LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
Brindisi durante
il regnodell'imperatore Carlo V:
i 40 anni di Carlo IV re di Napoli dal 1516 al 1556
Carlo IV sul
trono di Napoli
Carlo V l’imperatore, fuanche Carlo I di Spagna,
Carlo II d’Ungheria e Carlo IV di Napoli. Carlo,
figlio dell’arciduca d’Austria Filippo il
Bello – e quindi nipote dell’imperatore
Massimiliano d’Asburgo – e dell’infanta
Giovanna la Pazza – e quindi nipote del re Ferdinando
il cattolico – con la morte del nonno materno
nel 1516, a soli sedici anni, per la morte del padre
e per quella del fratello e della sorella della madre,
divenne erede dei regni dei Paesi Bassi, di Aragona,
di Castiglia e di Napoli. E dopo tre anni, nel 1519
alla morte del nonno paterno, ereditò anche il
titolo del sacro romano impero. Nel 1554 rinunciò
al titolo imperiale a favore del fratello Ferdinando
e nel 1556 rinunciò alle corone dei Paesi Bassi
della Spagna e di Napoli a favore del figlio Felipe
II. Brindisi, che apparteneva al regno di Napoli, ebbe
pertanto come sovrano l’imperatore Carlo V –
il re Carlo IVdi Napoli – durante tutti quei quarant’annicompresi
tra il 1516 e il 1556.
Il regno di Napoli era diventato possedimento spagnolo
solo da qualche anno, da quando era stato sottratto
agli aragonesi medianteun accordo segretotra il re di
Spagna Ferdinando e il re di Francia Luigi XII. L’accordo
prevedeva la Campania e gli Abruzzi per la Francia e
la Calabria e la Puglia per la Spagna. Poi però,
nel 1504, l’accordo sfociò in guerra aperta
tra Spagna e Francia proprio sulla disputa per il Tavoliere
delle Puglie e alla fine gli spagnoli ebbero la meglio.
Ferdinando il cattolico re di Spagna divenne così
il nuovo sovrano del regno di Napoli, defenestrando
il proprio cugino Federico I succeduto a Ferdinando
II e nominando un viceré.
E anche Brindisi, che da qualche anno – dal 30
marzo 1496 – apparteneva alla repubblica di Venezia,
alla quale era stata ceduta dal re Ferdinando II in
compenso per l’aiuto ricevuto contro il tentativo
d’invasione del regno di Napoli da parte del re
di Francia Carlo VIII, fu consegnata agli spagnoli nel
1509. Iniziava così per Brindisi il lungo periodo
vicereale spagnolo che sarebbe durato duecento anni.
La breve parentesi veneziana di Brindisi, tra il 1496
e il 1509, costituì di fatto la cerniera del
passaggio della città dal dominio aragonese al
dominio propriamente spagnolo, quello del regno di Spagna
del reggente Ferdinando il cattolico e, dopo la sua
morte nel 1516, del nipote Carlo I di Spagna, il futuro
imperatore Carlo V.La corona di Spagna istituì
nel regno di Napoli un vicereame che restò suo
possedimento diretto fino al 1713, mantenendo in Napoli
il viceré e tutti gli organi amministrativi più
importanti, avvicendando nelle varie province e città
del regno, Brindisi inclusa, governatori e capitani
di guarnigione che furono sempre spagnoli.
Torrione di Carlo V a Porta Mesagne
(dal web)
Il rafforzamento
delle strutture difensive della città
Il 22 dicembre 1516Ferdinando – Hernandode –Alarcòn
fu nominato castellano maggiore di Brindisi,con anche
l’incarico di supervisore delle fortificazioni
in Terra d’Otranto. Presto si rese conto che le
strutture difensive della città non erano sufficienti
a garantirne la protezione da terra – all’entrata
del porto era già stato costruito il castello
Alfonsino – per cui si dispose alla realizzazione
di varie fortificazioni, restando come castellano ufficiale
di Brindisi durante venticinque anni, fino alla sua
morte sopravvenutaa Napoli il 27 gennaio 1540.
Nel 1525 comandò l’avanguardia della cavalleria
nella battaglia di Pavia, occupandosi poi della custodia
del re Francesco I di Francia, catturato in battaglia,
del suo trasferimento al Real Alcázar de Madrid
e del successivo viaggio a Bayonne dopo il suo rilascio,
servizi per i quali l’imperatore Carlo V gli conferì
il titolo di marchese della Valle Siciliana. Prese parte
anche al sacco di Roma del 1527, in cui papa Clemente
VII fu catturato e messo in custodia da Alarcòn
nel Castel Sant’Angelo. Nel 1535 fece parte della
spedizione militare che assediò Tunisi, nelle
forze imperiali di Carlo V che presero la città
difesa dai turchi di Barbarossa[D. DIAZ DE LA CARRERA,
1665].
A Brindisi, Alarcòn iniziò la costruzione
del bastione di San Giorgio e ristrutturò quello
di San Giacomo, aprendo sui fianchi e sulle facce della
fortezza bombardiere su due ordini idonee a respingere
da ogni parte gli eventuali assalitori. Tra i due bastioni,
nelle adiacenze di Porta Mesagne, costruita nel 1243
ai tempi dello svevo Federico II, iniziò a edificarne
un terzosu cui vi è ancora inciso in pietra lo
stemma reale di Carlo V, al quale il bastione restò
intitolato. Inoltre, potenziò Porta Lecce, che
era stata fatta costruire da Ferdinando d’Aragona
nel 1467, completandola con cortine murarie, e anche
su di essa collocò lo stemma di Carlo V, affiancandolo
questa volta al suo e a quello della città di
Brindisi.
Alarcòn ebbe anchein progetto di completare il
circuito murario intorno alla città, come si
evince dai disegni relativi allo stesso, custoditi presso
il Gabinetto delle stampe della galleria degli Uffizi
di Firenze, ma evidentemente tali piani furono materializzati
solo parzialmente, con la sola costruzione di alcune
cortine murarie nei tratti compresi tra Porta Mesagne
e Porta Lecce.
Porta Mesagne (dal web)
La peste del
1526 a Brindisi
E di nuovo giunse la peste a Brindisi«...e
precisamente nel 1526 alli 24 del mese di luglio incominciò
la peste in questa città e durò un anno
continuo; dove ne morirono ottocento persone»
[P. CAGNES & N. SCALESE, 1529-1787] di certo introdotta
e favorita dalle tante truppe che vi si avvicendavano
di continuo, transitandovi e soggiornandovi in condizioni
igieniche del tutto deprecabili.
Infatti, la peste del 1526, manifestatasi in numerosi
focolai sparsi in tutta l’Italia, restò
ben documentata anche nella capitale del regno di Napoli:«...Cosi
contagioso morbo si intese la prima volta in Napoli,
in una casa appresso la chiesa di S. Maria della Scala,
nel mese diagosto dell’anno 1526, qual casa appestata
fu subito, per ordine degli Eletti della città,
sbarrata, per levarsi il commercio che perciò
questastrada, fino al presente, vien denominata de le
Barre. La peste cominciò in Napoli il suo lavoro,
e talmente continuòtutto l’anno 1527, che
non fu casa che non ne sentisse travaglio. E quando
del tutto parve estinta allora pigliò maggior
forza perciocché l’anno 28 e 29 fé
grandissimo danno, onde vi morirono dintorno a 65000
persone» [G.A. SUMMONTE, 1749].
Nel settembre1526, gli Eletti di Napoli fecero racchiudere
da una struttura muraria l’ospedale degli Incurabili
e Castel Novoper isolare dalla città i malati
che vi ricoverati. E a Brindisi «...L’unica
reale misura decretata per contrastarla fu l’erezione
di un tempio a San Rocco, sulla via d’entrata
alla città da Porta Mesagne, poi ribattezzato
con il titolo di Santa Maria del Carmine affiancato
dal monastero dei Carmelitani e che diede il nome a
via Carmine» [F. ASCOLI, 1886].
Il culto a San Rocco, santo francese originario di Montpellier,
che gli agiografiindicano vissuto tra la fine del XIII
secolo e l’inizio del XIV secolo, affonda le sueradici
intorno alla metà del Quattrocento; quando, in
coincidenza con le ripetuteepidemie di peste che funestavano
l’Europa, si unì e in qualche caso si sovrappose
aquello tradizionale per san Sebastiano, fin lì
invocato contro la peste perchésopravvissuto
al martirio delle frecce, utilizzate già in epoca
classica – allorquando sicredeva che fosse Apollo
a scagliare i dardi delle malattie epidemiche –
per simboleggiare le epidemie.
Il male era caratterizzato da una infiammazione e da
un rigonfiamento doloroso dei linfonodi o bubboni generalmente
a livello inguinale. La malattia improvvisamente insorgeva
con brividi e febbre, i bambini avevano le convulsioni,
vi era vomito, sete intensa, dolori generali, cefalea,
sopore mentale e delirio. Al terzo giorno, dall’inizio
dei sintomi, comparivano macchie nere cutanee, da cui
il nome di "peste o morte nera" e la morte
giungeva quasi subito, anche senon mancavanocasi in
cui la malattia aveva un decorso benigno con sintomi
lievi che si attenuavano dopo giorni fino a scomparire.
Porta Lecce (dal web)
Il crollo
della colonna romana
Il 20 novembre 1528, una delle due colonne romane che
avevano sfidato per tanti secoli le intemperie dei tempi,
cadde senza apparente ragione (però era in corso
una guerra):
«... Il pezzo supremo restò sopra l’infimo,
mentre quelli compresi fra la base e il capitello, caddero
a terra. Nessuna disgrazia successe, i pezzi caduti
furono poi portati a Lecce e il pezzo supremo vedesi
ancora al giorno d’oggi con meraviglia rimanere
attraversato sull’infimo» [A. DELLA
MONACA,1674].
Bastione San Giacomo
Il sacco
di Brindisi del 1529
Dopo le dispute per la successione al trono dell’impero
tra il vincitore Carlo d’Asburgo e il perdente
Francesco di Francia, questi diede vita alla Lega di
Cognac, che fu costituitail 22 maggio1526 da Francia,
Firenze, Venezia, Milano e Inghilterra, e ad essa aderì
anche lo Stato Pontificio del papa Clemente VI. Quella
mossa del pontefice causò la reazione dell’imperatore,
che radunò un esercito di mercenari lanzichenecchi
tedeschi per farli discendere in Italia dove, assieme
alle truppe spagnole e italiane sovrastarono le forze
della Lega, di scarsa coesione e mediocre efficienza
militare, e dopo qualche mese giunsero alle porte di
Roma.
Entrarono nella capitale pontificia il 5 maggio 1527mentre
il papa si rifugiava in Castel Sant’Angelo. I
lanzichenecchi, esasperati per le pessime condizioni
sopportate durante la campagna e per i mancati pagamenti
pattuiti, si diedero per otto giorni al saccheggio della
città e alla violenza sui suoi abitanti.
In seguito agli eventi di Roma, nell’agosto del
1527, l’esercito francese discese in Italia e
si unì alle altre forze della Lega sotto la guida
del maresciallo d’oltralpe Odet de Foix, conte
di Lautrec. Alla fine dell’anno, con la notizia
dell’imminente uscita delle truppe imperiali da
Roma, i collegati di Cognac decisero di portare la guerra
al sud, nello spagnolo regno di Napoli. Lautrec quindi,
intraprese lo spostamento di tutte le forze allegate
verso Napoli e ai primi di marzo del 1528 entrò
nella strategica Puglia.
Anche l’esercito imperiale si diresse in Puglia
guidato da Filiberto principe d’Orange il quale,
alla notizia che gli alleati avevano preso facilmente
Melfi e Ascoli, intraprese la via della ritirata strategica
a Napoli. Altre città si arresero o si allearono
alla Lega: Barletta, Monopoli, Molfetta, Bisceglie,
Giovinazzo, Cerignola, Trani, Andria, Minervino, Altamura,
Matera, Polignano, Mola, Bari – dove però
i castelli rimasero spagnoli – e Ostuni. Fece
invece resistenza Manfredonia, mentre l’esercito
alleato inseguiva gli imperiali e mentre, a sud, i veneziani
pensavano a riprendersi i porti perduti nel 1509: Gallipoli,
Otranto e soprattutto a Brindisi.
«… Questa città, come le altre
di Puglia, era sfornita di truppe imperiali che erano
state mandate verso la Capitanata al principio della
guerra. All’intimazione di arrendersi e non ostante
la minaccia di dover pagare cinquantamila scudi, rispose
dapprima negativamente per timore dei forti, ma poi,
aperte trattative, il 29 aprile 1528 Brindisi alzò
bandiera veneziana, mentre le persone atte alle armi
si ritiravano nelle due fortezze a difendervi la bandiera
imperiale. I veneziani appena entrati in città,
ove fu posto a governatore Andrea Gritti, commisero
soprusi e angherie contro gli abitanti ai quali già
avevano rovinato le campagne all’intorno, poi
misero l’assedio ai castelli stabilendo di darvi
in maggio un pieno assalto» [V. VITALE, 1907].
A metà di maggio, l’ammiraglio veneziano
Pietro Lando – senza essere riuscito a espugnare
i due castelli, nonostante i tanti e ripetuti attacchi
sferzati sia da mare che da terra – con le sue
galere, che non potendo entrare nel porto avevano trovato
approdo nella rada di Guaceto, fu inviato a Napoli per
rafforzarne l’assedio.
Nel 1529, gli imperiali guidati in Puglia dal marchese
Del Vasto, deliberarono la riconquista delle più
importanti terre perdute, Barletta, Trani, Monopoli,
senza peraltro riuscirvi. Mentre i collegati deliberarono
tornare alla riscossa della strategica Terra d’Otranto
e il 28 luglio riattaccarono Brindisi, puntando soprattutto
alla presa dei due castelli: quello di terra, difeso
dal vice castellano Giovanni Glianes e quello di mare,
difeso dal vice castellano Tristan Dos. Il castellano
generale, Ferdinando – Hernando – Alarcon,
era in quei giorni impegnato nella difesa della assediata
Napoli.
Il provveditore veneziano Pietro Pesaro, il 13 agosto
prese terra a Porto Guaceto e con l’avanguardia
si avvicinò alla città, la quale si lasciò
persuadere ad arrendersi, ma contro i patti, fu saccheggiata
dalle truppe francesi, mal frenate dai veneziani. Il
18 arrivò Camilo Orsini con mira a prendere i
castelli, che anche questa volta erano rimasti nelle
mani spagnole, cominciando con quello di terra.
Esaurite però, dopo solo due giorni, le munizioni,
si decise di chiamare a rinforzo il capitano Simone
Tebaldi Romano che presto giunse a Brindisi con i suoi
16.000 soldati: “e qui, il 28 agosto, in una ricognizione
intorno al castello di terra, egli trovò la morte
per un colpo di artiglieria”.
Poi, finalmente giunse la notizia che a Cambrai il 5
agosto era stata firmata la pace e, pur con la reticenza
dei veneziani, l’assedio alla città fu
tolto. Ma per Brindisi era ormai troppo tardi: l’uccisione
del Romano aveva già scatenato l’inferno.
Castello svevo o di Terra
«Furono
della morte di costui dalla soldatesca celebrati lagrimosi
funerali nella misera città, contro la quale
sfogò il suo sdegno senza timore alcuno della
divina giustizia, e senza pietà degl’innocenti;
perciò che i soldati, essendo di varie nationi,
e liberi dal freno delcapitano, trascorsero nella solita
loro indomabile natura, essendo naturalconditione di
costoro, quando non han capo, che li guidi, di commettere
ogni enormità imaginabile... Quel furore dunque,
che dovevan accenderli contro i loro proprij nemici,
che stavano nella fortezza uccisori del loro duce, rivolsero
contro gli amici della città, che spontaneamente
gl’havean raccolti nelle loro case, e dando nome
di vendetta alla loro avaritia, e di giustitia alla
loro perfidia, s’incrudelirono nell’innocente
città, e nella robba de’ cittadini. Comiciò
a darsi sacco di notte, per celar forse col buio delle
tenebre, la crudeltà ch’usavano. Non si
possono senza orrore descrivere, né meritano
esser udite da orecchie umane le particolarità
delle sceleratezze commesse da quella soldatesca diss’humanata,
e feroce, avida non men di sangue, che di ladronecci.
Non perdonarono a cosa alcuna, humana o divina, furono
gl’infelici vecchi, e l’innocente vergini
tratti per barba e per crine, acciò rivelassero
le nascoste ricchezze, furono abbattuti i chiusi claustri,
e fracassate le caste celle delle spose di Dio. I tempij
con orrendi sacrilegi profanati; furono fatte in minutie
i tabernacoli, e buttando per terra le sacre hostie
consacrate, si presero i piccoli vasi d’argento
ove stavan riposte. Eccessi invero abominevoli, &
esecrandi, per li quali meritavano aprirsi le voragini
della terra, & esser da quelle ingoiati; o esser
fulminati dal cielo, o strangolati dalle furie; ma si
differì dalla divina giustitia il dovuto castigo
ad altro tempo per esser più severo degl’accennati…
Restò per qualche conforto alla depredata città
il cadavero del general nemico, che fu seppellito nella
chiesa di Santa Maria del Casale in un deposito, dal
canto destro nell’entrar della porta principale
della chiesa, dove fino a tempi nostri si lesse quest’iscrittione
nel sasso: Hic iacetSimeonThebaldusRomanus, imperator
exercitus.» [A. DELLA MONACA, 1674].
Quando il castellano
Ferdinando Alarcon rientrò a Brindisi, incontrò
la città semidistrutta e subito si sommò
alla richiesta inviata dai cittadini al re, avallata
dal viceré principe d’Orange, affinché
fosse annullata la condannaper ribellione che era stata
inflitta alla città dal commissario Girolamo
Morrone– essendo stata considerata fiancheggiatrice
di francesi veneziani e papalini per la sua reiterata
resa alle truppe della Lega e perl’atteggiamento
cittadino valutato come ostile all’imperatore–
segnalando, a sostegno della sua posizione, proprio
l’epica resistenza che avevano mostrato entrambi
i suoi castelli, lottando fedeli all’imperatore
senza mai arrendersi agli allegati.
Per buona ventura deibrindisini, la richiesta della
città fu finalmente accolta da Carlo Vecosìa
Brindisi furono anche integralmente restituiti tutti
i privilegi che nel passato erano già stati concessi
dai re Ferdinando I d’Aragona e Ferdinando il
Cattolico.
Castello Alfonsino o di Mare
La popolazione
di Brindisi al minimo storico
Nello scorcio di quello storico e tristissmo anno 1529,
dopo la terribile peste scoppiata nel 1526, dopo il
crollo improvviso della colonna romana, dopo l’assalto
e il saccheggio delle truppe papali francesi e veneziane,
Brindisi era ormai giunta allo stremo e la sua popolazione
si era ridotta a meno di 400 fuochi, circa 2.000 abitanti,
un minimoda alloramai più toccato.
Gli arcivescovi
di Brindisi
Carlo V dunque, vinse quell’ennesimo confronto
con la Francia di Francesco I e la pace che ne derivò,
con il trattato di Cambrai del 5 agosto 1529, riaffermò
il dominio della Spagna su tutto il regno di Napoli.
Fra le condizioni della pace s’incluse che Carlo
V avesse il diritto di nominare nel regno 18 vescovi
e 7 arcivescovi, tra i quali quello di Brindisi. E da
quel momento la chiesa brindisina, che fino ad allora
era appartenuta ai pontefici, divenne regia, garantendo
al regno, con la nomina di prelatispagnoli, l’affidabilità
di una città strategicamente importante.
Aleandro Girolamo, arcivescovo di Brindisi e Oria dal
dicembre 1524, poi fatto cardinale dal papa Paolo III,
nel 1541 rinunciò per recarsi a Roma a far parte
della commissione per la riforma della curia romana,
in preparazione del Concilio di Trento, ma vi morì
dopo poco, il primo febbraio 1542.
Gli succedette, nominato dall’imperatore Carlo
V e ratificato dal papa Paolo III, il nipote Francesco
Aleandro, del quale si disse fosse più atto a
maneggiare la spada che a reggere il pastorale e che
ebbe seri problemi ad essere riconosciuto dagli oritani,
i quali pretendevano che egli s’intitolasse “ArchiepiscopusUritanus
et Brundusinus”in considerazione della supposta
supremazia diocesana di Oria su Brindisi, finché
il papa Paolo III con bolla del 24 maggio 1545, diede
torto agli oritani e li obbligò a restare soggetti
all’arcivescovo di Brindisi. Francesco Aleandro
morì il 3 novembre 1560.
I Coronei
a Brindisi
Nell’ottobre del 1534, al papa Clemente VII succedette
il romano Alessandro Farnese con il nome di Paolo III,
mentre l’Europa, che continuava a logorarsi nell’interminabile
guerra tra Carlo V e Francesco I, era minacciata dalle
brame di conquista di Solimano dettoil magnifico, il
potente imperatore ottomano che utilizzando la flotta
barbaresca – basata in Tunisi – del famoso
ammiraglio Ariadeno Barbarossa, Kair ed-din, assaliva
sistematicamente gli stati marittimi più esposti,
nonostante l’altrettanto sistematica e determinata
reazione delle flotte cristiane, le imperiali, le napoletane
ele genovesi,guidate il gran ammiraglio Andrea Doria.
In questo contesto bellico, sulla costa meridionale
del Peloponneso, nell’antica Morea, la strategica
cittadina fortificata bizantina di Corone – già
roccaforte venezianadal 1204 in cui fin dal secolo XI
coesisteva una folta minoranza albanese ortodossa –
caduta in possesso dei turchi nel 1500 e riconquistata
da Andrea Doria nel 1532, fu riespugnata dai turchi
di Barbarossa nel 1534. Quindi, grazie ad accordi diplomatici
intercorsi tra gli imperatori Carlo V eSolimano, a molte
famiglie ortodosse della città fu consentita
la scelta dell’esilio nel regno di Napoli e così
in quell’occasione – ne seguirono altre
– circa 2.000 albanesi coronei, s’imbarcarono
sulle navi dell’alleanza di Carlo V e fecero rotta
per le regioni del sud d’Italia, principalmente
in Calabria ma anche in Sicilia e in Puglia.
Nel 1536, infatti,giunse a Brindisi una colonia di Coronei
che «...Ottennero poter costruire le loro
abitazioni lungo la via che mena a Lecce con chiese
per il loro rito greco» [F. A. PRIMALDO COCO,
1939]e per vari decenni fu un loro carismatico sacerdote,
Antonio Pirgo, che nella chiesa Cattedrale celebrò
con il rito greco vari battesimi di bambini coronei,
e non solo:
«L’11 luglio 1553 don Antonio Pirgo,
sacerdote greco, battezza il figlio di un coroneo e
altri battesimi, con rito greco, vengono celebrati nella
cattedrale dallo stesso sacerdote, detto alcune volte
Pirico, altre volte Piria, il 19 novembre 1553, il 7
giugno 1554, il 31 marzo 1555. Il 17 febbraio 1572 don
Antonio Pyrgo, battezza Caterina figlia di Giannetto
de Paulo de Pastrovichi e Milizia de Rado de Pastrovichi
e l’ostetrica è Stana de Jacopo Pastrovichi.
Nei giorni 9 gennaio, 12 maggio, 16 luglio, 18 ottobre,
23 novembre 1573 e 28 gennaio, 28 febbraio, 14 marzo
1574, battezza bambini della colonia greca residente
nella città» [P. CAGNES & N. SCALESE,
1529-1787].
Del resto,
furono tutti quelli, eventi abbastanza ordinari, giacché
la liturgia greca si era sviluppata anche a Brindisi
fin dallo scisma d’Oriente del 1054, e si mantenne
in uso nella città fino al 1680, nonostante il
Concilio di Trento del 1545 avesse ufficialmente sostituito
il rito greco con quello cattolico officiato in latino.
Le comunità greche albanesi poi, in tutta la
Terra d’Otranto, finirono progressivamente con
abbandonare la lingua madre, che si mantenne circoscritta
a solamente un’isola linguistica di pochi comuni
situati nella penisola salentina, specialmente nel tarantino,
tra quelli San Marzano, attualmente il più grande
comune Arbëreshë d’Italia.
Gli
Ebrei via da Brindisi
Nel novembre del 1539 l’imperatore Carlo V decretò
l’espulsione degli ebrei dal regno di Napoli e
subito, anche a Brindisi giunse l’editto «...
Che si discacciano dalla città gli ebrei, parendo
che colle loro usure divorassero le sostanze de popoli
e seminassero con l’esempio l’empietà
loro. Pure alcuni di loro restarono in Brindisi nella
cristiana e in buono et onorevol stato.»
[A. DELLA MONACA, 1674].
«...Quegli
ebrei a Brindisi erano venuti ad abitare, in numero
piuttosto considerevole, ai tempi degli aragonesi. A
dire il vero, questi ebrei cole loro industrie, coi
loro traffici, colle loro ricchezze avevano di molto
contribuito al benessere della città. La quale,
riconoscente, aveva fatte premurose istanze al viceré
di Napoli, affinché si fosse loro permesso di
restare lì. Ma i tentativi e gli sforzi tornarono
vani. E questo esito era da aspettarsi dal fanatismo
religioso di Carlo V e dal suo viceré Don Pedro
de Toledo, i quali avevano – vanamente –
tentato di stabilire l’inquisizione in Napoli.»
[F. ASCOLI, 1886].
In realtà,
gli ebrei a Brindisi c’erano anche da molto prima
che arrivassero gli aragonesi. Dopo la conquista e distruzione
di Brindisi ad opera dei Longobardi, intorno al 670
dC «… La documentazione epigrafica dà
la certezza che rimasero, ai margini della città,
solo alcuni gruppi di ebrei, parte stabiliti nella zona
detta ‘Giudea’, presso il seno di Levante
del porto interno, parte presso l’attuale via
Tor Pisana.» [G. CARITO, 1976]. E poi «...Quando
la città rinacque alla fine del IX secolo, anche
gli ebrei vi ritornarono. Nella seconda metà
del secolo XII il viaggiatore navarrino Beniamino da
Tudela vi troverà una decina di famiglie dedite
alla tintoria.»[A. FRASCADORE, 2002].
Con l’editto
di Carlo V, chetardò un paio d’anni ad
essere concretamente attuato, alcuni degli ebrei brindisini
emigrarono a Corfù, Patrasso e Salonicco, dove
vennero ben accettati e dove mantennero inuso la lingua,
i costumi e i riti religiosi che si portarono da Brindisi;
mentre quelli che rimasero attuarono il marranesimo,
ossia l’osservanzadella religione cattolica nelle
apparenze e nella pratica domestica quella degli usi
e rituali ebraici.
Carlo V
Mamma li turchi!
Gran parte delle azioni di Carlo V e di tutti gli eventi
che si susseguirono durante i quarant’anni che
durò il suo trono sul regno di Napoli, furono
fortemente condizionati dalla sua permanente e interminabile
guerra contro Francesco I, il re di Francia, il quale
mai rinunciò alla lotta anti-Carlo V e giunse
persino a sostenerla mediante l’antinaturale e
funesta alleanza con l’impero ottomano di Costantinopoli.
Infatti, furono costanti durante tutti quegli anni gli
episodi legati agli attacchi e alle scorrerie turco-barbaresche
sulle coste e sulle città dello spagnolo regno
di Napoli, e tra le più esposte quelle pugliesi
e, naturalmente, non fecero eccezione quelle brindisine.
Nel contesto delle guerre tra Francesco I e Carlo V
e dell’alleanza franco-turca, tra gli assalti
più prossimi a Brindisi ci fu quello del 27 luglio
1537,quando i turchi di Barbarossa sbarcarono a Castro,
ottenendo la resa dal comandante del castello dietro
assicurazioni che sarebbero stati rispettati gli abitanti.
Più che i patti, naturalmente non osservati,
influirono sulla resa le ingenti forze – 7000
fanti e 500 cavalli – messe a terra dai turchi,
giacché quell’azione rientrava nel piano
franco-ottomano secondo cuii turchi avrebbero attaccato
il sud d’Italia mentre i francesiavrebbero attaccato
il nord d’Italia.
L’imperatore ottomano Solimano, infatti, inviò
un esercito di 300.000 uomini da Costantinopoli a Valona,
con l’obiettivo di trasportarli in Italia con
una flotta di 100 galeegià pronta, nel mentre
il suo ammiraglio Barbarossa devastava la costa tra
Otranto e Brindisi, in attesa del momento propizio per
prendere Brindisi – dove sembra che ai francesi
fosse riuscito di corrompere il governatore locale che
avrebbe dovuto favorire lo sbarco dell’esercito
ottomano –da cui proseguire la conquista del regno
napoletano.
Francesco I però, non riuscì a concretizzare
il suo piano nel nord d’Italia e, invece, andò
ad attaccarei Paesi Bassi. Fallito così il piano
prestabilito, nel mese di agosto 1537 gli ottomani rinunciarono
a prendere Brindisi, lasciarono il sud d’Italia
e posero l’assedio navale a Corfù, dove
all’inizio di settembre 1537 vennero raggiunti
da 12 galee francesi dell’ammiraglio Baron de
Saint-Blancard, il quale tentò vanamente di convincerliad
attaccare nuovamente le coste della Puglia, la Sicilia
e Ancona, ma a metà settembre Solimano riportò
la sua flotta a Costantinopoli, senza neanche aver preso
Corfù.
Qualche tempo dopo, senza che nel mentre fosse mai stata
messa da parte la bellicosa rivalità tra Francesco
I e Carlo V, in quegli stessi anni in cui il viceré
spagnolo di Napoli, Pedro de Toledo, tentava di convincere
l’imperatore Carlo V ad instaurare l’inquisizione
nel vice regno, era principe di SalernoFerrante Sanseverino.
La sua decisa opposizione a quell’iniziativa lo
collocò in rotta di collisione con il viceréfinché,
aggravatosi lo scontro, nel 1552 fudichiarato ribelle
e condannato a morte dal Consiglio collaterale di Napoli.
Costrettocosì a prendere la via dell’esilio,
il principe si rifugiòin Francia sotto la protezione
del re Enrico II, che nel 1547 era succeduto al padre
Francesco I.
Dall’esilio, Sanseverino, per anni si adoperò
con impegno aravvivare la coalizione, integrata dal
regno di Francia la repubblica di Venezia e l’impero
turco, per combattere Carlo V ed il suo regno napoletano.
Anche se finalmente non raggiunse l’obiettivo
della presa di Napoli, non mancarono sue iniziative
concrete volte a quell’impresa, come quando –
nel 1554 – al comando di una flotta francese di
18 galere, si unìalla flotta turca ancorata aPrevesa,
sulla costa nordoccidentale della Grecia, per sferrare
l’offensiva.
Francesco I e Solimano il Magnifico
«Brindisi,
ammaestrata dall’esperienza, vedendo addensarsi
sì minacciosa burrasca ed in luogo così
vicino, entrò con gran timore che i primi tentativi
di sbarco e i primi assalti sarebbero diretti contro
di essa. Il quale pericolo essendo stato conosciuto
anche dal governo di Napoli, furono mandati di presidio
in questa città 400 soldati calabresi, sotto
comando di Giovanni Battista de Abinante. Questo nerbo
di forze era un’accozzaglia di persone di mala
vita e di pessimi costumi. Dissimile dai soldati non
era il loro capo…
In breve tempo, stando quei soldati in ozio, divennero
insolenti, tracotanti. I cittadini erano pubblicamente
insultati; le botteghe derubate; i pubblici negozii
malmenati; la virtù vilipesa; la pudicizia delle
donne oltraggiata.I cittadini perdettero alla fine la
pazienza e levatisi a tumulto, giurarono di vendicarsi
dei torti fin’allora ricevuti e di non risparmiare
alcuno di tai malcapitati. Percorrendo armati le strade
della città uccidevano quanti di quei soldati
incontravano, e…
Avrebbero trucidati tutti quei soldati, se, avuto sentore
del tumulto, non fossero accorse le autorità
provinciali da Lecce. Le quali, unitesi ai più
saggi e prudenti della città, riuscirono a stento
a frenare l’impeto e a calmare l’ira della
popolazione… E il viceré, cardinale Pedro
Pacheco, tenuto conto della provocazione, assolse la
città e castigò severamente il presidio
ch’era sopravvanzato alla strage» [F.
ASCOLI, 1886].
Andrea Doria Khayr al-Din Barbarossa
Dal re Carlo
al re Felipe
Ma per il re Carlo IV di Napoli – l’imperatore
Carlo V, sul cui impero non tramontava mai il sole –
era giunto il tempo della stanchezza e del ritiro.Nel
gennaio 1556 abdicòin favore del figlio Felipe
II cedendoglile corone di Spagna, deiPaesi Bassi e di
Napoli, conle Nuove Indie; e nel febbraio 1557 abdicòin
favore del fratello Ferdinando cedendogli lo scettro
del sacro romano impero. Quindi, si ritirò nel
monastero di SanYuste, in Estremadura diSpagna, dove
morì il 21 settembre del 1558.Il regno di Napoli
– e con esso anche Brindisi – aveva un nuovo
sovrano, Felipe II. Sarebbe rimasto sul tronoanche lui,
come il padre, a lungo: per altri quarant’anni.
Testo di Gianfranco
Perri
-> Il
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Bibliografia:
- Diaz de La Cabrera
D.Comentarios de los hechos del señor
Hernando de Alarcón, marques de la
Valle Siciliana y de Renda, y de las guerras
en que se halló por espacio de cincuenta
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- Della Monaca A.
Memoria historica dell’antichissima
e fedelissima città di Brindisi -
1674
- Summonte G.A. Historia
della città e regno di Napoli
- 1749
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Scalese N. Cronaca dei Sindaci di Brindisi
1529-1787
- Ascoli F. La
storia di Brindisi scritta da un marino
- 1886
- Vitale V. L’impresa
di Puglia degli anni 1528 e 1529 - 1907
- Primaldo Coco F.A.
Gli Albanesi in Terra d'Otranto -
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- Vacca N. Brindisi
ignorata - 1954
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C. Sciarra Il sistema difensivo a Brindisi
- 1981
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Mura di Brindisi. Sintesi Storica - 1981
- Frascadore A. Gli
ebrei a Brindisi nel '400 - 2002
- Perri G. Brindisi
nel contesto della storia-2016
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