Monumenti - Un Museo alle
Sciabiche?
Il senso di colpa
è una di quelle emozioni che non si vorrebbe
mai provare. È quella sensazione di sentirsi
riprovevoli per qualcosa che si è fatto, per
qualche norma che si è trasgredita, per qualche
danno reale o presunto che si è arrecato.
Non si tratta di colpa vera e propria, che è
cosa ben diversa, come la trasgressione di una legge.
La colpa è un fatto oggettivo. Il senso di colpa,
invece, è assolutamente soggettivo e possono
essere infiniti i motivi che lo innescano. I sensi di
colpa più sofferti sono forse quelli collettivi,
cioè quelli che ricadono su un’intera comunità.
Anche se, in compenso, hanno l’importante funzione
sociale di segnalare la gravità del danno creato
e permetterne la riparazione.
E di sensi di colpa dovrebbe soffrire l’Amministrazione
comunale anche se, in questo caso, si tratta di una
colpa ereditata… Il fatto da cui prende le mosse,
infatti, rientra nella responsabilità diretta
di chi ha governato la città in un arco temporale
che va dal 1934 al 1959.
Mi riferisco alla distruzione (perché di questo
si trattò, anche se fu giustificata da capziosi
motivi di risanamento ambientale) del quartiere più
antico di Brindisi: le Sciabiche. Non
è questa la sede idonea per discutere se quegli
interventi furono eseguiti in linea con la corrente
di pensiero vigente a quel tempo. Certamente non lo
furono dal punto di vista delle aspettative del cittadino
comune.
Le Sciabiche
E se oggi, a distanza
di anni, si riconosce la colpevolezza (anche se non
proprio la malafede) di chi si rese responsabile di
quei provvedimenti, si dovrebbe parimenti sentire la
necessità di riparare in qualche modo al grave
torto fatto ai brindisini e, in particolare, alla gente
di mare brindisina.
In che modo? Realizzando nella parte superstite del
quartiere un Museo del ricordo. Non solo delle Sciabiche,
ma di quello che le Sciabiche hanno rappresentato nella
storia della città: la tradizione marinara, la
vera vocazione della gens brindisina.
È questa la richiesta - avanzata senza clamori
e proclami, ma con accorata determinazione - dai discendenti
della “diaspora” sciabbicòta (decentrati
al Villaggio Pescatori o nei nuovi quartieri cittadini
o in giro per l’Italia). Una esigenza che l’Associazione
Culturale “Remuri” ha fatto propria
rivolgendo un’istanza ufficiale al Sindaco.
L’Associazione, da anni, rappresenta agonisticamente
la città di Brindisi nelle competizioni di canottaggio
con le altre marinerie del Mediterraneo. Ma si tratta
di una realtà che non si esaurisce nel contesto
sportivo, prefiggendosi anche lo scopo di far conoscere
alle nuove generazioni (inclusi i diversamente abili)
la pratica dell’ “andare per mare”,
rivalutando le tipiche imbarcazioni della tradizione
marinara locale.
Da troppo tempo, infatti, “šchifarièddi”
e “vele latine” sono caduti
nell’oblio. Quando invece - come sottolinea Francesco
Romanelli che dei “Remuri” è il Presidente
(ma anche titolare di ben cinque titoli nazionali nella
canoa canadese C1!) - «gli šchifarièddi,
che noi siamo soliti definire “biciclette del
mare” in quanto mossi dalla sola forza dei muscoli,
dovrebbero essere più presenti nella memoria
viva dei brindisini al pari delle loro radici storiche».
Cosa chiedono dunque i vecchi sciabbicòti per
bocca dell’Associazione “Remuri”?
La creazione del “Museo dell’antico
quartiere delle Sciabiche”, da realizzarsi
nei locali dell’ex Circolo Nautico ubicato nel
piazzale Lenio Flacco, attualmente utilizzati come autorimessa
da parte della Amministrazione provinciale.
Barca con la vela latina (archivio
De Castro)
L’idea è
quella di creare uno spazio in cui i visitatori (in
special modo giovani e scolaresche) possano assistere
al restauro di vecchie imbarcazioni ad opera di Maestri
d’ascia e Maestri calafati (mestieri in via d’estinzione)
e prendere confidenza con plastici ricostruttivi, pannelli
esplicativi, modellini in scala, strumenti, attrezzi
da pesca, foto d’epoca e, soprattutto, con le
storie - belle o brutte - della gente dello storico
quartiere.
Una Sezione marina del Museo (distaccata nello specchio
d’acqua antistante l’ex Circolo) consentirebbe
inoltre l’ormeggio degli šchifarièddi,
dell’unica “vela latina” e delle due
lance (San Teodoro e San Lorenzo) utilizzate dall’Associazione
in occasione di allenamenti e gare.
Naturalmente, ove il Museo venisse realizzato, l’Associazione
sarebbe in prima linea per animarlo e assicurarne l’operatività.
Anche se, per l’ottimale riuscita di un progetto
così ambizioso, sarebbe auspicabile il coinvolgimento,
oltre che dei privati, dei tanti enti pubblici che alla
tematica del mare e dell’ambiente sono legati:
la Marina Militare, l’I.T.S. Nautico e Aeronautico
“Carnaro”, il Gruppo Archeo Brindisi, la
sezione di Italia Nostra, il Gruppo Ormeggiatori, l’Autorità
Portuale, ecc.
In Brindisi, come
è noto, coesistono varie realtà museali.
C’è il Museo Archeologico Provinciale “F.
Ribezzo” (dotato anche della Sezione subacquea
“I Bronzi di Punta del Serrone”), il Museo
Mediterraneo dell’Arte Presente, il Museo Diocesano
“G. Tarantini” e la Collezione Archeologica
Faldetta ospitata nella suggestiva Palazzina del Belvedere.
Ma nella “Città d’acqua” tanto
reclamizzata negli ultimi anni manca proprio un Museo
del Mare e delle Tradizioni Marinare!
Si tratta di una grave mancanza se si pensa che musei
di questo genere esistono in tante città costiere.
Giusto per rimanere in Puglia si pensi al Museo Etnografico
del Mare presente a Molfetta, dedicato all’attività
peschereccia che per anni è stata pressoché
l’unica fonte di sviluppo economico della cittadina.
Al Museo delle Imbarcazioni Tradizionali e dell’Arte
Marinaresca di Tricase. E al Museo del Mare e delle
Tradizioni Marinare di Manfredonia.
Senza parlare che nel resto della penisola c’è
il “Galata” Museo di Genova, il Civico Museo
del Mare di Trieste, il Museo del Mare di Ischia, il
Museo del Mare, della Pesca e delle Tradizioni Marinare
di Furci Siculo (ME), il Museo della Marineria di Cesenatico,
il Museo Civico del Mare e delle Tradizioni Marinare
di Civitavecchia, il Museo del Mare e delle Tradizioni
Marinaresche di Caprera…
Nel museo, dice Vivant Denon, “si crea tempo con
lo spazio. È un luogo dove, quando ci si avvia,
non si va da un punto ad un altro, ma da un’epoca
ad un’altra epoca più antica…”.
E di storie legate al tempo il museo brindisino ne avrebbe
da narrare.
Reti da pesca stesa ad asciugare
A cominciare da quella
che ha riguardato due sciabbicòti illustri: i
fratelli Donato e Teodoro Marinazzo. Quelli che il 5
giugno 1647 guidano nel Sud? prima ancora della rivoluzione
napoletana di Tommaso Aniello d’Amalfi, detto
Masaniello? la rivolta contro l’oppressivo potere
spagnolo (leggi
la storia). Eroici pescatori che si mettono
a capo della sommossa con cui vengono eliminate le odiate
gabelle e bruciati alcuni palazzi dei nobili locali.
Purtroppo l’anno successivo un assalto governativo
li cattura insieme agli altri rivoltosi e nel 1649 vengono
giustiziati a Napoli.
Parlavo dei sensi di colpa. E non lo è forse
anche la “dimenticanza” di questa pagina
di storia che ha travalicato perfino i confini della
città!? Senza che niente e nessuno la ricordi
invece ai cittadini di oggi.
È
vero che nel passato esisteva un Pendio Marinazzo tra
la strada De Leo e la via Sciabiche, ma è anche
vero che la via è sparita insieme al resto del
quartiere... Così come è misteriosamente
scomparsa una scultura che, a detta di qualche anziano,
sembra facesse bella mostra di sé nel Parco della
Rimembranza (pure esso distrutto!), a ricordo dei due
eroici pescatori.
Per riparare a questo ingiustificato e colpevole silenzio
mi parrebbe doveroso, ove l’idea del Museo delle
Sciabiche si concretizzasse, intitolarne la struttura
ai fratelli Marinazzo.
Illusione? Forse. Ma, come dice Armando Torno (“Elogio
delle illusioni”, Bompiani, 2013), “È
bello illudersi. Fa bene. Aiuta e migliora la vita,
anzi consente a essa di non trasformarsi in una meccanica
ripetizione di giorni”.
E, aggiungo io, in questi tempi di “spending review”,
non costa niente.
Così mi posiziono davanti all’ex Circolo
Nautico e serro le palpebre fino a lasciare solo una
fessura tra le ciglia. Da quel pertugio leggo (in realtà
m’illudo di leggere), sulla targa affissa al muro
di carparo, la scritta: Museo delle Tradizioni Marinare.
E, un rigo più sotto, i nomi “Daniele e
Teodoro Marinazzo”…
Guido Giampietro
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