LE STORIE DELLA NOSTRA STORIA
CHIESTA A LECCE
LA RESTITUZIONE DELLA COLONNA ROMANA
Il
18 settembre 2007, in concomitanza del ritorno in città
del capitello originale della Colonna romana (foto
a lato) dai capannoni dell'Enichem (Zona industriale
di Brindisi), che trova la sua nuova collocazione alla
sala “sala della colonna”, appositamente
allestita nell’ex Corte d’Assise della città
(scheda),
edificio adiacente al Palazzo Granafei Nervegna del
XVI secolo, il sindaco di Brindisi on. Domenico Mennitti
ha inviato al sindaco di Lecce Dott. Paolo Perrone,
una formale richiesta di restituzione della seconda
Colonna romana, nella città salentina da circa
400 anni.
La questione ha suscitato malumori e polemiche, ed ha
diviso l'opinione pubblica tra chi ritiene giusto il
ritorno della colonna gemella nel luogo originale,
e chi invece ritiene inutile e superflua la richiesta
del primo cittadino di Brindisi.
Nell'ottobre del 2007
è stata istituta di una commissione di studio
di esperti sul tema riguardante: La collocazione
di monumenti nel contesto storico di origine: le colonne
terminali della via Appia, composta da: Nino Bevilacqua,
ordinario di Architettura dell’Università
di Palermo; Aldo Bonomi, sociologo, fondatore e direttore
del Consorzio Aaster (Associazione agenti di sviluppo
del territorio); Giacomo Carito, direttore dell’Ufficio
beni culturali dell’Arcidiocesi Brindisi-Ostuni;
Pierluigi Cerri, architetto-designer della Triennale
di Milano; Claudio D'Amato, ordinario di Disegno industriale
del Politecnico di Bari; Francesco D'Andria, ordinario
di Storia dell'arte greca e romana dell’Università
del Salento; Massimo Guastella, docente di Storia dell'arte
contemporanea dell’Università del Salento;
Fabio Lacinio, dirigente del Settore beni monumentali
del Comune di Brindisi; Francesco Mancuso, ordinario
di Architettura dell’Università di Venezia;
Maurizio Marinazzo, funzionario del Settore beni monumentali
del Comune di Brindisi; Maria Pia Pettinau Vescina,
Storica del tessile antico e della moda; Davide Rampello,
presidente della Triennale di Milano; la presidenza
del gruppo di studi è stata affidata al sindaco
Mennitti.
Il risultato della commissione, comunicata il 12 gennaio
2008, in sintesi decreta che le colonne sono state simbolo
di una città che si rivolgeva al mare e non rappresentano
il punto terminale della via Appia; la colonna collocata
a Lecce non tornerà a Brindisi e non è
necessario costruirne nuove per rimpiazzare la mancante.
Ricordiamo che sulla
Colonna romana (o del porto) è stato collocato
con il rimontaggio del 2003, una copia in resina del
capitello originale, al fine di preservare quest'ultimo
da ulteriori danni causati dall'inquinamento, anche
in questa occasione vi fu un acceso dibattito tra chi
ha apprezzato la scelta e chi invece preferiva rivedere
l'originale all'apice della colonna superstite al crollo
del 28 novembre 1528.
Si riporta di seguito l'intervento di Roberto Piliego,
esperto e studioso di storia locale e collaboratore
di questo sito web, che ha voluto motivare la sua opinione
in merito alla questione:
Sulla ricostituzione
delle colonne romane di Brindisi
La
colonna che a Lecce sostiene la statua di S. Oronzo
(foto a lato), patrono
della Città, non è più la stessa
che crollò a Brindisi (senza apparente motivo)
il 20 novembre 1528.
I sette rocchi di marmo (l’ottavo è quello,
superiore, che nel crollo si pose di traverso sulla
base, dove tuttora si trova), trasportati - già
malridotti per la caduta e l’incuria – nel
1659 a Lecce per ordine superiore del vicerè
di Napoli conte di Castrillo, e non per decisione
autonoma dell’allora Sindaco di Brindisi Carlo
Monticelli Ripa, furono necessariamente rastremati
di 65 cm. dall’architetto leccese Giuseppe Zimbalo:
la circonferenza alla base si ridusse da 4,77 a 4,12
m.; e furono pure modificati – per adattarli alla
nuova funzione - lo stile e le figure del capitello
corinzio (foto in basso a destra),
che molto probabilmente non erano neppure identici a
quelli della colonna rimasta a Brindisi.
Riportare a Brindisi questa colonna ridotta e notevolmente
modificata, che per di più a Lecce svolge da
tre secoli e mezzo una funzione più nobile di
quella che svolgerebbe a Brindisi, non serve, pertanto,
a ricostituire il simbolo di Brindisi, qual era in origine
fino al 1528. Già nel 1937 Margherita Sarfatti
auspicò su La Stampa che la colonna
di S. Oronzo tornasse a Brindisi, ma la proposta trovò
l’opposizione del Consiglio Superiore delle Belle
Arti, su relazione dell’Accademico Gustavo Giovannoni,
proprio perché rocchi e capitello erano ridotti
e modificati. Si potrebbe, ma solo in teoria, fare una
copia - com’è stato fatto in tempi recentissimi
col capitello rimasto a Brindisi – dell’attuale
colonna brindisina, ma sarebbe un falso storico, assolutamente
da evitare.
Una
soluzione ragionevole è quella di trasferire
il capitello originale della colonna di Brindisi nella
sede più idonea, il Museo Archeologico Provinciale,
visitato ogni anno da migliaia di turisti e studenti;
e qui costruire un ampio plastico che riproduca –
a beneficio dei cittadini e dei forestieri – l’impianto
della Brindisi romana (incluse le due colonne originarie),
com’era ai tempi del primo imperatore, Cesare
Ottaviano Augusto.
Il palazzo Granafei-Nervegna potrebbe conservare, invece,
le memorie di Brindisi dal Rinascimento ad oggi, ricca
com’è la Città di memorie risorgimentali.
Roberto Piliego
La vicenda ha inizio
con la lettera di richiesta di restituzione a firma
del sindaco Mennitti (leggi
il testo), è stata allega anche una
ricostruzione degli eventi sulla vicenda della Colonna
romana, di seguito riportata integralmente:
Il 20 novembre del
1528 accade qualcosa che segnerà fino ai nostri
giorni il percorso storico della città di Brindisi
e che influirà notevolmente sulla nostra identità
culturale. A quella data una delle due colonne poste
sulla piazzetta antistante la scalinata virgiliana,
crolla senza apparente motivo. L’opinione comune
pensò all’accaduto come ad un segno di
sventura. I rocchi distrutti della colonna rimasero
a terra per 132 anni fino al momento in cui tra il 1657
e il 1658 il sindaco di Brindisi Carlo Stea
decise di concederli alla città di Lecce, dove
si pensò di erigere un monumento a Sant’Oronzo;
un gesto questo che onorava il santo per aver liberato
il Salento dalla peste che in quegli anni lo colpì.
Ma in realtà cosa successe effettivamente in
quel periodo? Perché la colonna romana è
stata consegnata a Lecce?
Fondamentale per la ricostruzione dei fatti è
la Cronaca dei Sindaci di Brindisi (1529-1787).
Si tratta di un’opera importantissima, quasi unica
fonte principale sulla vicenda. Secondo quanto emerge
dal manoscritto possiamo affermare che:
- il 24 luglio 1526 inizia la peste;
- il 20 novembre 1528 cade una delle
colonne;
- nel settembre del 1529 Brindisi è
saccheggiata.
Dall’ uno settembre 1528 al 31 Agosto 1529 Giacomo
de Napoli è il Sindaco in carica a Brindisi.
Il crollo della colonna romana avviene durante la sua
legislatura.
Passano 132 anni, i rocchi rimangono lì, non
sono spostati fino al momento in cui il sindaco Carlo
Stea (in carica dall’uno settembre 1657 al 31
Agosto 1658 ) in un momento di forte esaltazione religiosa
decide di offrirli alla città di Lecce, per onorare
il patrono S. Oronzo il quale avrebbe liberato la nostra
Provincia dalla peste del 1656. A questo proposito,
sempre in base alla già citata Cronaca il canonico
Pasquale Camassa nella sua opera “La
romanità di Brindisi attraverso la sua storia
e i suoi avanzi monumentali”, edito a Brindisi
nel 1934, afferma quanto segue : “L’idea
per quanto lodevole dal lato religioso, trovò
una forte opposizione nella cittadinanza, la quale non
sapeva adagiarsi all’idea di essere privata di
quei marmi, muti testimoni della sua antica grandezza.
Quei blocchi marmorei, dicevano i Brindisini, dovranno
essere rimessi sulla loro antica base. Il sentimento
religioso non deve distruggere l’altro pur nobile
sentimento della conservazione dei patrii monumenti.
I sindaci Cuggiò, Monticelli e Vavotico non vollero
mai ratificare l’atto di cessione compiuto dal
loro precedessore Stea. Dopo anni di opposizioni il
Vicerè Conte di Castrillo, ordinò che
i pezzi della colonna fossero ceduti a Lecce. Se è
vero che Brindisi si oppose alla cessione della sua
colonna, per il rispetto che sentiva per i suoi monumenti,
non è più conforme alla verità
storica il sostenere che l’abbia donata. A tal
proposito Andrea della Monaca nella sua “Memoria
Historica” (1674) a proposito dell’elezione
del Sindaco, elenca i compiti demandati all’amministrazione
ed evidenzia come nelle deliberazioni egli non
abbia voto; illustra le incombenze e l’esercizio
del Sindaco, il quale, in atti, non poteva concedere
né donare senza deliberazione decurionale del
Pubblico Reggimento (cioè il Consiglio Comunale).
Nessun Sindaco avrebbe potuto autonomamente emanare
un atto di concessione (quello che secondo il Camassa
non fu mai ratificato, ma esisteva) perchè ciò
era severamente vietato dallo statuto.
La città di Brindisi non avrebbe mai ceduto ciò
che aveva in animo di conservare. Le colonne sono sempre
state simbolo cittadino della vita marittima di questa
città. Tutelare i nostri monumenti significa
tutelare le nostre origini e quindi anche la nostra
identità, ma per fare questo è importante
inserire tali opere nel tessuto in cui sono state prodotte.
I rocchi e il capitello della
Colonna romana sulla scalinata virgiliana, prima del
rimotaggio del 2003
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