LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
FERDINANDO II
DI BORBONE E LO IETTATORE DI BRINDISI
Il re, grande superstizioso, attribuì
la malattia che poi lo portò alla morte a un
uomo calvo con cui aveva incrociato lo sguardo nel Duomo
il 27 gennaio 1859
Il re Ferdinando
II di Borbone, da vero napoletano, era noto
per la sua esagerata credenza nella superstizione, tanto
da attribuire alla iettatura la causa principale della
malattia che lo condusse alla morte.
Anche i suoi avi avevano dimostrato una simile e spasmodica
attenzione all’arcaica credenza: il nonno Ferdinando
I, così come il padre Francesco
I, già sovrani del Regno delle Due Sicilie,
praticavano abitualmente riti scaramantici per premunirsi
contro la jella, entrambi infatti portavano sempre appeso
ad una catenella un piccolo corno di corallo rosso da
stringere tra le mani quando ritenevano necessario scacciare
il malocchio. Ferdinando II però eccedeva ancor
di più nei preconcetti sulla iettatura, paragonabili
ai suoi risaputi fanatismi religiosi. Le cronache del
tempo registrano non pochi aneddoti e scongiuri, definiti
dallo storico Raffaele De Cesare come
“salaci tanto da non potersi scrivere in un
libro, per quanto caratteristici ed esilaranti”.
E nonostante fosse molto devoto, per lui i frati in
genere ed i cappuccini in particolare, come i gobbi,
i calvi, gli uomini dai capelli rossi e le vecchie con
il mento aguzzo, erano simbolo di malaugurio e di sventura.
Allo stesso modo temeva il venerdì e il numero
13, considerati di triste presagio, in quei giorni non
concludeva nulla di importante né viaggiava.
Ferdinando II di Borbone (a dx
il dipinto di F. Martorelli, 1844)
Durante la dolorosissima
malattia, originata probabilmente dalla ferita subita
durante il fallito attentato dell’8 dicembre 1856
che gli procurò una infezione purulenta e la
setticemia, i pregiudizi contro la iettatura crebbero
in maniera inverosimile, tanto da renderlo protagonista
di scongiuri indicibili. Attribuì infatti la
ragione della sua infermità agli iettatori
(ripeteva ossessivamente “me l'hanno jettata”),
e il rapido peggioramento delle condizioni di salute
ai menagramo che aveva incontrato durante il suo ultimo
viaggio in Puglia, in particolare all’uomo calvo
con il quale aveva incrociato lo sguardo nel Duomo di
Brindisi.
La famiglia reale di Ferdinando
II di Borbone
Senza tener conto
dei consigli dei medici e sfidando i rigori dell’inverno,
l’8 gennaio del 1859 il re, la regina e tre principi
si misero in viaggio verso le province pugliesi, in
attesa dell’arrivo a Bari di Maria Sofia
di Baviera, sorella della più nota principessa
Sissi e sposa del primogenito ed erede al trono
Francesco II. Dopo Foggia, Taranto e Lecce,
dove i sovrani colsero l’occasione per soggiornare
alcuni giorni, Ferdinando di Borbone giunse a Brindisi
nella tarda mattinata del 27 gennaio, accolto calorosamente
fuori il centro abitato dal sindaco Pietro Consiglio,
dal sottointendente Mastroserio e dai
sindaci, i decurioni e le guardie d'onore del circondario.
All’ingresso della città era stato innalzato
un arco trionfale sul quale si leggeva “Al
benamato Sovrano - Restitutore della sua salute - Brindisi
riconoscente - de' suoi figli la vita - consacra”,
nei pressi del quale erano schierati un battaglione
di cacciatori e la banda municipale.
Francesco II di Borbone e Maria
Sofia di baviera
La corte reale fu
accompagnata direttamente al Duomo, dove fu ricevuta
dall’arcivescovo Raffaele Ferrigno,
che fin dalla mattina aveva indossato il piviale e li
attendeva sotto il baldacchino insieme a Giovanni
Tarantini, “dotto uomo, che il Re
già conosceva” e al Capitolo tutto.
Il corteo attraversò la cattedrale gremita di
gente, passando in mezzo a due file di seminaristi e
canonici, dietro ai quali erano schierati soldati e
gendarmi. Il sovrano si muoveva lentamente e con difficoltà.
Nei pressi del presbiterio Ferdinando II notò
un uomo completamente calvo, ritto davanti a tutti gli
altri, che lo guardava torvo, e “non sapendo
spiegarsene la presenza, diede ordine al colonnello
Conte Francesco de Latour di farlo
allontanare, chi disse per timore di jettatura, chi
di un attentato”. Oltre al calvo, del quale
non si seppe mai il nome, fu fatto allontanare anche
un signore distinto, tale Alfonso Ercolini,
“perchè si disse che al re non piacesse
il suo portamento poco edificante in chiesa”.
Nel racconto del De Cesare si parla anche del “ruzzolone
per terra di un povero vecchio, ufficiale di presidio”
proprio nei pressi del sovrano, quest’ultimo,
nonostante i dolori, si chinò come per volerlo
aiutare.
Quanto stava accadendo scosse l’arcivescovo che,
ignaro dello stato di sofferenza del monarca, volle
affrettare il passo spingendo con decisione il re verso
il presbiterio. A quel punto il principe Francesco fu
costretto a richiamare più volte il prelato,
tirandolo per il piviale, tanto che monsignor Ferrigno
“indispettito, nè sapendo chi potesse
essere così scortese con lui, gridò napolitanamente:
“Guagliò, che buò? lasciame sta”;
ma visto poi chi era, fece mille scuse”.
Brindisi. L'interno del Duomo
nell'800
Dopo il canto del
Te Deum e la benedizione, la corte reale salì
nell’adiacente Palazzo dell’Episcopio, dove
fu servita ”una lauta refezione”.
Qui il sovrano rimase avvolto tutto il tempo in un ampio
mantello “alla russa” continuando
però a tremare dal freddo, soffriva visibilmente,
e solo dopo lunghe insistenze della regina Maria
Teresa di Savoia e di monsignor Ferrigno decise
di mangiare qualcosa: scelse una ostrica “di
quelle gigantesche che si trovavano allora nel porto
di Brindisi, la divise in quattro, e dicendo con molta
cavalleria: “questa la mangio perché è
veramente brindisina”; ne inghiottì una
parte soltanto”. Volle anche informarsi sui
liberali rivoluzionari brindisini nemici della dinastia,
“Brindisi è città tranquilla”
gli fu assicurato dall’arcivescovo. Gli altri
ospiti invece “pranzarono lautamente, ma in
gran fretta”, chi seduto e chi in piedi,
il principe Francesco - nonché duca di Calabria
- mangiò un pollo davanti una finestra, scherzando
con l’arcivescovo che era rimasto abbigliato con
il paramento liturgico, e fece “grandi lodi
al pane di Brindisi, che trovava eccellente”.
Al suono della campana il corteo reale discese dall'episcopio
e prese posto sulle sei carrozze “fra le grida,
non molto clamorose della folla, e gli auguri e gl'inchini
delle autorità”. Il convoglio si diresse
a Bari per accogliere lo sbarco della novella sposa.
Monsignor Raffaele Ferrigno e
il presbitero e archeologo Giovanni Tarantini
In questa occasione
la famiglia reale borbonica non soggiornò nel
Palazzo Vescovile di Brindisi come avvenuto per le visite
del 1843, 1845, 1846 e 1847, a loro era riservata un’area
detta delle “alcove reali”.
Le condizioni di salute del sovrano continuarono a peggiorare,
tanto da non poter partecipare al matrimonio del figlio
che si tenne a Bari il 3 febbraio. Durante le ultime
settimane di vita passò in rassegna tutti gli
“incidenti” del suo viaggio in Puglia per
individuare l’empio jettatore artefice del malefico
influsso e causa del suo malessere: tra i maggiori imputati
vi erano i due frati cappuccini che aveva incrociato
al momento della partenza, appena fuori del palazzo
reale di Caserta, “certe facce” vedute ad
Ariano, a Foggia e Andria, ma il principale sospettato
rimaneva il calvo di Brindisi, l’energia funesta
generata dal suo sguardo lo aveva angosciato più
di ogni altra cosa.
Ferdinando II morì a Caserta il 22 maggio 1859,
a soli quarantanove anni.
Ferdinando II di Borbone sul
letto di morte
Giovanni
Membola
per Il 7 Magazine n.70 del 26/10/2018
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Bigliografia
» Raffaele
de Cesare. La fine di un regno. 1895
»
K. A. Mayer. Neapel und die Neapolitaner oder
Briefe aus Napel in die Heimat, 1840
» Sergio
Benvenuto. Iella e jettatura a Napoli
in Doppiozero del 04 Settembre 2017
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