LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
IL LUPO MANNARO
NELLE TRADIZIONI BRINDISINE
Lessere metà uomo e metà lupo protagonista
di numerose storie popolari che hanno inquietato
le notti di migliaia di bambini, vittime anche di stupidi
riti ancestrali dei propri genitori
La figura mitologica
che maggiormente ha stuzzicato l'immaginario collettivo
e intimorito intere generazioni, divenendo protagonista
incontrastato dei racconti e delle credenze popolari
nelle notti di luna piena, è sicuramente il Lupo
Mannaro, una creatura selvaggia a metà
tra l'uomo e il lupo. Da millenni e in buona parte del
mondo, si teme quell'essere umano capace di trasformarsi
anche fisicamente in belva feroce che, perdendo i lumi
dell'umana ragione, era capace di attaccare le persone
e gli animali per cibarsi delle loro carni e del loro
sangue, lasciando dietro di sé una lunga scia
di morte.
Una rappresentazione del lupo
mannaro, terrore di generazioni di bambini
La superstizione attingeva
l'irrazionale immaginazione anche da elementi legati
ad alcune patologie cliniche come l'ipertricosi, la
crescita esponenziale di peli su tutto il corpo, e la
licantropia, termine che unisce le parole lycos
(lupo) e antropos (uomo), una malattia legata
alla sfera psicologica assimilabile all'epilessia e
all'isteria, con disturbi della personalità e
psicosi maniaco-depressive. L'ammalato era sensibile
alle fasi lunari, senza la possibilità di controllo
sulle proprie metamorfosi: quando sentiva giungere i
primi sintomi, avvertiva la necessità di allontanarsi
da casa e fuggire nelle campagne o in luoghi solitari,
dove subiva la lenta trasformazione in bestia feroce.
Secondo la tradizione ultrasecolare, il corpo si riempiva
di pelo, compreso il palmo delle mani, gli occhi divenivano
rosso fluorescenti e la voce un latrato aspro, il muso
si allungava e contestualmente l'essere perdeva la postura
eretta, in queste fasi i sensi diventavano più
acuti e l'uomo-lupo acquisiva l'abilità del predatore.
Uno spaventoso ululato anticipava sempre le incursioni
e la ricerca delle vittime da divorare in pochi minuti.
Lon Chaney Jr in una scena di
Luomo lupo (1941)
Nell'antichità
il lupo era venerato come una divinità apportatrice
di morte, incarnava l'essenza del male, un animale legato
in qualche modo alla magia, al mistero, all'indomabilità,
una simbologia fortemente connessa all'oscurità
ma anche alla ferocia e alla paura. Di tutto ciò
si sono arricchite le innumerevoli leggende sui lupi
mannari sia in Italia che in altri Paesi d'Europa, da
queste realtà emerge un quadro alquanto complesso
del fenomeno e una immagine spesso differente dell'orribile
creatura, al quale veniva assegnato un nome diverso
in relazione al luogo, mantenendo però sempre
coerente la radice mitico-antropologica.
I riferimenti alla licantropia sono antichissimi, ne
hanno scritto autori greci e latini, lo hanno citato
nelle loro opere Ovidio, Petronio, Virgilio e Plinio
il Vecchio, così come autori del Novecento come
Luigi Pirandello e Carlo Levi, una letteratura vastissima
spesso collegata a quella dei vampiri e dei fantasmi,
romanzi e racconti di fantasia che hanno ispirato numerose
pellicole cinematografiche di ogni tipo, dalle serie
televisive ai film di successo proiettati sul grande
schermo, ambientati sempre nelle inquietanti notti di
luna piena.
Il lupo mannaro in una rappresentazione
di Lucas Cranach (particolare)
La Puglia è
una delle regioni italiane dove la tradizione dei lupi
mannari è stata sempre molto attiva, a partire
delle leggende che raccontano di Licaone, crudele
re dell'Arcadia e padre di cinquanta figli, tra cui
Paucezio (che ha poi dato il nome all'area barese),
trasformato in lupo da Zeus per punirlo dell'oltraggioso
consumo di carne umana, e proprio nella nostra regione
assunse la doppia immagine di uomo e di bestia mostruosa
e terrificante. In ogni provincia sopravvivono numerose
leggende tramandate oralmente da generazioni in generazioni,
avvenimenti pregni di terrore con incontri e visioni,
storie raccontate le sere d'inverno davanti al caminetto
acceso che hanno inquietato non poco le notti di generazioni
di bambini.
A Brindisi il licantropo era conosciuto come "Lupu
Sunariu", un termine che mette insieme
i due modi di dire utilizzati nel resto del Salento,
("Sularu", che predilige la solitudine,
e "Lunaru" riferito alla luna piena),
un essere furente dalle sembianze animalesche, caratterizzato
dall'inspiegabile fenomeno della folta peluria su tutto
il corpo e dall'ululato lugubre e straziante in direzione
del satellite terrestre. Le dicerie popolari erano molto
diffuse, soprattutto tra coloro che vivevano ai margini
del centro abitato e nelle campagne, dove l'individuo
affetto da licantropia viveva appartato e agiva spaventando
in particolar modo pastori e allevatori di ovini. I
racconti parlano soprattutto di avvistamenti, quasi
mai di incontri ravvicinati: i malcapitati al mattino
erano costretti a contare i danni causati dalle incursioni
notturne del mannaro, tra i resti lacerati di animali,
galline e pecore in particolare, di cui si era cibato
il mostro. Le tracce lasciate nel terreno reso fangoso
dal sangue però non lasciavano dubbi: erano impronte
di piedi umani e non di zampe canine.
Foto notturna di corso Umberto
negli anni Sessanta con la luna piena
Anche nelle nostre
zone chi nasceva maschio la notte tra il 24 e il 25
dicembre, secondo la credenza folclorica era destinato
ad avere una doppia natura, la principale umana e l'altra
animale, in quanto non si ammetteva la nascita di altre
creature oltre a Gesù Cristo. In questo caso
il genitore, ma anche "il compare di San Giovanni
- racconta Raffaele Cucci in una sua ricerca
pubblicata nel 1983 - dovrà ferire, nel sonno,
leggermente le tempie il bambino con una punta di un
coltello nuovo (mai usato), in modo che dalle tempie
escano quelle gocce di sangue aggiuntevi dal diavolo
all'atto della nascita la notte di Natale".
Era questo, secondo la stupida e cruenta tradizione
locale tramandata nei secoli, l'unico metodo infallibile
per guarire il neonato dalla irreale malattia. Per esorcizzare
il bimbo dall'ipotetica licantropia, in alcuni paesi
salentini il genitore metteva in pratica altri rituali
ancestrali altrettanto pericolosi, come quello di rasentare
i piedini del bambino con un tizzone ardente, tracciando
il segno della croce, o peggio ancora passare per tre
volte il bimbo davanti alla bocca di un forno acceso,
affinché il caldo e la luce del fuoco si irradiassero
e allontanassero lo spirito maligno. Un'altra prassi,
decisamente meno rischiosa, prevedeva che il padre del
bambino, allo scoccare della mezzanotte, doveva salire
sul terrazzo di casa e gridare "è nato
uno stregone in casa mia", in questo modo le
parole venivano portate lontano dal vento. Inoltre,
per guarire un lupo mannaro durante la sua trasformazione,
era necessario pungerlo a distanza con un chiodo legato
ad un bastone, bastava far uscire tre gocce di sangue
infetto e il mostro tornava umano.
Immagine notturna diPiazza Cairoli
con la fontana
Secondo un certo folclore
i personaggi eccentrici, con tratti istrionici-scaramantici
e peggio ancora se affetti da ipertricosi, erano di
solito considerati probabili "lupi sunari",
conveniva restare lontano da loro soprattutto le sere
di plenilunio per evitare spiacevoli sorprese. I ragazzini
talvolta si divertivano ad inseguire di nascosto il
soggetto bizzarro, convinti di scoprire nascondigli
o elementi utili per avvalorare il timore. Per un certo
periodo si è creduto che uno degli ambienti alla
base del "turigghioni" (il Bastione
San Giacomo, con accesso sull'omonima strada) era un
rifugio prediletto dai mannari locali, poiché
uno dei sospettati qui si recava con una certa frequenza,
in realtà - si scoprì - lo faceva per
espletare i propri bisogni in tranquillità.
Il Bastione San Giacomo, detto Turigghioni
Una memoria, coerente
tra diverse culture, racconta che cani e cavalli non
hanno mai sopportato la vicinanza dei licantropi, in
qualsiasi forma essi siano, reagiscono sempre con terrore
alla loro presenza. Altre tradizioni orali del brindisino
consideravano i lupi mannari come dei veri e propri
protettori, costoro riconoscevano gli abitanti dei luoghi
e li rispettavano.
La fantasia popolare non ha mai avuto limiti, ovunque.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n.209 del 23/7/2021
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