Tradizioni
LU LAURU - QUEL
FOLLETTO DISPETTOSO DELLA TRADIZIONE POPOLARE
Il bizzarro spiritello esoterico, nell'immaginazione
popolare, condizionava intere famiglie con le sue provocazioni
notturne, ma poteva essere fonte di inaspettate ricchezze
Uno dei ricordi che
ha affascinato e condizionato l’infanzia di tanti
ragazzi, oggi ultracinquantenni, è sicuramente
quello legato ai racconti orali della tradizione folcloristica
riguardanti “lu Laùro”,
un folletto dal comportamento stravagante e spesso dispettoso,
che trae origini dalla mitologia pagana. Il piccolo
elfo è presente nella tradizione popolare di
quasi tutto il bacino del Mediterraneo, ed assume un
nome differente per ogni territorio (Lauru,
Uru, Laurieddhu in Puglia, Monaceiello
e Schezzamurid in Campania), è descritto
in ogni caso come uno gnomo peloso,alto poco più
di cinquanta centimetri, dal faccino colorito e dalla
bocca larga e sgraziata, orecchie a punta, vestito con
una casacca color tabacco stretta in vita da una larga
cintura e sulla testa un tipico cappellino conico di
colore rosso. La leggenda vuole sia scalzo (in particolare
nell’area ionico-salentina) o con le scarpe dalla
punta volta all’insù.
Monaciello o Lauru (dal web)
Gli anziani, che
non dubitavano della sua esistenza, raccontavano le
sue gesta durante le lunghe serate d’estate seduti
davanti all’uscio delle case,o d’inverno
davanti al fuoco di un camino, mettendo in guardia i
famigliari sul particolare carattere di questo strano
spiritello domestico, che oltre a tormentare il sonno,
si divertiva a mettere in pratica una serie di dispetti.
Infatti lu Laùru non appariva mai di giorno,
ma aveva l’abitudine di saltare e sedersi sulla
pancia degli uomini o sul petto delle donne mentre dormivano,
impedendo una respirazione regolare e guastandone il
sonno.
Traeva grande soddisfazione anche a solleticare la pianta
dei piedi, a togliere coperte e lenzuola, a fare dei
rumori in casa per svegliare e impaurire chi ci abita,
rompendo vetri e rovesciando tegami e piatti in cucina.
Si divertiva anche a nascondere gli oggetti per farli
ritrovare solo dopo diverso tempo, a far cadere i panni
stesi, a togliere le sedie alle donne sedute, far cagliare
il latte, dare pizzicotti e tirare i capelli.
Un’altra forte passione era quella di annodare
le criniere e le code dei cavalli, animali nel passato
tanto presenti nelle famiglie di agricoltori, creando
treccine sottili e molto resistenti, difficili da snodare,
si diceva infatti che l'unico pettine efficace fosse
il crocifisso. Con gli altri animali domestici si comportava
in maniera contraddittoria, alcuni li curava e li nutriva,
altri li perseguitava, fortunatamente era sempre benevolo
con le fanciulle e con i bambini.
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Lu Lauru e la treccina alla criniera
del cavallo (dal web)
I più anziani
giuravano di averlo visto in azione diverse volte, e
per rendere più credibile il racconto, narravano
di fatti accaduti anche a parenti e conoscenti: molte
famiglie avevano subito continue angherie del folletto,
tanto da essere costretti a trasferirsi in una nuova
abitazione, un rimedio inutile considerato che questi
folletti pestiferi non si affezionano alla casa, ma
alla famiglia che vi abitava e quindi seguiva ovunque.
Per liberarsi di questa presenza si potevano appendere
in casa trecce di aglio o di cipolle, oggetti consacrati,
forbici aperte e un ferro di cavallo o delle corna davanti
all’ingresso.
Il racconto dei nonni sulle vicende dello spiritello
domestico impressionava e suggestionava quasi sempre
i più giovani a tal punto da fargli avvertire,
già la notte stessa, la presenza del folletto.
Per non essere succubi a queste vessazioni, gli anziani
consigliavano di approfittare del suo punto debole:
“lu cuppulinu” rosso. Lu Laùru
infatti era particolarmente affezionato al suo tipico
copricapo a cono, una sorta di talismano senza il quale
perdeva buona parte dei poteri, pertanto chi riusciva
a impossessarsene con una mossa rapida, poteva comandare
il folletto a proprio piacimento. A quel punto si poteva
approfittare dell’insolita posizione di vantaggio,
e alla proposta di scambio fatta dell’elfo "vuoi
cocci o soldi?", si doveva rispondere al contrario,
ad esempio se si chiedevano soldi si ricevevano i cocci
(“crastoddi”, i pezzi di “craste”,
i vasi di argilla per i fiori), se si chiedeva qualcosa
di poco valore, si riscuotevano denari e oro.
Era una valida opportunità per diventare ricchi,
e per questo in tanti speravano di poterlo incontrare
e sfidare:lo spiritello poteva infatti indicare anche
il luogo dove era nascosto il tesoro da lui custodito
(“l’acchiatura”), di solito
sotterrato in una pignata da legumi.
Ripagava con monete d'oro anche le gentilezze ricevute,
come il dono di un paio di scarpe o se gli venivano
lasciati dei sassi nelle pantofole. All’indisponente,
veloce e silenzioso gnomo ha dedicato dei versi lo scrittore
Primo Levi, mentre il cantante pugliese
Domenico Modugno ha riservato a questa
figura della fantasia popolare una delle sue prime canzoni,un
brano inciso nel 1954 intitolato “Scarcagnulu”
(scalcagnato, scalzo).
E’ nella natura
umana la necessità di credere alla presenza di
spiriti per giustificare i diversi fenomeni naturali
e le manifestazioni prive di una spiegazione razionale,
per questo il popolo si è sempre circondato di
personaggi fantastici malevoli e benevoli. Dal punto
di vista etimologico lu Laùru, secondo
alcuni studiosi, è una sorta di riproposizione
di quelle ataviche divinità domestiche minori,
come i fauni, i silvani, gli spiriti della natura,capaci
di spaventare i sogni gli uomini, comunemente denominati
“incubi”.
Già nella mitologia di epoca romana, l’incubo
veniva indicato come una creatura nefasta di aspetto
maschile che si poneva sullo sterno dei dormienti, dando
loro un senso di soffocamento, pronto anche a congiungendosi
carnalmente con essi.
Il pittore e letterato
Johann Heinrich Füssli ha rappresentato,
meglio di tutti gli altri, lo spiritello della nostra
tradizione popolare nel suo celebre dipinto “The
Nightmare” (l’incubo) realizzato
nel 1781: in un ambiente in penombra una donna addormentata,
dall’espressione inquieta “in una posa
scomposta e innaturale che sottolinea il suo travaglio
interiore”, ha sul proprio addome un mostruoso
nano che guarda verso lo spettatore, mentre dalla tenda
scura sullo sfondo appare la testa di una giumenta dall’aspetto
quasi spettrale. Nonostante non ci sia mai stata alcuna
relazione tra l’artista e il Salento, l’opera
ricorda curiosamente il nostro Laùru
“sia nell’aspetto e nelle caratteristiche
dell’incubo, sia per la presenza costante di una
figura equina” (G. Mele, 2018).
Johann Heinrich Füssli.
The Nightmare (l'Incubo) - 1781
olio su tela (75,5×64 cm)
- Detroit Institute of Arts (USA)
Questa atavica tradizione
popolare, trasmessa per secoli grazie ai racconti dei
nostri antenati, oggi è andata praticamente perduta.
Storie di altri tempi: il progresso, la televisione,
internet hanno del tutto rimosso quelle sane abitudini
della narrazione orale dell’immenso patrimonio
culturale fatto di tradizioni e di leggende, che in
buona parte andrà inesorabilmente dimenticato.
Da qualche decennio
il vivace folletto si è reso latitante, di lui
ci rimangono solo una serie di divertenti ricordi e
la sua riproposizione nell'artigianato locale in alcune
aree del Salento,dove viene raffigurato come gadget
turistico o portafortuna in cartapesta e terracotta.
Chissà se basterà per conservarne la memoria.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 164 del 11/09 /2020
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