Monumenti
Il leone di epoca
romana di Mitrano
In un giardino interno
dell’antica Masseria Mitrano è conservata
una interessante scultura in tufo di epoca romana repubblicana,
raffigurante un leone piegato sulle zampe anteriori.
Il leone di epoca romana nel
giardino privato di Masseria Mitrano
Noto a pochissimi
brindisini, questo particolare reperto ritrovato nel
1887 nei pressi del cimitero fu esaminato e preservato
da Giovanni Tarantini, il più
grande archeologo brindisino del XIX secolo.
Lo studioso di antichità, nonché teologo
ed arciprete, per le competenze in materia e per il
suo grande impegno nel restauro e la salvaguardia di
importanti edifici religiosi come il Tempio di San Giovanni
al Sepolcro, la chiesa di Santa Maria del Casale, la
cripta di San Nicola nella chiesa di Santa Lucia, il
chiostro e la chiesa di San Benedetto, le chiese in
grotta di San Giovanni a Cafaro e di San Biagio, ma
anche delle vasche limarie nei pressi di Porta Mesagne,
fu nominato Ispettore degli Scavi e Monumenti dell’intero
circondario, un incarico con rapporto diretto con il
Ministero della Pubblica Istruzione che all’epoca
si occupava anche di beni culturali e archeologici.
In una delle lettere
inviate al Ministro, raccolte in bozza nell’importante
manoscritto “Relazioni degli Scavi e dei monumenti
del distretto di Brindisi” ovvero un registro
copialettere della corrispondenza con il dicastero,
il Tarantini descrisse le modalità di rinvenimento
del manufatto tufaceo ad opera di Alessandro
Carrasco, componente della nota famiglia di
proprietari terrieri brindisini. Durante i lavori di
dissodamento del suo terreno, l’agricoltore aveva
scoperto “a poca profondità una scultura
antica in pietra carparo, ossia tufo compatto giallastro,
rappresentante un leone lungo due metri”.
Nella stessa annotazione datata 16 luglio 1887 la scultura
venne così descritta: “la materia è
vile, ma l’opera fu stupenda. Manca solo la coda
del leone che sta su una base dello stesso masso tufaceo.
L’animale ha la bocca aperta e sta curvato sulle
zampe anteriori”. L’archeologo elogiò
inoltre la generosità dell’autore del ritrovamento:
“Il sig. Carrasco mi ha gentilmente ceduto
quest’antica scultura ed io procederò a
farla trasportare nella collezione municipale”,
infatti prima del 1909 ogni reperto apparteneva al proprietario
dell’immobile dove avveniva il ritrovamento.
Pochi giorno prima il Carrasco aveva scoperto sempre
nel suo terreno “presso il camposanto di questa
città”, un antico sepolcro “costruito
con grossi blocchi della pietra detta carparo”
chiuso da “una lastra di pietra gentile”
sulla quale era riportata una incisione, con all’interno
uno scheletro. L’individuazione era stata segnalata
al Ministro in data 11 luglio 1887 e riportata in copia
sullo stesso registro.
Della tomba non sono state trovate ulteriori notizie,
mentre il leone romano fu portato - probabilmente in
un secondo momento - presso la villa di contrada Mitrano,
di proprietà di Antonio Tarantini (fratello dell’archeologo),
famiglia che ne detiene ancor’oggi la proprietà
e dove la scultura è custodita da oltre un secolo.
Considerata
l’indiscussa correttezza e la scrupolosità
di Giovanni Tarantini (biografia),
gli studiosi sono concordi nell’affermare che
la scelta di portare il reperto a Mitrano, con il benestare
del Ministero, fu dettata dalla carenza di spazio nella
“collezione municipale” ospitata all’interno
del Tempio di San Giovanni al Sepolcro.
Tra alcuni esperti del settore esiste però qualche
dubbio circa la regolarità della sua attuale
custodia, in quanto le normative approvate nei decenni
successivi – in primis la legge 364 del 1909 e
quindi la legge Bottai del 1939 - hanno stabilito che
i reperti archeologici ritrovati nel sottosuolo o sui
fondali marini appartengono allo Stato e non è
possibile vantare alcun usucapione. La Direzione Generale
per le Antichità stabilisce inoltre che “un
eventuale legittimo possesso può sussistere qualora
i beni archeologici siano in possesso privato da data
antecedente al 1909 o qualora siano stati rilasciati
a suo tempo dall’amministrazione al privato quale
quota parte del premio di rinvenimento”, pertanto
una volta presentata regolare denuncia di detenzione
e dimostrato “che i reperti appartengono alla
famiglia in seguito ad acquisto, eredità, donazione
o per altri motivi comunque leciti, la Soprintendenza,
previa verifica dei documenti prodotti e catalogazione
dei reperti, può acconsentire al mantenimento
del possesso”.
L’antico manufatto è comunque da considerarsi
di proprietà pubblica, pertanto privati cittadini,
studenti e turisti dovrebbero avere la possibilità
e la libertà di visitarlo e ammirarlo senza troppi
problemi, ovunque venga custodito.
Giovanni
Membola
Il testo è stato pubblicato
su Senzacolonnenews.it
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Riferimenti
bibliografici:
- R. Jurlaro. Storia e cultura dei
monumenti brindisini. 1976 |
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