendardo
spagnolo e tutte le campane della città suonarono
a festa; ai soldati austriaci fu data la possibilità
di partire o di restare ed arruolarsi nelle truppe dell’esercito
borbonico.
Brindisi, Castello Alfonsino
e Forte a Mare (2006)
I festeggiamenti
in onore dei nuovi conquistatori durarono tre lunghi
giorni, le manifestazioni di giubilo si svolsero nelle
chiese e nelle piazze con l’esplosione dei soliti
numerosi mortaretti, il sindaco Tommaso Cantamessa
volle lanciare “denari di rame e argento”
al popolo che lo seguiva al grido “Viva la
Spagna!”. Il ritratto di Carlo di
Borbone fu posto in un “ricco tosello”
nella piazza del Sedile, tenuto illuminato durante la
notte da numerose torce.
Tra le tante novità apportate dal sovrano vi
era la tassazione dei beni ecclesiastici, che creò
non pochi tensioni tra i pubblici amministratori e il
clero: l´11 luglio 1735 si informò la città
che “...tutti li familiari dell´arcivescovo,
cursori, sagrestani e preti, pagassero le gabelle, e
non fossero più franchi...”.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.84 del 08/02/2019
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