Monumenti - COLONNE ROMANE
(O DEL PORTO)
Scheda storica
a cura di Roberto Piliego
Sono tre le ipotesi
tramandate sulle origini delle colonne romane di Brindisi.
Per molti - ed è l'ipotesi più accreditata
dalla tradizione - si tratta di un monumento fatto innalzare
nel 110 circa d. C. dall'imperatore Traiano, per celebrare
- con il potenziamento del nostro porto - la costruzione
di una deviazione della via Appia per il tratto che
da Benevento conduceva a Brindisi, passando da Canosa,
Ruvo, Egnazia; strada che da lui fu detta Traiana o
Appia-Traiana (ma anche Egnazia). La prima parte dell'originaria
via Appia era stata costruita nel 322 a. C. dal censore
Appio Claudio il Cieco per unire Roma a Capua, ma qualche
decennio dopo la strada fu prolungata sino a Benevento
e Taranto, conquistata nel 272. Sottomessa cinque anni
dopo anche Brindisi, si rese necessario il prolungamento
fino al nostro porto, realizzato molto probabilmente
da Appio Claudio Pulcro, che fu console nel 213 a. C.
A quei tempi Oria, attraversata dalla primitiva via
Appia, svolgeva l'importante funzione di mansio, cioè
di un luogo in cui, oltre a cambiare i cavalli, i viaggiatori
potevano pernottare.
Le Colonne Romane (ph. G. Membola
2011)
Per altri è
un monumento eretto in onore di Ercole (il libico),
al cui figlio Brento i brindisini facevano risalire
la rifondazione della città, e il cui culto era
molto vivo a Brindisi, come in tante altre città.
Ciò a somiglianza delle più famose colonne
poste in Africa e in Spagna, sull'attuale stretto di
Gibilterra, che indicavano la fine del mondo allora
conosciuto.
Per altri ancora le colonne sarebbero state volute dai
Romani per premiare la lealtà dei brindisini,
che nel 214 a. C. - a differenza dei tarantini - non
si erano arresi ad Annibale; o del brindisino Lucio
Ramnio, in particolare, che nello stesso anno fece fallire
il piano del re macedone Perseo, che voleva battere
i Romani facendone avvelenare i comandanti di passaggio
dalla nostra città; o per premiare il contributo
in denaro e soldati che Brindisi - con poche altre città
- assicurò a Roma nella guerra contro i Cartaginesi
anche dopo la disfatta di Canne; oppure il validissimo
aiuto fornito a Silla (nell'83 a. C.), a Cesare (nel
48 a. C.) e a Ottaviano (il futuro Cesare Augusto, nel
38 a. C.), in occasione delle guerre civili che li videro
vincitori rispettivamente su Mario, Pompeo e Marco Antonio.
In ogni caso le colonne sarebbero servite, per un certo
periodo, evidentemente prima che l'accesso al porto
e la sua prima difesa fossero trasferiti dall'attuale
canale Pigonati all'isola di Sant'Andrea, come faro:
tra un capitello e l'altro fu posta una robusta traversa
di bronzo con un fanale dorato (opportunamente protetto
e in grado di sopportare l'impeto dei venti) al centro,
per dare ai naviganti un punto di riferimento e la possibilità
di trovare riparo anche di notte dalle furiose tempeste
per le quali nell'antichità era famoso l'Adriatico.
In favore dell'ipotesi
che considera le colonne "terminali della via Appia",
vi è la contemporanea costruzione a Benevento
- l'altra città interessata dalla costruzione
del nuovo tratto orientale della strada, di strategica
importanza per le campagne orientali, in particolare
contro i Daci - dell'arco celebrativo detto di Traiano;
ed è molto probabile che Brindisi, punto di arrivo
della duplice strada e base di partenza per l'Oriente,
che forniva assistenza e vettovaglie alle imponenti
armate romane, abbia avuto nell'occasione un proprio
monumento celebrativo. Un'epigrafe fu ritrovata nel
1736 nel giardino del palazzo Montenegro (in una parete
del quale fu murata - vedi
foto), con la seguente iscrizione dedicata dai brindisini
a Traiano:
IMP - CAESARI - DIVI - NERVAE - F - NERVAE - TRAIANO
- AVG - GER - DACIC -PONT - MAX - TRIB - POT - XIV -
IMP - V - COS - VI - P - P - BRVNDVSINI - DECVRIONES
- ET - MVNICIPES (A Nerva Traiano Imperatore, Cesare,
Augusto, figlio del divo Nerva, Germanico, Dacico, Pontefice
Massimo, Tribuno per la quattordicesima volta, Imperatore
per la quinta, Console per la sesta, Padre della Patria,
i Decurioni e i Municipali Brindisini).
Inoltre, un bellissimo torso loricato - ora nel Museo
Archeologico Provinciale - fu rinvenuto nel 1932 in
via Tarantini, durante uno scavo: dalla ricchezza dei
fregi ornamentali della corazza potrebbe trattarsi di
un simulacro dello stesso Traiano, a significare i profondi
legami tra l'Imperatore e la nostra città. Infine,
non si può sottacere il fatto che nel 29 a. C.
il Senato romano decretò, a ricordo della vittoria
di Ottaviano ad Azio di due anni prima, l'erezione di
due archi di trionfo, uno a Roma e l'altro a Brindisi,
a ulteriore dimostrazione che Roma era particolarmente
generosa quando si trattava di celebrare - con monumenti
- vittorie e opere pubbliche. È noto che al tempo
dell'Impero, Brindisi fu forse il più importante
nodo stradale; e nel nostro porto, attivissimo già
agli inizi del II sec. a. C., Augusto teneva stabilmente
un'intera flotta. A Roma ha peraltro resistito alle
ingiurie del tempo la splendida colonna Traiana, che
celebra le conquiste dell'Imperatore.
In favore dell'ipotesi
che le colonne siano state erette in onore di Ercole,
vi è da dire che a parte l'incredibile culto
che nei tempi antichi veniva reso a questo dio dalla
forza proverbiale, e la pretesa di molte città
di discendere da lui (soprattutto allo scopo di intimorire
i nemici, ritenendosi o facendo credere di essere invincibili),
c'è l'iscrizione che all'incirca nel 1660 i leccesi
fecero scolpire sulla base del monumento a S. Oronzo,
realizzato - come si vedrà - con una parte di
una delle colonne romane di Brindisi:
COLVMNAM HANC QVAM BRVNDVSINA CIVITAS SVAM AB HERCVLE
OSTENTAS ORIGINEM PROPHANO OLIM RITV IN SVA EREXERAT
INSIGNIA RELIGIOSO TANDEM CVLTV SVBIECIT ORONTIO VT
LAPIDES ILLI QVI FERARVM DOMITOREM EXPRESSERANT NOVO
CAELAMINE VOTO ET CVLTV TRVCVLENTIORIS PESTILENTIAE
NOSTRI TRIVNPHATOREM POSTERIS CONSIGNARENT (Questa colonna
che la città di Brindisi, che ostenta la sua
origine da Ercole, con rito profano aveva eretto come
sua insegna, finalmente con rito religioso sottopone
ad Oronzo, affinché quelle pietre che avevano
simboleggiato il domatore delle belve, con nuovo aspetto,
voto e culto tramandino ai posteri il trionfatore della
feroce pestilenza). Un'ipotesi in parte suffragata dalla
datazione al III sec. d. C., successivamente quindi
alle imprese di Traiano e alle guerre puniche e civili,
proposta per il capitello della colonna rimasta a Brindisi;
ma si tratta di un elemento che può essere stato
sostituito in epoca successiva all'erezione dei fusti
delle colonne, che in origine devono aver sostenuto
due statue. Infatti, un bassorilievo in pietra, senza
data, murato all'esterno del Castello Svevo, mostra
le due colonne con i capitelli e due piattaforme, presumibili
appoggi per statue. Ai lati delle colonne vi è
l'iscrizione: AD HERCVLIS COLVMNAS.
In favore dell'ipotesi
che vede nelle colonne un premio alla lealtà
e generosità dei brindisini, vi è la gratitudine
dimostrata in particolare da Lucio Silla per l'accoglienza
e il mantenimento della sua armata costituita da 600
navi, al ritorno dalla guerra contro il re del Ponto
Mitridate: la città fu per un lungo periodo esonerata
dal pagamento a Roma dei tributi cui erano obbligate
le altre città. Le colonne potrebbero anche essere
state erette con una parte delle opere d'arte orientali
che costituivano il bottino di guerra di Silla.
La colonna superstite,
di marmo bigio orientale, è alta - come d'altronde
quella caduta nel 1528, trasportata a Lecce e modificata
nel 1660 - m. 18,74, dei quali 4,44 di base, 11,45 per
gli otto rocchi, 1,85 per il capitello e un metro per
il pulvino. Il suo capitello è adornato con quattro
deità e otto tritoni e foglie di acanto; il pulvino
ha tre ordini di fregi.
Sulla base della colonna rimasta a Brindisi vi è
un'iscrizione che ricorda la ricostruzione nel IX secolo
della città, distrutta dai Saraceni (che tra
l'altro appiccarono il fuoco alle colonne), ad opera
di un illustre personaggio della Corte imperiale greca,
il protospatario Lupo, che agì nel nome dell'Imperatore
di Costantinopoli Basilio. L'iscrizione, che si leggeva
ancora interamente nel 1674, diceva:
ILLUSTRIS PIVS ACTIB. ATQ: REFVLGENS - PTOSPATHA LVPVS
VRBEM HANC STRVXIT AB IMO - QVAM IMPERATORES MAGNIFICIQ:
BENIGNI … (L'illustre e pio per azioni benefiche
Lupo Protospata ricostruì dalle fondamenta questa
città, che gli Imperatori magnifici e benigni
…) L'epigramma continuava con ogni probabilità
(e logica) sulla base della seconda colonna, troppo
presto deterioratasi: dei caratteri non è rimasto
neppure il ricordo.
Il 20 novembre 1528,
senza apparente motivo, una delle colonne crollò,
e il rocchio superiore (quello immediatamente sotto
il capitello) cadde di traverso sulla base, mentre tutti
gli altri, inclusi il capitello e il pulvino rimasero
a terra per quasi 132 anni. La peste - che aveva già
colpito Brindisi nel luglio 1526 uccidendo in pochi
giorni un gran numero di cittadini - scoppiò
di nuovo nel regno di Napoli nel 1657, ma non si diffuse
nella terra d'Otranto, si ritenne per intercessione
di S. Oronzo (i brindisini si rivolsero invece a San
Rocco, come avevano fatto 130 anni prima). A Lecce,
in particolare, si pensò di erigere al Santo
un monumento, cui il sindaco di Brindisi Carlo Stea
decise di contribuire donando i rocchi e il capitello
caduti, danneggiati e in stato di abbandono della colonna
romana. Il suo successore (la carica allora durava solo
un anno), Giovanni Antonio Cuggiò, interpretando
i sentimenti dei cittadini che preferivano che al monumento
si provvedesse con marmo nuovo, al cui acquisto erano
pronti a contribuire, rifiutò di consegnarli.
Il 2 novembre 1659 giunse però alla Città
l'ordine del Vicerè di Napoli conte di Castrillo
di consegnare i pezzi cascati della colonna: il nuovo
Sindaco Carlo Monticelli Ripa provò a chiedere
un contrordine, ma inutilmente. Il trasporto fu effettuato
l'anno successivo tra molte difficoltà, non per
ostacoli frapposti dai brindisini, ma perché
le strade erano impraticabili per le piogge, e i carri
dell'epoca non erano in grado di sopportare il peso
della colonna, mentre vi era la necessità di
evitare il rischio di danneggiare ulteriormente i pezzi
già malridotti. L'architetto leccese Giuseppe
Zimbalo, oltre a costruire una nuova base con pietra
locale, fu costretto a rastremare i rocchi di 65 centimetri
(la circonferenza passò alla base da m. 4,77
a 4,12) e a ridurre, trasformandone lo stile e le figure,
il capitello corinzio. A quanto sembra, il capitello
originale rappresentava figure femminili e principi
persiani (scheda
e foto).
Una prima sistemazione
della collinetta su cui sono le colonne romane fu eseguita
nel 1861, sotto il sindacato di Domenico Balsamo, primo
sindaco liberale di Brindisi, con la pavimentazione
del piazzale e la costruzione di una stretta scalinata,
che assunse l'ampiezza attuale in occasione della costruzione
del Monumento Nazionale al Marinaio d'Italia (1933).
Nel 1937, su "La
Stampa" di Torino Margherita Sarfatti auspicò
il ritorno a Brindisi della colonna di S. Oronzo, per
ricomporre il monumento così com'era in origine,
ma il Consiglio Superiore delle Belle Arti - su relazione
dell'Accademico Gustavo Giovannoni - non ritenne possibile
il ritorno della colonna, poiché rocchi e capitello,
a causa della caduta, erano stati ormai ridotti e modificati.
Ferdinando II d'Aragona
ordinò nel 1496 che sulle medaglie e monete che
si coniavano a Brindisi s'incidessero le colonne romane,
in segno della lealtà immutabile dei brindisini,
di cui anch'egli, come Silla, Cesare e Ottaviano, aveva
avuto prova. Su alcuni esemplari furono aggiunte le
parole FIDELITAS BRVNDVSINA. Ma le colonne non furono
introdotte nel nostro stemma dagli Aragonesi: si tratta
di un'insegna antica, visibile anche in un affresco
del XIV secolo intitolato "Albero della Croce",
che è all'interno della Chiesa di S. Maria del
Casale ( del 1300 circa).
|