LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LA GUERRA CIVILE
A BRINDISI NEL 1346 PER L'ODIO TRA DUE CASATE
Le violenze si generarono tra le fazioni capeggiate
delle nobili e potenti famiglie
dei Ripa e Cavalerio
In piena epoca angioina
la popolazione brindisina si trovava divisa in due opposte
fazioni, ognuna legata ad una delle più potenti
e ricche famiglie dell’aristocrazia locale dell’epoca,
i Ripa e i Cavalerio. Nel 1346 l’atavico odio
tra le due correnti degenerò in una serie di
tragici e violenti avvenimenti, una vera e propria guerra
civile con uccisioni, saccheggi, incendi e distruzioni.
A rappresentare le
aspirazioni delle famiglie vi erano due giovani ambiziosi
e “inveterati antagonisti per la vanità
di primeggiare ad ogni costo”: Filippo
Ripa, “ricco d’avere e di piccola
nazione” appartenente al casato che aveva
forti interessi nella zecca e quindi legata alle attività
economiche della città, e Enrico Cavalerio,
condottiero di mare della nota famiglia di “magistri
portulani”, ufficiali regi preposti alla
gestione e al controllo del traffico portuale, appoggiato
dalla fazione dei pescatori contro i quali erano schierati
la massa dei contadini, affamati dalla carestia dell’anno
precedente e convinti dal Ripa che il grano portato
da una nave veneziana era stato egoisticamente conservato
nei depositi dell’avversario e dei suoi aderenti.
L’importante nomina del Cavalerio a “protontino”,
una specie ammiraglio e console abilitato al giudizio
sulle controversie di diritto marittimo, voluta dalla
giovane regina Giovanna d’Angiò
che da qualche anno governava senza grande autorità,
e il mancato pagamento delle imposte al fisco da parte
del Ripa, furono i pretesti dello scontro armato tra
i due partiti opposti. In realtà la disputa era
stata generata dai grandi potentati della Terra d’Otranto,
ovvero la contea di Lecce e il principato di Taranto,
appoggiati nel loro intento rispettivamente dalle famiglie
dei Cavalerio e dei Ripa: entrambi gli schieramenti
avevano forti interessi sulla città di Brindisi
e sull’importante attività del suo porto,
una controversia inasprita dall’incapacità
del debole regno centrale a gestire l’equilibrio
politico e l’anarchia di alcuni centri pugliesi,
tutto ciò regredì nell'insorgenza di fazioni
locali tra loro antagonisti e in sanguinosi scontri.
Boccaccio legge il Decamerone
alla regina Giovanna (dipinto di Gustaf Wappers)
Filippo Ripa decise
porre fine una volta per tutte alla lunga contesa mettendo
insieme un’armata di oltre mille mercenari, le
legioni entrarono e marciarono ostilmente in città
in un parapiglia generale, persino l’impotente
ed impaurito governatore Goffredo Gattola
fu costretto a fuggire, lasciando Brindisi “in
preda all'insolente ribello”. Enrico Cavalerio
cercò rifugio nella propria dimora insieme a
parenti e amici più stretti, ma l’edificio
venne assaltato con arieti e scale e rapidamente espugnato.
In tanti furono uccisi “in quelle prime furie,
e molti fatti prigionieri”, Enrico Cavalerio
venne catturato e trascinato per i capelli dal suo acerrimo
nemico Filippo Ripa, che gli tagliò la testa
di propria mano. Furono trucidati anche Matteo, Ruggiero,
Pietro e Angelo Cavalerio. Chi riuscì a fuggire
al primo assalto si rifugiò “sul fortissimo
campanile della chiesa cattedrale” (la torre
campanaria del Duomo romanico si trovava sul lato opposto
rispetto all’attuale e crollò durante il
terremoto dal 1743), ma ben presto furono circondati
e minacciati dalle schiere del Ripa: questi non potendo
attaccare con facilità l’alto campanile,
decisero di ammassare alla base della costruzione alcune
fascine di legna minacciando di arderli tutti vivi se
non avessero accettato la resa, promettendo loro salva
la vita. Il pericolo era reale in quanto il campanile,
fatto di volte, conteneva al suo interno molte travi
e tavole in legno, pertanto gli assediati decisero di
consegnarsi alle schiere avversarie nella speranza di
scampare alla morte sicura. Ma non avevano fatto i conti
con la ferocia del terribile nemico, che una volta avuti
nel suo potere comandò “fossero tagliati
a pezzi, il che fu subito eseguito nella maggior parte
di loro, carcerandoli il resto nelle pubbliche prigioni
della città, senza aversi pur riguardo alla tenera
età dei fanciulli e al debol sesso delle misere
donne”.
Brindisi, chiesa di san Paolo
Eremita, affresco di epoca angioina
Completata l’orribile
strage il Ripa decise di lasciare la città in
preda alle milizie mercenarie, costoro assaltarono e
misero a ferro e fuoco non solo le case dei nemici,
segnate intenzionalmente all’esterno, ma anche
quelle di molte facoltose famiglie della città
e di alcuni ricchi mercanti, “pagando con
quello la sua infima milizia” per un terzo,
la restante parte doveva essere destinata al fisco e
agli ufficiali del Ripa. La città venne abbandonata
al saccheggio per lunghi e terribili giorni, e lasciata
“mezza distrutta piena di lutti, e pianti,
non vi restando casa che non piangesse”.
Inutili e inascoltati anche “gli uffici e
le buone grazie dell’arcivescovo”.
Fu anche comandato di giustiziare pubblicamente uno
dei carcerati, tale Andrea Polliano,
decapitato in piazza secondo un’usanza dell’epoca
che di solito veniva ordinata dal magistrato regio,
una funzione compiuta nell’occasione dal Ripa
come affermazione della propria autorità sulla
città. “Quest’atto inumano spaventò
fortemente gli altri prigionieri che con grosse taglie
furono riscattati dal macello” racconta ancora
Andrea Della Monaca, plagiando gli
scritti originali di Giovanni Moricino,
storico che ebbe accesso, grazie a Ferrante
Fornari, ad importanti documenti reali poi
andati distrutti durante il secondo conflitto mondiale.
In molti furono mandati in esilio e minacciati di pena
capitale.
Le autorità
centrali intervennero con provvedimenti urgenti per
ristabilire l’ordine e punire i responsabili dei
gravi crimini, senza riuscire però a mettere
le mani sul sanguinario Filippo Ripa, che riuscì
a fuggire via mare non prima di aver bruciato la nave
di Raimondo del Balzo, importante personaggio
poi asceso al grado supremo della Signoria del Regno;
Filippo giunse in Dalmazia dove rimase forse per sempre,
senza essere inseguito o perseguitato, e anche a distanza
continuò a provocare nuovi tumulti e disordini
in città.
Dopo la carestia del 1345 e le crudeli lotte intestine
del 1346, si aggiunse anche la tristemente celebre peste
del 1348, la città di Brindisi sprofondò
per anni, quasi deserta, nella più totale miseria,
tanto da indurre la regina Giovanna d’Angiò
e il governo napoletano ad esonerarla da ogni onere
fiscale e a concederle vari altri privilegi e franchigie.
Brindisi, chiesa di san Paolo
Eremita, affresco di epoca angioina
Nel 1352 con l’appiglio
di liberare definitivamente Brindisi dal tiranno e la
sua numerosa e ricca parentela, l’ambizioso conte
di Lecce e duca di Atene Gualtieri VI
di Brienne cercò di impadronirsi della città
attaccandola con millecinquecento soldati e quattrocento
cavalli, ma i brindisini che lo consideravano crudele,
avaro e ingiusto e poco lo tolleravano, anche su istigazione
dei Ripa “ferrarono le porte e cacciarono
le genti del Duca sopra le mura, come nemiche”
respingendo con successo i primi attacchi. Una nuova
sciagura sembrava incombere sulla città, fortunatamente
intervenne in sua difesa Roberto, il
principe di Taranto e fratello maggiore di Gualtieri,
che amato dal popolo venne accolto favorevolmente riuscendo
anche a ristabilire l’ordine e a pacificare gli
animi; Brindisi così cessò di essere città
demaniale e fu incorporata al principato di Taranto.
Con questo epilogo i Ripa, famiglia poi estinta e quindi
da non confondere con l'omonimo casato vissuto nel Seicento,
erano riusciti a raggiungere il loro intento politico.
Un ringraziamento
speciale al prof. Giacomo Carito per ha fornito, sempre
con grande disponibilità, utilissimi elementi
per la stesura della presente nota
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.146 del 17/4/2020
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Bibliografia:
» A. Della Monaca.
Memoria Historica dell’antichissima
e fedelissima città di Brindisi. 1674
» A. Del Sordo, Brindisi linee storiche
essenziali, 1997
» G. Carito. Brindisi nuova guida, 1994
» F. Ascoli. La Storia di Brindisi,
1886
» G. Perri, Brindisi nel contesto della
storia, 2016
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