LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LE PRIME AUTOMOBILI
A BRINDISI: PROPRIETARI E CHAFFEUR
Nomi, episodi e i primi incidenti delle
autovetture in circolazione ai primi del ‘900
per le strade della città
Sino ai primi anni
del ‘900 le strade della città erano completamente
diverse da quelle che conosciamo oggi. Realizzate in
terra battuta, ricoperte di ghiaia o al meglio lastricate
in epoche più remote, le strade erano percepite
e fruite come veri e propri spazi pubblici, bastava
solo porre un po’ di attenzione alle biciclette,
ai carri e alle carrozze a trazione animale che qui
transitavano.
Brindisi, Corso Garibaldi e Corso
Umberto con le carrozze
Con l’arrivo
dell’automobile cominciarono i primi sinistri
causati principalmente dalla mancanza di “regole”
(non esistevano le strisce pedonali, per esempio) ma
anche per le dimensioni ridotte delle carreggiate, come
accadde a Brindisi sul finire del 1911. Fu probabilmente
il primo caso di incidente stradale che vide coinvolta
un’autovettura, ne dà notizia nella cronaca
locale del 3 dicembre 1911 il settimanale
“La città di Brindisi”
diretto da Camillo Mealli: la “disgrazia”
- fu questo il titolo scelto per la notizia - avvenne
alcuni giorni prima “mentre dalla via Bartolomeo
Pignatelli (nei pressi dell’attuale piazza
della Vittoria, ndr) transitava un carro automobile
governativo, furono da questo investiti e feriti l’ufficiale
postale signor A. Mannucci ed una sua
figliola che non poterono scansarsi, stante la ristrettezza
della strada medesima. Auguriamo ai malcapitati una
pronta guarigione”. Sulla stessa testata
locale, tre anni dopo, venne comunicato un altro incidente
questa volta mortale, la vittima fu lo “studente
di seconda tecnica” Luigi Cordiglia
di Domenico, scivolato accidentalmente su corso Vittorio
Emanuele, vicino ai giardinetti, proprio mentre transitava
un’automobile dell’arsenale condotta dallo
chauffeur Giuseppe Tovre, questi non
fece in tempo a fermarsi e “lo rendeva in
fin di vita; lungo il tragitto dal luogo della disgrazia
all'ospedale il povero Cordiglia cessava di vivere tra
i più atroci spasimi”.
Brindisi, Corso Garibaldi e Corso
Umberto con le prime automobili
Con il diffondersi
delle automobili le regole cambiarono radicalmente,
dal 1920 da parte delle case automobilistiche partì
una sorta di campagna di criminalizzazione contro i
pedoni e i ciclisti, si rivendicava infatti un diritto
quasi esclusivo delle auto a servirsi delle strade,
ridefinendo in sostanza le regole di utilizzo delle
stesse e ribaltando totalmente la situazione precedente,
ovvero le strade divennero proprietà quasi esclusiva
della macchine e se qualcuno veniva investito, la colpa
era sua. Chi ne pagava le conseguenze erano principalmente
gli anziani e soprattutto i bambini, che vivevano la
strada con luogo di svago, di incontri e di gioco, e
gli animali domestici, come cani, gatti e galline, abituati
a girovagare liberamente per le vie della città.
Non mancarono infatti i litigi, talvolta anche molto
accesi, tra i proprietari degli animali e gli automobilisti
indisciplinati e poco accorti.
Brindisi, Corso Garibaldi e Corso
Umberto con le prime automobili
I proprietari delle
prime vetture “civili” erano esclusivamente
nobili e benestanti locali, come i Balsamo,
Giuseppe Simone, Ronzino Catanzaro,
Ugo Nervegna, Serafino Giannelli,
quest’ultimo acquistò nel 1923 una Fiat
503, nel 1927 una dei pochi esemplari di Alfa
Romeo RM e nel 1953 una Lancia Aurelia
pagata ben due milioni e 770mila lire. L’automobile
del Principe Dentice di Frasso “si
era fatta ammirare più volte per via Lata e in
via Maestra”, l’attuale via Filomeno
Consiglio, rimasta praticamente stretta come un secolo
fa quando veniva “vissuta intensamente”
da numerosissimi cittadini in sosta o di passaggio.
A uto parcheggiata a piazza della
Vittoria (1928)
Il primo chauffeur
brindisino, secondo uno studio del compianto Dario
Amodio (1973), fu il ventenne Angelo
Napolitano, un “esperto e fidato
motorista” alle dipendenze del cavaliere
e commerciate di carbone Spiros Cocotò,
console inglese a Brindisi. Il noto diplomatico fu il
primo ad interessarsi alle automobili a Brindisi, e
dopo aver acquistato un “canotto-automobile”
(precursore del motoscafo), fece arrivare da Milano
una “bella e scintillante” Isotta
Fraschini che richiamava tantissimi curiosi
al suo passaggio e la seguivano in corteo “toccandola
con prudenza”. I bambini erano particolarmente
attratti da questa autovettura e alcuni di essi salivano
sul cofano e sui parafanghi, suscitando non poche proteste
del Napolitano. Sembra che l’autista, in accordo
con il proprietario, applicò sul parafanghi dell’auto
un asse di legno irto di chiodi appuntiti al fine di
limitare l’invadente curiosità dei brindisini
e successivamente, sulla parte posteriore dell’automobile,
anche un congegno che generava scosse elettriche, in
maniera da “liberarsi definitivamente dalle
nidiate di monelli”.
Il colonnello Giovanni Mazari, si racconta,
tutte le volte che restava “in panne” si
ergeva “militarescamente” in piedi sulla
macchina e rivolgendosi ai passanti ordinava “popolo,
spingetemi!”, non si conosce però
la risposta della gente a tale pretesa, la si può
solo immaginare…
I problemi legati
ai nuovi motori a scoppio non erano facili da risolvere,
pertanto alcuni di questi ricchi borghesi locali decisero
di affidarsi a meccanici-autisti, un nuovo mestiere
che cominciava a prendere piede in città, i cocchieri
per primi cercarono di convertirsi al nuovo ruolo, ma
in pochi ci riuscirono. Furono invece gli ex militari,
che durante il primo conflitto mondiale avevano fatto
esperienza come autisti e meccanici sui diversi veicoli
per uso militare in circolazione all’epoca, come
i gloriosi Fiat 15-ter utilizzati come
autoambulanza, auto fotoelettriche e autopompa e i Fiat
18P, Fiat-BL e Fiat-BLR,
adoperati per il trasporto di materiali pesanti e munizioni
per l’artiglieria, a passare al servizio dei signori
locali ed occuparsi in toto delle loro nuove autovetture.
E’ quanto avvenne ad Alcide Fiori,
bolognese e comandante della batteria di Torre Cavallo,
che una volta congedato e sposato con una ragazza del
posto, decise di restare a Brindisi e aprire la prima
officina meccanica nella città, qui si formarono
tra gli altri Giacomino Santoro, autista
di don Peppino Ribezzi, e Ferruccio
Libardo, fidato chauffeur del podestà
Serafino Giannelli.
Il primo imprenditore brindisino ad utilizzare gli autocarri
per scopi commerciali fu Teodoro Titi,
i suoi camion trasportavano il grano dal porto ai depositi
di via Saponea e di San Vito. Proprio questa cittadina
dal 1920 venne collegata al futuro capoluogo con un
Fiat 18P, in pratica fu avviato il
primo servizio di trasporto pubblico a motore in sostituzione
del precedente omnibus a cavalli.
Ferruccio Libardo autista della
Alfa Romeo di Serafino Giannelli (1927)
Ferruccio Libardo sulla Fiat
503 di Serafino Giannelli
La Lancia Aurelia di Serafino
Giannelli esposta nell'atrio di Palazzo Nervegna (2013)
Con il diffondersi
e il consolidarsi del fenomeno delle automobili, nel
dicembre del 1923 fu emesso il primo Codice della Strada
e solo nel marzo del 1927 vi fu la svolta storica nella
regolamentazione giuridica, amministrativa, economico-fiscale
e statistica dell’automobile con l’istituzione
del Pubblico Registro Automobilistico. A Brindisi la
prima auto fu immatricolata il 15 marzo di quell’anno,
una Fiat Torpedo acquistata per 25.000
lire dall’amministrazione provinciale, identificata
con la targa “1 BR”, quindi seguirono la
Fiat Berlina del commerciate Raffaele
Corsa, pagata 24mila lire, e la Fiat
503 Cabriolet di Enrico Palumbo,
pagata ben 36mila lire per essere utilizzata nel “servizio
di piazza”.
Emilio Scialpi immatricolò il
24 marzo del 1927 ben due autocarri per il trasporto
merci, un Ansaldo Torpedo e un Fiat,
mentre quattro giorni dopo a Giuseppe Simone
fu consegnata la targa “10 BR” per la sua
Fiat 509 Torpedo.
Quell’anno vi fu anche la famosa gara del “Corso
fiorito” abbinata alla tradizionale festa in onore
di san Teodoro, il primo premio fu vinto alla Fiat
501 di proprietà del cav. Giuseppe
Ribezzi, guidata da Michele Brugnola:
sull’auto era stato collocato un cigno interamente
ricoperto da camelie bianche fatte giungere per l’occasione
dall’Olanda.
Fiat 501 del cav. Giuseppe Ribezzi,
guidata da Michele Brugnola, vincitore del premio Corso
Fiorito 1927
Uno dei tanti racconti
rimasti nella memoria collettiva di quegli anni è
legato all’audacia di Nino Poli
e Antonio Gioia, che tentarono la discesa
della scalinata virgiliana su una Fiat 501
“tipo spinto”, al loro primo tentativo le
cose non andarono bene, l’auto finì in
mare con all’interno entrambi i temerari, l’impresa
fu ripetuta dal solo Poli qualche tempo dopo, questa
volta l’autista riuscì a fermare l’auto
subito dopo l’ultimo gradino della lunga gradinata,
“accrescendo la sua già larga fama
di spericolato automobilista”.
Testo di Giovanni Membola
per "Il 7 Magazine" n. 79 del 4/1/2019
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Bigliografia
» La
Città di Brindisi del 3 dicembre 1911
» La Città
di Brindisi del 7 giugno 1914
»
Dario Amodio. A cavallo del motore in
Qui Brindisi - annuario vademecum, 1973
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