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IL MOTORE CHE PROTEGGEVA IL PORTO DAI SOMMERGIBILI
Utilizzato per chiudere con una rete il Canale di ingresso al porto interno. E' ritenuto un importante reperto di archeologia industriale e bellica, unico nel suo genere.

Salviamo quell'antico motore sul Canale Pigonati, l'importante reperto di archeologia militare risalente alla Prima Guerra Mondiale. È questo il grido d'allarme lanciato dalla sezione di Brindisi dell'associazione Italia Nostra, accompagnato da una missiva inviata all'attenzione delle autorità locali al fine di salvaguardare e recuperare il pregevole macchinario bellico che serviva ad ostruire con una rete metallica l'accesso al porto interno, a difesa delle tante navi militari qui ormeggiate.


Brindisi, il Canale Pigonati (cerchiata la struttura del motore) nel 2002

Chiunque si rechi nell'ampia e straordinaria zona dell'ex deposito catene e già molo carbone, a ridosso del piazzale inferiore del Monumento al Marinaio d'Italia, resta incantato dal suggestivo affaccio sulla città e sulle insenature naturali, un'area che doveva diventare un "giardino del porto", dove alle straordinarie bellezze naturali offerte dal luogo, vi era - nelle intenzioni - anche la possibilità di collocare un piccolo museo militare all'aperto, con l'esposizione di alcuni mezzi navali donati dal Comando Marina Militare insieme alle vecchie boe di ancoraggio. A tutto ciò si affiancherebbe quell'interessante motore risalente al primo conflitto mondiale, presente sulla sponda a nord del Canale, utilizzato durante le ostilità per estendere e raccogliere una robusta rete metallica, tenuta tesa dai galleggianti. Era questa la manovra necessaria per chiudere l'unico varco di accesso al porto interno ed evitare l'ingresso dei pericolosi sommergibili tedeschi e austro ungarici, che durante gli eventi bellici avevano creato non poche perdite al naviglio mercantile e militare alleato.


Navi e idrovolanti nel porto di Brindisi durante il primo conflitto mondiale

Le ostruzioni retali erano pratiche di difesa passiva antisommergibili molto utilizzate sia durante la Prima che nella Seconda guerra mondiale, numerose baie e tanti porti di tutto il mondo sono stati protetti con questo sistema di sbarramento fisico, in quanto all'epoca non esistevano ancora apparati di rilevamento dei sommergibili totalmente immersi, questi potevano essere attaccati solo quando si trovavano in superficie. L'unico modo per individuarne la presenza era l'utilizzo di reti metalliche che, incontrando il sommergibile, avrebbero segnalato la posizione alle navi che le trainavano o attraverso il movimento dei galleggianti. Nel 1916 il Canale di Otranto era un colabrodo, i sommergibili nemici lo attraversavano riuscendo ad attaccare facilmente convogli navali e i porti su tutto l'Adriatico, prima di riparare nelle frastagliate coste della Dalmazia. I Comandi delle forze marine italo-anglo-francesi concordarono la necessità di creare una sorta di barriera sul tratto di mare tra Brindisi e la costa albanese a nord di Corfù, impedendo anche l'uscita sul Mediterraneo della flotta imperiale nemica e il passaggio di navi turche cobelligeranti.


Alcuni sommergibili italiani e alletati nel porto di Brindisi durante la Grande Guerra

Tale rivisitazione della strategia difensiva, che prevedeva lo sbarramento fisso e mobile del Canale d'Otranto con spezzoni di rete leggera stesa fino a cinquanta metri di profondità per una lunghezza complessiva di sessantasei km, nel giro di un anno risultò particolarmente efficace contro la minaccia subacquea. Allo stesso modo queste semplici, poco costose, ma efficienti strutture metalliche spesso armate con mine, resero quasi impossibile l'ingresso dei sottomarini e dei siluri nemici nei porti militari: a Brindisi la rete di protezione antisom, costituita da diversi elementi di robuste maglie di acciaio, scorreva in maniera orizzontale verso verso nord con un cavo d'acciaio, fuoriusciva dal mare di poco più di un metro e raggiungeva quasi il fondo del canale. Il Canale Pigonati rimaneva aperto durante le ore di luce, lasciando passare le navi italiane e alleate di stanza nel porto interno, ricordiamo che negli anni di guerra la base brindisina arrivò ad ospitare una flotta di ben ottanta unità navali, compresa una squadra di sommergibili e una di idrovolanti. Vi era comunque un attento e costante controllo con piccole imbarcazioni guardiaporto per scongiurare eventuali passaggi di U-Boat anche durante il giorno. La sera, di solito, lo stretto passaggio veniva serrato con la rete protettiva, erano i militari della Real Marina a manovrare utilizzando il potente motore che ancora oggi si riesce a vedere sul lato nord della bocca del porto, al confine con la base logistica delle Nazioni Unite (UNLB) in area militare.


La struttura muraria di protezione del motore collassata (2021)

Del robusto tramaglio metallico si parla in occasione del tragico scoppio della corazzata Benedetto Brin, avvenuto il 27 settembre del 1915: "… si era propagata la voce che lo scoppio fosse stato causato da un siluro lanciato da un sottomarino in agguato o da una mina vagante trascinata dalle correnti e penetrata accidentalmente nel porto. Malgrado tali ipotesi risultassero assurde, poiché l'unico varco di accesso al porto era ostruito con una rete metallica verticale tenuta tesa da galleggianti, le ostruzioni furono accuratamente esaminate da alcuni palombari che accertarono l'integrità della rete" (G.T. Andriani, 1993).
Purtroppo, le opere murarie di copertura e protezione del meccanismo sono completamente collassate, oggi l'intera struttura è coperta da un doppio strato di detriti e rifiuti di ogni genere, una situazione incresciosa che potrebbe pregiudicare il possibile recupero di questo importante reperto del patrimonio marittimo della Terra d'Otranto. Attraverso i frammenti crollati si riesce ad intravedere una parte del motore, in particolare il massiccio aspo cilindrico di raccolta del cavo d'acciaio. L'intera struttura è considerata di grande interesse storico e, secondo l'opinione degli esperti, probabilmente rappresenta uno degli ultimi esempi - se non proprio l'unico superstite in tutta Italia - di archeologia bellica e industriale.

Alcuni testimoni (i faristi Corbelli e Fontanarossa, che abitavano negli alloggi riservati ai guardini del fanali attinenti il Canale Pignonati) ricordano ancora bene la rete ancora in funzione tra gli anni '50 e '60 del secolo scorso. Raccontano che periodicamente veniva tirara fuori dal mare e lavata, quindi veniva immersa nelle vasche di catrame per proteggerla dalla corrosione marina.


Il porto di Brindisi durante la Prima Guerra Mondiale

Italia Nostra e altri volontari da anni sostengono la necessità di procedere a un recupero del pregiato cimelio, ma la situazione odierna impone un rapido intervento di messa in sicurezza dell'antico macchinario, in modo da vincolarlo e tramandarlo alle future generazioni. Una volta sistemato il sito, si potrebbe procedere con il restauro e lo studio in loco del congegno, senza necessariamente trasferirlo presso un deposito, come proposto dall'Associazione nella lettera inviata al comandante del presidio militare della Marina di Brindisi, alla Soprintendenza archeologica Belle arti e paesaggio di Lecce e al sindaco di Brindisi, si risparmierebbero importanti risorse economiche già difficilmente recuperabili. In questo modo l'area potrebbe rientrare in un percorso educativo e turistico utile a riscoprire luoghi e risorse del nostro glorioso passato.

Immagini del motore tra la struttura collassata (clicca per ingrandire)

Alcune indiscrezioni parlano di un primo interessamento alla questione da parte dell'Amministrazione comunale, il sindaco Riccardo Rossi sembra aver coinvolto alcuni funzionari del settore al fine di valutare la situazione e quindi intervenire per porre un rimedio, almeno nell'ambito delle proprie competenze. A tutto ciò però devono seguire i fatti, altrimenti "ancora una volta discuteremo, a posteriori e con le dovute doglianze, di quello che si sarebbe dovuto e potuto fare, ma che nessuno ha fatto", come scrive nella sua comunicazione Maria Ventricelli, presidente della sezione brindisina di Italia Nostra

Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 201 del 28/5/2021

Il Motore fu realizzato dalla fabbrica metalmeccanica dei Fratelli Muzzi di Firenze, i primi ad aver progettato e realizzato il primo motore industriale a scoppio interamente di costruzione italiana. Durante la prima guerra mondiale la ditta fu inserita fra le cosiddette fabbriche ausiliarie, ossia militarizzate, utilizzate per la costruzione di materiale militare e di armi. In particolare collaborò alla costruzione del celebre fucile ‘91, in dotazione ai soldati dell’esercito italiano.
L'antica e importante struttura, unica in Italia e di cui esistono solo tre esemplari simili nel mondo, è stata successivamente liberata dalle macerie. Necessita comunque di una adeguata protezione dall'esposizione alla salsedine, considerata la vicinanza al mare.
La sezione di Brindisi di Italia Nostra ha inserito il "motore del porto" all'interno del progetto del Ministero del Lavoro denominato "Minore, un faro sul patrimonio culturale" per una maggiore tutela e valorizzazione del bene. All'iniziativa partecipano inoltre l'Ufficio Beni Monumentali del Comune di Brindisi, l'Ordine degli Architetti della provincia di Brindisi, l'Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI) e alcuni studiosi locali.

Immagini del motore (clicca per ingrandire)

Documenti correlati:
-> Giuseppe Maddalena Capiferro. Per la salvaguardia e il restauro della rete mobile antisommergibile a protezione del porto di Brindisi

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