LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
Il
monachesimo orientale in Puglia e in Brindisi
La storia del monachesimo
nell’Italia meridionale, ed in Puglia in particolare,
per i primi anni del periodo medievalecostituiscela
principale storia culturale ricostruibile di quella
regione, nella misura in cui il monachesimo fu per secoli
un fattore culturale fondamentale della vita religiosa
e in buona parte anche di quella sociale delle genti.
Il monachesimo cristiano nacque nel basso Egitto alla
fine del III secolo, per poi diffondersi in Siria, Palestina,
Mesopotamia e in Asia Minore, giungendo nel cuore dell’impero
di Costantinopoli dopo l’emanazione, nel 313,
del famoso Editto di Costantino, quello che sancì
la libertà di culto per i cristiani.
Grazie a quella svolta radicale, già nel corso
del IV secolo, gruppi di monaci, eremiti e anacoreti,
iniziarono a ritirarsi in solitudine “per raggiungere
la pace interiore e un armonico rapporto con Dio”.
Successivamente, i monaci accolsero con loro anche dei
discepoli e ben presto formarono le prime organizzazioni
di vita in comune, uscendo dall’isolamento e aprendosi
a un più diretto contatto con i fedeli.
Il primo momento fu dunque quello dell’eremitismo,
in cui i monaci si ritirarono in luoghi solitari, inospitali
e difficili da raggiungere, praticando l’ascesi
più dura e rigida. Oltre alla rinuncia a ogni
forma di contatto umano, in quella fase i monaci abbandonarono
anche la cura della propria persona: spogliandosi degli
abiti terreni e vestendosi con una semplice tunica,cibandosi
solo di legumi e cibi non cotti, bevendo solo il necessario
per sopravvivere; e facendosi crescere la barba, un
distintivo poirimasto per i monaci orientali.
Dalla prima fase eremitica, transitando per una fase
intermedia detta lauritica, si giunse finalmente alla
fase cenobitica, in cui i monaci passarono a aggregarsi,
a vivere insieme in un’unica struttura, a riconoscere
l’autorità di un superiore, a mangiare
tutti insieme e incominciarono,quindi, a vivere in gruppo,
in comunità. Quei gruppi monacali crearono momenti
di preghiera in comune, oltre che di vita, dedicandosi
a semplici pratiche agricole per provvedere al sostentamento
dell’intera comunità. In quella fase, inoltre,
nacque un rapporto più stretto monaci e fedeli,
un rapporto che andò anche a mutare le realtà
socioeconomiche limitrofe ai monasteri.
Anche la culla del
primo monachesimo organizzato fu l’Egitto, dove
l’opera di San Pacomio, vissuto tra il290 e il
346 circa, diede una forte impronta cenobitica al movimento.
Egli fondò il primo cenobio sulle rive del Nilo,
imponendo ai monaci di seguire una regola comune e prescrivendo,
oltre alla vita contemplativa e alla preghiera, l’uso
del lavoro manuale come forma di autosostentamento.
Dall’Egitto gli ideali monastici si diffusero
per tutto l’Oriente, fino a giungere in Asia Minore.
Proprio lì, e più precisamente in Cappadocia,
il monaco Basilio accolse e innovò la primordiale
forma di organizzazione monastica, riprendendo e rielaborando
gli insegnamenti pacomiani.
Basilio nacque a Cesarea, verso il 330, in una facoltosa
famiglia cristiana. Andò a studiare a Costantinopoli
e poi ad Atene e ritornato a Cesarea nel 356, fu insegnante
di retorica. Dopo aver ricevuto il battesimo nel 358,
decise ritirarsi a vita ascetica sulle rive dell’Iris
dove, con un gruppo di suoi compagni, fondò una
comunità religiosa.
Fu da subito assertore
dell’ortodossia cristiana e dopo la morte del
vescovo di Cesarea, nel 370, fu eletto vescovo di quella
sua città e dovette abbandonare la vita ascetica,
senza però rinunciare al dialogo e alla frequentazione
con le comunità degli asceti. Si dedicò
anche a scrivere e a perfezionare le “regole e
pene” per quelle comunità e lasciò
alla sua morte, sopraggiunta nel 379, un’opera
letteraria molto vasta, che incluse anche scritture
di carattere apologetico, trattati di esegesi, ed un
voluminoso epistolario.
Il monachesimo seguace gli insegnamenti di San Basilio,
nel corso dei secoli intraprese un lungo viaggio da
Oriente verso Occidente e nel VI secolo si registrò
nel sud della penisola italiana la prima presenza certa
dei monaci bizantini che, con la funzione di cappellani
militari, seguirono le truppe di Narsete durante la
guerra greco-gotica.
Nel meridione d’Italia,
a quella guerra seguirono anni di profondo impoverimento
e disorganizzazione, uno stato di cose che provocò
un preoccupante vuoto di potere, a cui la Chiesa romana
tentò di sopperire. Così, i vescovi furono
chiamati alla gestione e alla salvaguardia dell’ordine
politico e morale, divenendo anche depositari della
funzione di controllo di larghi settori dell’attività
amministrativa delle città.
Paradossalmente, in quel periodo, le funzioni civili
della Chiesa di Roma crebbero sensibilmente, mentre
proprio quelle propriamente religiose vennero costantemente
contratte dall’espansione della Chiesa orientale,
che contribuì direttamente anche allo sviluppo
e alla diffusione del monachesimo occidentale, ch inevitabilmente
fu molto sensibile alla circolazione delle pratiche
monastiche provenienti dall’Oriente.
Uno dei tratti caratteristici del monachesimo bizantino
che in principio maggiormente si innestarono nella realtà
religiosa del meridione italiano a partire dalla conclusione
della conquista giustinianea, fu sicuramente la tendenza
eremitica. Pratica che poi, con l’arrivo dei monaci
orientali in fuga dalla Sicilia a causa della conquista
islamica, fu superata dalla diffusione di un maggior
contatto tra i monaci e le popolazioni dei fedeli.
Anche se già
verso la fine del VI secolo molti nuclei monastici giunsero
sulle coste adriatiche meridionali dalla penisola balcanica,
senza dubbio il più massiccio afflusso si produsse
durante il VII secolo, causato dall’imperversare
in Oriente dell’invasione araba, quando monaci
profughi dalla Siria e dall’Egitto raggiunsero
molte delle province meridionali italiane ancora appartenenti
all’impero di Bisanzio e, quindi, con un radicato
processo di bizantinizzazione.
L’arrivo, già nella prima metà di
quel VII secolo, di tutti quei numerosi immigrati greci,finì
con rafforzare notevolmente l’elemento culturale
bizantino già presente in quei territori e così,
anche nei monasteri la realtà religiosa fu profondamente
influenzata dalle pratiche orientali.
Alcuni monaci giunsero sulle coste del basso Adriatico
provenienti dalle regioni balcaniche anche nella seconda
metà del secolo, spinti dalle persecuzioni che
si produssero contro i sostenitori dell’ortodossia
dopo l’emanazione del Tipo, l’editto dogmatico
dall'imperatore bizantino Costante II,nel 648.
Tutto ciò accadde specialmente nelle porzioni
più estreme delle due penisole meridionali dello
stivale e anche in Sicilia, dove gran parte dei monaci
presenti nei monasteri era di lingua greca, e da dove
molti di loro passarono sul continente.
Un nuovo momento
delle migrazioni monastiche dirette verso l’Occidente
iniziò nella prima metà dell’VIII
secolo, più precisamente nel 726, anno in cui
l’imperatore bizantino Leone III Isaurico sancì
l’inizio della persecuzione iconoclasta, ossia
della lotta contro le immagini sacre.
La nuova dottrina fu respinta nella parte occidentale
dell’impero e la persecuzione proseguì
anche sotto il nuovo imperatore, Costantino Copronimo,
anzi, proprio nel suo regno divenne più dura
e violenta. La politica di aggressione imperiale contro
gli iconoduli fu rinnovata da Leone V e continuò
fino alla morte di Teofilo, avvenuta nell’842.
Finalmente, il sinodo costantinopolitano del marzo 843,decretò
la fine dell’iconoclastia e l’imperatore
Michele III riaffermò la liceità del culto
delle immagini.
All’inizio di quei più di cent’anni
in cui l’iconoclastia perdurò a cavallo
tra l’VIII e il IX secolo, i monaci basiliani
giunti sulle coste italiane evitarono la Calabria meridionale
e la Terra d’Otranto, in quanto territori soggetti
al controllo di Bisanzio con in vigore le leggi contro
le immagini sacre, preferendo dirigersi nelle regioni
sotto il dominio longobardo, Campania, Basilicata e
i settori più settentrionali di Puglia e Calabria.
Tuttavia, poterono presto stabilirsi anche nei territori
occupati dai Bizantini,quando si constatò chein
essi la forza dei decreti iconoclasti non ebbe la stessa
violenza e intransigenza che in Oriente.
La diffusione del monachesimo orientale nel meridione
d’Italia proseguì anche tra il X e l’XI
secolo:le chiese bizantinesi moltiplicarono in tutto
il Mezzogiorno e inoltre, negli anni intorno al Mille,le
comunità monacali ricevettero numerosi lasciti
e donazioni a conseguenza del clima di attesa messianica
che caratterizzò tutta l’Europa occidentale
e così, si arricchirono notevolmente i patrimoni
immobiliari dei vari monasteri.
La situazione, finalmente,
s’invertì sul finire dell’XI secolo
con l’arrivo dei Normanni, con la conseguente
decaduta del dominio bizantino in tutto il meridione
italiano e con la fondazione nel 1131, del nuovo Regno
di Sicilia. Gradualmente, ma irreversibilmente, la Chiesa
di Roma prese il sopravvento e il monachesimo orientale
basiliano cedette il passo a quello occidentale marcatamente
rappresentato dal monachesimo benedettino il quale,
comunque già presente nelle regioni del meridione
italiano, si estese poi anche in quelle città
e in quei territori in precedenza occupati da popolazioni
con una cultura religiosa prevalentemente greca.
In tutta la Puglia e anche nell’agro brindisino
in particolare, si sono conservate e sono state rinvenute
numerose grotte che furono abitate da monaci basiliani
e da comunità religiose rurali, con cripte originalmente
basiliane o chiesette sotterranee.
Tra le più importanti, la cripta nel complesso
rupestre di San Biagio a San Vito dei Normanni e quella
del santuario della Madonna del Belvedere a Carovigno.
Inoltre, la grotta della Madonna della Grotta e la grotta
di San Michele, entrambe nel territorio di Ceglie. E
Poi, altre decine di chiesette rupestri disseminate
negli stessi territori di San Vito dei Normanni, Carovigno,
Ceglie e Fasano, e ancora vari insediamenti rupestri
civili contenenti cripte adibite a luogo di culto.
In quanto ai calogerati o cenobi e monasteri che vi
ebbero i Basiliani in Puglia, i principali sono riportati
nella tabella della figura e, comunque, ne furono istituiti
anche molti altri, creati sia in prossimità di
centri urbani oppure sparsi nel territorio.
Tra i tanti indicati,
il più ragguardevole e famoso monastero basiliano
in Puglia fu certamente quello di San Nicola di Casole
presso Otranto. Eretto nella seconda metà del
secolo XI, fu saccheggiato fino ad essere quasi completamente
distrutto dai Turchi nella presa di Otranto del 1480.
Ad esso appartennero numerose ricche grancie e parecchi
calogerati, di Terra d’Otranto e anche di fuori.
La religiosità orientale in tutta la Puglia,
nonostante l’avvento e l’affermazione del
monachesimo occidentale, lasciò tuttavia a lungo
un profondo e prezioso retaggio culturale che accompagnò
gli stessi monaci Benedettini nel loro nuovo importante
ruolo, sia in campo religioso e sia in quello economico-sociale.
In alcune aree di Terra d’Otranto è documentata,
fin dalla fine del secolo XI, la coesistenza di monaci
greci e latini. Tanto che non è né semplice,
né facile dissociare o distinguere pienamente
le due culture religiose che caratterizzarono non solo
il superstrato linguistico con i dialetti locali e la
religiosità, ma anche la culturapiù in
generale, finoai moduli pittorici e architettonici,
e molto altro.
Le ragioni di questo fenomeno vanno probabilmente ricercate
nel fatto che la conquista normanna non produsse nessuna
frattura profonda nel tessuto etnico-culturale delle
popolazioni e anzi, contribuì con le nuove presenze,
quali i Benedettini, ad arricchirlo. No ci fu, infatti,
un reale esodo dei monaci di rito greco, ma una semplice
riduzione del loro numero, probabilmente solo naturalmente
conseguente agli eventi bellici che segnarono il passaggio
dal dominio bizantino allo stato normanno.
Dentro la propria città di Brindisi, la presenza
el’influenza -eil retaggio- della religiosità
monacale e più in generale orientale, sono ampiamente
documentate soprattutto dalle numerose ed importanti
chiese che furono edificate, o direttamente per volontà
dei Basiliani, o comunque in stretta connessione con
la cultura religiosa greca.
La chiesa di San
Pelino fu eretta nel VII secolo, per volontà
di Ciprio, successore sulla cattedra episcopale di Brindisi
del dedicatario, entrambi monaci basiliani giunti a
Brindisi provenienti dall’Oriente nella seconda
metà del VII secolo. In essa furono collocate
le reliquie di Sebastio e Gorgonio, anch’essi
monaci basiliani greci, bibliotecari archivisti della
sede episcopale di Brindisi, condannati a morte ed uccisi
in uno con Pelino nel 662 a Corfinio, negli Abruzzi,
a causa della loro ferma difesa dell'ortodossia e del
conseguente rifiuto di adesione al Tipo, l’editto
dogmatico dall'imperatore bizantino Costante II, emanato
nel 648.
La chiesa, situata vicino alla Cattedrale, alle spalle
del palazzo Granafei, fuanche utilizzata quale cappella
dall'università,ossia dall'amministrazione cittadina,
fino al 1565, mentre per il 1606 fu descritta come diruta
e profanata. Probabilmente fu utilizzata quale cava
per i lavori occorsi nella basilica Cattedrale per la
costruzione del vano per il coro dei canonici.
Intorno all’880, la basilica di San Leucio, monaco
egiziano evangelizzatore e primo vescovo di Brindisi
agli inizi de V secolo, fu voluta dal vescovo di Oria
Teodosio per riporvi la parte del corpo del santo ritornata
da Benevento. Si iniziò a costruire verso la
fine del IX secolo e fu consacrata, nei primissimi anni
del X secolo, da Giovanni vescovo di Canosa e Brindisi.
Il resto del corpo di San Leucio rimase a Benevento,
dal cui vescovo fu comprato ai Saraceni che lo avevano
saccheggiato a Trani, la città in cui fu deposto
dopo che i suoi cittadini lo ebbero trafugato nottetempo
dalla sua tomba, il martirium, in Brindisi, sul finire
del VII secolo.
La chiesa, ubicata
nel rione Cappuccini, fu descritta come diruta alla
fine del secolo XVII e fu finalmente distrutta nel 1720
per utilizzarne il materiale nella costruzione del palazzo
del Seminario.
La chiesa di San Giacomo fu, sino al 1173, di rito greco.
Divenne poi chiesa di San Francesco di Paola e proprietà
della municipalità e fu anche cappella regia.
Fu demolita e ricostruita interamente tra il 1747 e
il 1748.
Ubicata in prossimità dello scalo marittimo,
sull’angolo interno che dà sui Giardinetti,
fu finalmente sconsacrata ed adibita ad usi civili quando,
nel 1808, il governo napoleonico soppresse l’ordine
dei frati Minimi, ai quali a quel tempo apparteneva.
Nei primi anni del XIV secolo, i cavalieri del Santo
Sepolcro vollero sorgesse in Brindisi un albergo sotto
il nome della loro religione e adiacente ad esso, si
costruì la chiesa di San Giovanni dei Greci,
che sino al XVII secolo fu servita da sacerdoti di rito
greco.
La chiesa, edificata su via Regina Margherita angolo
via Santa Chiara su cui dava la facciata,fu danneggiata
dal terremoto del 20 febbraio 1743, fu restaurata ad
iniziativa della comunità greca brindisina e
finalmente fu demolita nel 1877.
I legami con il rito greco rimasero dunque per lunghissimo
tempo ben radicati in Brindisi, sia formalmente e sia,
dopo la definitiva partita dei governanti bizantini,
informalmente nelle consuetudini religiose e nella cultura
popolare.
Seguendo una tradizione molto antica della Chiesa di
Brindisi, a tutt’oggi la domenica delle Palme
si leggono in greco, ora nella Cattedrale, l'Epistola
e il Vangelo. Una tradizione questa, che continua quella
della celebrazione liturgica che seguiva la processione
delle Palme che si snodava dal Capitolo fino all'Osanna,
una piramide tronca su cui si saliva dai gradini disposti
sui tutti i suoi quattro lati e sulla cui sommità
vi era una colonna di marmo innalzata a sostegno di
una gran croce, dove per secoli l'arcivescovo e il clero,
proponendo Vangelo ed Epistola in greco, ricordarono
gli stretti legami fra la chiesa locale e il mondo orientale.
Quella processione
verso l'Osanna, infatti, in qualche modo configurò
la memoria dei luoghi in cui la cittadinanza saldò
senza soluzione di continuità, la Brindisi della
predicazione Leuciana a quella delle crociate. E la
tradizione si protrasse nonostante i vari tentativi
di sopprimere ogni traccia del rito greco, come accadde
nel 1649 su iniziativa dell'arcivescovo Dionisio O'Driscoll,
quando però, la Congregazione dei Riti rilevò
l'insussistenza di motivi tali da giustificarne la soppressione.
Negli anni '30 del secolo scorso, il complesso dell’Osanna
fu demolito senza che, tuttavia, s'interrompesse la
tradizione, da allora ricollocata nello spazio della
Cattedrale. Mentre la colonna in marmo pario con croce
che sormontava l'Osanna, si conservò in Santa
Maria del Casale. Quella croce, scolpita sopra la colonna
reca un piccolo globo alla base e fu datata tra IX e
X secolo, facendo ciò supporre che l’Osanna
fosse stata edificata in periodo altomedievale e che,
forse,fosse proprio contemporanea della vicina basilica
di San Leucio.
L’attuale chiesa
greco-ortodossa di San Nicola, si costruì nel
1910 sul suolo acquistato il 12 aprile 1891 dalla comunità
greca di Brindisi, per volontaria sottoscrizione e grazie
ad una contribuzione dello zar Alessandro III. Ne fu
primo archimandrita Nicandro e dal 5 novembre 1991è
partedella metropolia d'Italia ed esarcato dell'Europadel
sud con sede in Venezia. La parrocchia brindisina è
a tutt’oggi il punto di riferimento più
importante per tutti i greco-ortodossi di Puglia, Basilicata,Calabria
e Sicilia.
Testo di Gianfranco
Perri
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