LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
LA RIFORMA FONDIARIA
NELL'AGRO BRINDISINO
Ciò che resta delle opere di trasformazione
agraria avvenuta negli anni '50, un processo in buona
parte fallito per i fenomeni di emigrazione, invecchiamento
e spopolamento delle campagne
Le problematiche connesse alla riforma
agraria hanno rappresentato per secoli un problema cruciale
per l'intero meridione d'Italia. Le prime promesse di
redistribuzione dei terreni risalgono al 1792, quando
la questione demaniale ideata da Ferdinando I di Borbone
venne osteggiata dai grandi proprietari terreni, timorosi
di perdere i loro privilegi. Anche durante il fascismo
e nel secondo dopoguerra non si fece nulla nonostante
le ripetute promesse di lottizzazione delle terre, ciò
determinò tensioni sociali e una serie di mobilitazioni
popolari sostenuti da braccianti agricoli e affittuari
che chiedevano una più equa ridistribuzione delle
ricchezze con l'assegnazione di quelle terre mal coltivate
o abbandonate, in maniera da non essere più sfruttati
dai latifondisti accusati di non interessarsi alle loro
condizioni di vita.
Borgo di Serranova, agricoltori
escono in fila da un cortile verso i campi (Ist. Luce)
Il primo atto della tanto invocata
riforma fondiaria venne disciplinata con la legge n.
841 del 21 ottobre 1950, "Norme per la espropriazione,
bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni
ai contadini", norma fortemente voluta dal governo
centrista guidato da Alcide De Gasperi per rispondere
alle grosse criticità e ai ritardi accumulati
nel comparto agricolo nazionale e soprattutto nel Mezzogiorno.
Una delle principali finalità era l'attuazione
della divisione del latifondo nel rispetto delle piccole
e medie proprietà fondiarie, al fine di fornire
aiuto ai contadini più poveri. Si dovevano inoltre
attivare una serie di interventi e opere di trasformazione
fondiaria ed agraria, promuovendo la costituzione di
consorzi di bonifica e di irrigazione, e facilitare
la creazione di aziende sperimentali e di centri di
meccanizzazione agricola.
Contrada Pilella-Brancasi, particolare
di una casa colonica
Il provvedimento legislativo, anticipato
dalla cosiddetta legge Sila (1947) e sostenuto finanziariamente
con i fondi del Piano Marshall attraverso la
Cassa per il Mezzogiorno (istituita nell'agosto
del '50), era stato definito dal ministro dell'agricoltura
Antonio Segni, uno dei principali promotori della
riforma, come il "più importante rinnovamento
sociale dopo l'unità d'Italia" in quanto
interessava una superfice complessiva di otto milioni
e mezzo di ettari (un terzo della superfice agraria
nazionale), di questi il 90% furono suddivisi in poderi
unifamiliari e quote integrative di piccolissime proprietà
particellari, distribuite a migliaia di famiglie di
contadini e braccianti dal precario status sociale.
La prima fase del necessario e coraggioso processo riformatore,
incentrato sull'esproprio di tenute latifondiste che
possedevano più di 300 ettari e la raccolta di
domande di assegnazione, venne affidato ad enti appositamente
istituiti i per gestire gli iniziali e delicati passaggi
di conversione agraria, nella nostra regione operò
senza non poche critiche l'Ente Riforma Fondiaria
di Puglia, Lucania e Molise (nel 1965 tramutato
in Ente di sviluppo agricolo, soppresso poi nel 1993),
con sede a Bari e presieduto dal prof. ing. Aldo
Ramadoro. Gli espropri, che escludevano i terreni
già trasformati, non suscettibili di trasformazione
e di quelli investiti a bosco, furono completati nel
1953 con l'acquisizione delle aree da parte dell'Ente,
successivamente distribuite tra gli aspiranti assegnatari
selezionati tra i residenti nei comuni in cui i terreni
ricadevano, ovvero a braccianti e lavoratori agricoli
nullatenenti oppure ai capifamiglia titolari di appezzamenti
insufficienti per l'impiego della manodopera familiare,
rispettando una apposita graduatoria redatta anche su
criteri preferenziali di scelta stabiliti dall'ente,
alle volte marcatamente flessibili e discrezionali.
In Puglia furono 125.716 i poderi assegnati e 22.461
le quote.
Contrada Pilella-Brancasi, particolare
di una casa colonica con porticato originale
Contrada Pilella-Brancasi, particolare
di una casa colonica con porticato murato in fase di
ristrutturazione
Da quel momento furono realizzati una
serie di importanti insediamenti rurali nelle contrade
appoderate, i cosiddetti centri di colonizzazione e
centri aziendali, guidate da capi azienda e addetti
sociali che organizzavano scuole, magazzini, mense e
circoli ricreativi, con lo specifico compito di venire
incontro ai bisogni delle famiglie di assegnatari residenti
nei poderi. È ciò che avvenne anche in
alcune contrade dell'agro di Brindisi, in particolare
ad Apani e Bancasi-Pilella a nord del
capoluogo, e San Paolo e Colemi nei pressi
di Tuturano, dove ai beneficiari venne assegnato un
lotto di terreno della superficie che andava dai cinque
ai dieci ettari, estensione variabile in funzione della
produttività del terreno e della redditività
della coltura presente; al centro o al margine del podere
vi era una semplice e accogliente casa colonica, costruita
in tufo con tre vani su un solo piano (ad Apani invece
erano bifamigliari e si sviluppavano anche sul piano
superiore), seguendo il tipico schema architettonico
contraddistinto da un comodo atrio a porticato, che
in molti casi venne murato per ricavarne un'altra stanza,
affiancate da una piccola stalla, un vano deposito,
un pozzo acquifero e un forno in pietra. Nella dotazione
rientravano anche l'aratro e gli altri attrezzi utili
alla lavorazione della terra, il carro agricolo in legno
e alcuni animali da tiro e da trasporto, come l'asino,
il mulo o il cavallo, quindi una mucca e talvolta anche
alcuni piccoli animali da cortile come oche, galline
e conigli. Le nuove proprietà avrebbero dovuto
avere una dimensione necessaria per il raggiungimento
dell'autosufficienza familiare, ma era altresì
necessario entrare a far parte, per almeno vent'anni,
delle "cooperative per i servizi collettivi"
- olivicole, cerealicole e/o vinicole - promosse dall'Ente.
La prima cantina ad operare, in ordine di tempo, fu
quella del Risveglio Agricolo, fortemente caldeggiata
dai socialisti, seguita dalla cantina di Tuturano e
da quella in contrada Brancasi, stabilimenti che all'epoca
apportarono non poche innovazioni tecnologiche. Questi
agglomerati rurali venivano inoltre dotati di strade
interpoderali, di punti di aggregazione e di assistenza
sanitaria, luoghi di culto e scuole, come quella molto
frequentata di contrada San Paolo, dove era stato creato
un istituto di formazione e avviamento all'agricoltura.
Contrada Apani, casa colonica
(una delle poche abbandonate)
La riforma fondiaria nell'agro di Brindisi
in realtà si limitò solo a poche e limitate
zone, intaccando appena i grandi proprietari terrieri
indennizzati con titoli di stato, come Leonetti
e Balsamo, al contrario di quanto avvenne in
altre zone della stessa provincia (ricordiamo che in
quegli anni sorse il borgo di Serranova, di cui parleremo
prossimamente) o di territori salentini e nazionali.
Ma il miraggio di un lavoro sicuro in fabbrica, nel
costruendo petrolchimico o nel siderurgico di Taranto,
portarono molti coltivatori diretti ad abbandonare la
terra o ad emigrare al nord d'Italia e all'estero, altri
non riuscirono ad affrontare questa nuova impresa e
tornarono a lavorare "alla giornata", così
un po' alla volta i poderi vennero lasciati all'incuria
e al degrado. Secondo alcuni anziani agricoltori locali
l'insuccesso dell'iniziativa nel nostro territorio fu
causato anche dai "troppi vagabondi tra gli
assegnatari, gente svogliata e incapace di impegnarsi
- ricordano ancora con rabbia 'Nzino e Pierino che alla
Riforma ci hanno sempre creduto - quella gente non
conosceva il sacrificio e l'impegno al lavoro, era riuscita
ad avere la terra solo grazie alla vicinanza a certi
partiti politici e ai sindacati". Così
la tanto attesa riforma a favore del mondo contadino,
firmata dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi,
mostrò presto i suoi veri limiti, amplificati
dal grande sviluppo industriale di quegli anni.
Contrada Pilella-Brancasi, la
chiesetta, l'ex scuola e i capannoni, oggi centro ippico
della fam. Molfetta
Ancora oggi tanti di quei poderi sono
caratterizzati dalle casette coloniche, rimaste abbandonate
per anni ma che in buona parte sono state recuperate
e riutilizzate per lo più come appoggio stagionale.
Tutto ciò è evidente nella zona attraversata
dalla Strada Pilella, basta percorrere questo caratteristico
tragitto rurale che collega la SS 16 con la SS 379 per
rendersi conto di com'erano organizzati questi centri
di colonizzazione e i singoli possedimenti: qui solo
pochi fabbricati rurali costruiti dall'Ente Riforma
sono ancora abitati dai figli e nipoti dei primi assegnatari
che ne riscattarono la proprietà, le altre strutture
sono state acquistate e ristrutturate da privati e utilizzate
per scopi diversi, come i capannoni originariamente
adibiti a magazzini di raccolta, stoccaggio e lavorazione
dei prodotti agricoli - mai entrati in funzione - oggi
divenuti sede di un avviatissimo circolo ippico.
Un plauso va alla famiglia Molfetta, proprietaria
da alcuni anni dell'ampio immobile, che ha saputo investire
nello sport salvaguardando, senza stravolgerlo, un importante
documento storico di quegli anni travagliati. Sono in
fase di progettazione anche la ristrutturazione della
vicina e bella chiesetta e dell'edificio scolastico,
già acquisiti e pronti a diventare luoghi di
socialità e di turismo ecosostenibile.
Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 219 del 08/10/2021
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