LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
IL FINTO PRINCIPE
E L'ASSALTO A FRANCAVILLA E ORIA
13 aprile 1809
Sfruttando una particolare somiglianza con Leopoldo
di Borbone, il giovanissimo Antonio Mirabella fomentò
la rivoluzione nelle province pugliesi
Nella primavera del
1809 in Puglia, e in buona parte del Mezzogiorno d’Italia,
si viveva un grande fermento tumultuoso che vedeva contrapposti
i ceti popolari più poveri ai borghesi e ai proletari.
Era il “decennio francese”
(1806 – 1815), un periodo di profonde trasformazioni
avviate da Giuseppe Bonaparte e portate
avanti da Gioacchino Murat, con importanti
riforme di modernizzazione politico-istituzionali, sociali
ed economiche. Ma esisteva un diffuso e profondo malessere
delle popolazioni verso il governo napoleonico, generato
dalle profonde divisioni sociali, dalla miseria e dal
malessere economico che inasprirono le rivolte, infiammate
dalla presenza e dalla partecipazione di “rabbiose
torme di banditi” e di galeotti fatti evadere
dai bagni penali. I “popolari trambusti”
venivano inoltre aizzati da personaggi fedeli a Ferdinando
IV di Borbone e Maria Carolina,
esiliati in Sicilia, che diffondevano false notizie
sul ritorno dei reali sul trono di Napoli per alimentare
la speranza e la sicurezza del vicino successo militare;
le sommosse venivano rigorosamente domate dalle truppe
francesi con crudeli esecuzioni di piazza, ma nuovi
focolai di rivolta si riaccendevano dopo alcuni giorni
in altri paesi della Terra di Bari e di tutto il Salento,
con schiere di “villani” muniti di forconi,
zappe, accette e randelli, fortemente decisi ad invadere
le zone abitate e a saccheggiare le proprietà
della borghesia terriera.
Angelica Kauffmann. Ferdinando
IV e Maria Carolina con i loro figli (1782) Museo nazionale
di Capodimonte, Napoli
In tale contesto emerse
un personaggio temerario, il giovanissimo Antonio
Mirabella, che sfruttando la particolare somiglianza
con il principe Leopoldo, quindicesimo dei diciassette
figli degli ex sovrani, fu spinto a fomentare la “rivoluzione”
nelle province pugliesi, dove “spirava una cert’aria
di malcontento”.
Il diciannovenne ufficiale dell’esercito borbonico,
figlio di un colonnello che nel 1806 aveva seguito la
famiglia reale fuggita a Palermo, accolse favorevolmente
l’incarico offertogli dalla Corte borbonica, incoraggiato
anche dalle fortunate gesta delle “finte altezze
reali” che nel 1799, durante la prima occupazione
francese, si erano messi a capo di truppe realiste al
fianco dell’armata della Santa Fede capeggiata
dal cardinale Ruffo nella riconquista
del Regno di Napoli. Al giovane oriundo napoletano fu
elargita la cospicua somma di millecinquecento ducati
in oro e argento, e con la promessa da parte della regina
di ulteriori ricompense ed onorari, fu fatto partire
dalla Sicilia su una nave britannica. Al termine della
lunga navigazione, sbarcò a febbraio in un porto
della marina barese, da dove decise di portarsi verso
la provincia della Terra d’Otranto, ma la sua
avventura non iniziò certamente sotto i migliori
auspici, infatti sulla “strada mediterranea”
che da Bari giungeva a Taranto fu “denudato e
derubato da una banda di ladruncoli” nel bosco
nei pressi di Gioia del Colle.
Il principe Leopoldo di Borbone
Fu quindi ospitato
e fatto lavorare come “zappatore” in una
masseria di Grottaglie dove ebbe modo di farsi conoscere
e messo in contatto con i rivoluzionari della zona di
Francavilla Fontana, all’epoca popolata da oltre
dodicimila abitanti, dove il ricco possidente Antonio
Basile stava organizzando una sommossa con
“molta gente e cinquanta fucili”. Conobbe
anche Pietro Cosimo Zaccaria, personaggio
animato di un “fanatico settarismo”, che
lo convinse a non procrastinare ulteriormente la rivolta,
così fu deciso di assaltare Oria la sera del
13 aprile “proclamandosi per il principe
Leopoldo, figlio dell’ex re” a
capo di “duecentotrenta villici fra oritani e
francavillesi” (secondo altre fonti erano oltre
quattrocento): i rivoltosi si adunarono fuori dalla
città prima di irrompere per le mura e portare
in trionfo la giovane “finta altezza” al
grido “Viva il Principe Leopoldo! Viva Ferdinando
IV!”, annunciando la rivoluzione. Dopo aver assaltato
il corpo di guardia e le milizie, che si lasciarono
disarmare, “depredarono la casa dei legionari,
del ricevitore dei dazi diretti e di altri galantuomini”.
Le cronache raccontano di ben otto ore di saccheggi
tra le abitazioni della cittadina che a quei tempi contava
5.500 abitanti, durante i quali vennero evitati ferimenti
ed uccisioni “per meglio accreditare con la clemenza
la regal condizione”. Alle tre della notte i popolani
ribelli “armati di zappe, scuri, nodosi bastoni
e cattivi fucili”.
Panorma di Oria
in preda dall’euforia
per la riuscita dall’impresa, decisero di marciare
sulla vicina Francavilla, nella speranza di coglierla
nel silenzio e nel sonno, ma furono anticipati da un
tale Marrazza, benestante oritano di
idee liberali, che riuscì a giungere rapidamente
nella città degli Imperiali e dare l’allarme
dell’imminente aggressione al comandante del 4°
Reggimento di Cacciatori a cavallo. I legionari organizzarono
la difesa e disposero di lasciare aperte le porte della
città in maniera che gli assalitori avessero
libero accesso, questi infatti trovarono spalancata
la porta del Carmine, una strana novità
visti i tempi, che invece di suscitare qualche titubanza
o apprensione, non venne considerata rilevante dalle
“turbe villerecce, accecate dalla bramosia del
bottino ed ebbre dei trionfi di Oria”. A suon
di tamburo, strumento usato per incitare alla marcia
e all’assalto, questi fecero ingresso nell’abitato
che sembrava immerso nella quiete, ma una volta varcata
la porta e già pronti al saccheggio, furono sorpresi
e colpiti dal fuoco dei soldati appostati alle finestre
delle case e travolti dal galoppo sfrenato dello squadrone
dei cavalleggeri, chi riusciva ad evitarli veniva inseguito
e trucidato dalle sciabolate inflitte dai “dragoni
urlanti nella penombra della mattina”. Né
seguì un inevitabile massacro, si contarono numerosi
cadaveri e feriti gravi sparsi per le strade della città,
novanta furono i dissidenti fatti prigionieri, tra loro
alcune donne e un sacerdote, chi riuscì a fuggire
ebbe la sfortuna di imbattersi nella guardia civica
di Ostuni, chiamata con urgenza durante la notte, e
da questi uccisi o catturati. Tra i legionari ci fu
un solo morto e cinque soldati francesi rimasero feriti
durante gli scontri.
Francavilla Fontana. Porta del
Carmine e via Roma
Le salme dei ribelli
vennero poi sotterrate nella campagne dagli stessi contadini,
altri vennero sepolti nelle chiese di Francavilla, ma
presto le autorità decisero di riesumare tutti
i cadaveri per accertare se anche il “falso regale
rampollo” era tra i morti di quel tragico scontro,
si doveva trovare un giovanetto di “statura bassa,
capelli biondi, occhio bianchiccio, naso grossetto,
faccia ovale e carpicata, bocca e mento regolare, carnagione
bianca, e dito indice della mano diritta offeso”.
In realtà il Mirabella riuscì a fuggire
e a trasferirsi errante nelle campagne della provincia
tarantina, dove nei primi giorni di giugno si mise nuovamente
a capo di alcuni gruppi di rivoluzionari, definiti come
“un’accozzaglia inerme di straccioni”,
e sempre accompagnato dai clamori inneggianti il principe
Leopoldo, non riuscì nell’intento di rivoluzionare
alcuni piccoli borghi delle Murge, come Massafra e Gioia
del Colle. Evitata ancora una volta la cattura, fu successivamente
consegnato alla polizia franco-napoletana e rinchiuso
nelle prigioni di Taranto, dove venne sottoposto al
giudizio di un tribunale militare: considerato “vittima
degli adescamenti della regina e del suo ingenuo, intempestivo
mimetismo” fu condannato al patibolo.
Stessa sorte toccò
a molti sciagurati popolani seguaci di “Sua Altezza
il Brigante”, giustiziati sulle forche erette
nella piazza principale di Oria: una vera e propria
carneficina, si contarono almeno trecento vittime, martiri
della giustizia feroce e sommaria messa in pratica dalla
commissione militare governativa.
Giovanni
Membola
per Il 7 Magazine n.104 del
28/6/2019
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