Monumenti - Dimore
PALAZZO
PEREZ E QUELLA SUA ATMOSFERA FUORI DAL TEMPO
L'antica dimora della nobile famiglia, nella quale
si celano interessanti elementi architettonici, è
stata teatro di un singolare episodio del Risorgimento
brindisino.
Amaranto, con rifiniture
chiare come il suo austero portale decorato, dalla linea
sobria ed elegante nella sua assoluta semplicità,
Palazzo Perez occupa una posizione veramente superba,
a ridosso del più famoso monumento di Brindisi
(le Colonne del porto) e su un'altura da cui si domina
il mare. Non poteva essere più suggestiva la
presentazione offerta da Nadia Cavalera nel suo volume
dedicato ai palazzi della città pubblicato nel
1986. Con pochi ma efficaci termini l'autrice dell'interessante
indagine storico culturale sui quaranta edifici cittadini
più significativi è riuscita a descrivere
le caratteristiche salienti di questa antica dimora
storica, circondata da una particolare aura di fascino
romanzesco per essere stata testimone di una delle tante
vicende storiche di cui è ricco il nostro Risorgimento.
Palazzo Perez. Prospetto principale
L'edificio prende
il nome dalla famiglia Perez che ebbe come capostipite
il forastieroAntonio, noto portolanoche
alla fine del '600 sposò Antonia Scolmafora,
discende di una delle più importanti famiglie
brindisine; costui dimostrò grandi capacità
imprenditoriali tanto da accrescere rapidamente il suo
patrimonio economico, fondiario e immobiliare, tanto
da essere aggregato nel 1728 alla piazza dei nobili
patrizi. Un secolo dopo suo nipote Francesco fu protagonista
della "romantica scena" rimasta impressa
nella memoria storica della città: la notte dell'8
febbraio del 1830 nel palazzo di don Francesco Perez
"s'intratteneva una comitiva di amici, tra cui
delle signore e degli attendibili di politica",
racconta Nicola Vacca nella sua "Brindisi Ignorata",
non era la prima volta che una simile riunione si teneva
sino a tarda notte nella casa del nobile brindisino,
l'eccessivo protrarsi di queste ripetuti incontri aveva
insospettito qualcuno che pensò di segnalarlo
alla polizia borbonica, particolarmente attenta ai moti
carbonari molto attivi in quell'epoca. Alle tre di notte
gli agenti tentarono l'irruzione nel palazzo, bussarono
più volte al massiccio portone, senza ricevere
alcuna risposta. Il Commissario a quel punto chiese
un rinforzo di gendarmi, quindi tornò a percuotere
ancora più insistentemente il battente, sino
a quando l'ingresso all'edificio venne finalmente aperto.
Giunti nell'ampio salone del piano nobile, le guardie
trovarono una sorta di festa danzante, con "persone
dell'uno e dell'altro sesso, parte in piedi, parte sedute,
mentre Felice Quarta e Moisè Della Corte suonavano
due strumenti musicali" (S. Panareo, 1937).
Fra gli altri c'era anche il temutissimo Giovanni
Crudo, cognome poi mutato in Crudomonte, il giovane
cospiratore e rivoluzionario già a capo della
carboneria locale dei "Filadelfi" e, successivamente,
gran maestro della vendita carbonara dei "Liberi
Piacentini", sicuramente il personaggio più
perseguitato dalla polizia borbonica. Ma non era l'unico
elemento scomodo ai Borbone presente nella sala: c'era
anche Domenico Nervegna, "attaccatissimo
al sistema e settario graduato", e il più
volte segnalato Pietro Magliano "che
nel 1820 si era distinto come rivoluzionario nella capitale",
entrambi sempre alla ribalta nelle manifestazioni sovversive.
Tali presenze, oltre "al ritardo all'aprire",
confermarono l'idea del Commissario che questa era tutt'altro
che una festa da ballo tra amici, come invece aveva
giustificato il padrone di casa, ma una riunione sediziosa
di facinorosi aderenti allo spirito liberale della Carboneria.
Non avendoli colti sul fatto, ordinò l'immediato
scioglimento della compagnia e fece convocare a Lecce,
davanti all'Intendente di Terra d'Otranto, l'intera
comitiva sorpresa quella notte nel Palazzo. Sotto mandato
furono tutti trattenuti per quindici giorni prima di
essere liberati per insufficienza di prove, il solo
don Francesco Perez, già sospettato di simpatie
liberali e per non aver giustificato sufficientemente
la presenza in casa di noti settari, venne condannato
al ritiro di tre mesi in un monastero di Brindisi "per
ricevervi i santi esercizi per venti giorni".
Nessuna molestia e misura cautelativa fu adottata contro
le signore, tra loro anche Maria Sala, moglie
del Perez, sulle quali tuttavia il Commissario espresse
apertamente il sospetto che avessero i "medesimi
sentimenti degli uomini".
Palazzo Perez. Prospetto su piazza
Colonne
Francesco Perez aveva
ereditato dal nonno Antonio anche numerose proprietà
fondiarie tra Brindisi e Mesagne, nei possedimenti rientravano
le note masserie Cuoco e Lucci, che venivano concesse
in affitto e in colonia insieme ai rispettivi terreni
e sulle quale gravavano canoni enfiteutici nei confronti
del Capitolo della Cattedrale. Con la morte di don Francesco
(1848), buona parte delle proprietà passarono
al figlio Pasquale, ultimo della linea maschile
dei Perez, mentre la masseria dei Lucci venne assegnata
alle figlie Innocenza e Chiara. Nel periodo
post-unitario entrambe le masserie furono prese di mira
dalla banda di briganti comuni, così come avvenne
ad altre aziende agricole di proprietari liberali ed
antiborbonici, esse rappresentavano un facile bersaglio
e venivano agevolmente assaltate e depredate di fucili,
munizioni, cavalli, alimenti, foraggio e altri materiali
di sostentamento. Fu così che tra il settembre
e l'ottobre del 1862 la temuta banda del bandito carovignese
Giuseppe Nicola Laveneziana, tristemente noto
come "lu figghiu di lu Re", assaltò
ripetutamente proprio la Masseria Cuoco dove aveva lavorato
come fittavolo insieme alla sua famiglia. Il fuorilegge
ossessionato dalla sete di vendetta, pretese un riscatto
di seicento ducati, ma venuta meno la risposta del Perez,
andò su tutte le furie ed ordinò ai suoi
uomini di uccidere tutti i tredici buoi a fucilate,
di devastare e incendiare alcune stanze del fabbricato,
oltre ai carri e il fieno. Furono inoltre rubati un
cavallo "di manto morello" e tanta altra merce
di valore; non contento, il pericoloso brigante minacciò
di mettere a fuoco anche l'antica dimora della famiglia
Perez nel centro di Brindisi. La masseria fu nuovamente
distrutta qualche settimana dopo mentre veniva ristrutturata,
tanto che fu necessario cessarne l'attività.
I banditi si erano recati anche alla vicina masseria
Lucci, di proprietà delle sorelle Innocenza e
Chiara Perez, qui pretesero pane, avena e qualche indumento,
e lasciarono al massaro il solito biglietto di riscatto
da consegnare alle padrone, in cui chiedevano "200
piastre e le spese dello fumare". Il complesso
venne comunque risparmiato nonostante il mancato pagamento
del riscatto, i briganti avevano appreso che le due
sorelle erano in contrasto con Pasquale, e per questo
"le perdonavano".
Palazzo Perez. Atrio e corte
interna
L'elegante palazzo
di via Colonne passò poi alla famiglia Guadalupi,
di Cosimo le iniziali ancora impresse sulla parte semisferica
sopra al portone d'ingresso; successivamente entrarono
in possesso dell'immobile il marchese Sansone di Ostuni
e, nel 1941, il podestà di Brindisi Corradino
Panico-Sarcinella, i suoi eredi lo hanno poi ceduto
ad altri privati.
Il palazzo fu costruito con decoro ma senza sfoggio
di ornamenti, sul portale si scorge l'interessante fregio
che lo abbellisce sia internamente che nella fascia
esterna; appena si entra nell'androne si percepisce
un'atmosfera che sa di tradizione e di tempi andati,
tipica di una dimora signorile. I locali a piano terra,
una volta magazzini e rimessa, sono stati utilizzati
negli anni da rinomati ristoratori, così come
il giardino, in passato ricco di palme e roseti, mentre
le ampie stanze del piano superiore hanno ospitato il
set di una riuscita ed avvincente fiction prodotta da
Mediaset nel 2000, con Claudia Koll e Claudio Amendola.
Palazzo Perez. Mascherone antropomorfo
Oltre qualche piccola
ed interessante decorazione pittorica, gli ambienti
non mostrano particolari caratteristiche architettoniche,
a differenza della corte interna nel quale si affaccia
tutt'intorno un raffinato balcone. Da qui si può
ammirare anche il mascherone antropomorfo posto su un
arco del piano superiore, un volto umano grottesco,
con la bocca aperta dal quale fuoriesce la grossa lingua
minacciosa, a mo' di scherno. Secondo la tradizione,
queste teste allegoriche avevano principalmente uno
scopo apotropaico, cioè spaventare gli spiriti
maligni e tenerli distanti dall'abitazione. Sotto gli
archi che sorreggono la loggia centrale è visibile
una copia dello stemma dei Perez, nel quale compare
"un leone all'impiedi voltato a destra, con
coda irta, portando nella mano destra una sciabola alzata.
Il detto leone sta appoggiato con la zampa sinistra
a terra. E sopra il leone vedesi tre stelle".
L'originale che sovrastava il portale del palazzo lo
si vede murato nel porticato del museo provinciale,
purtroppo rovinato sulla cornice e mancante di cimiero.
Integro è invece l'altro stemma araldico del
casato, presente sull'antico portale del Palazzo Perez-Scolmafora
di via Assennato.
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Particolare del fregio sul portale
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Lo stemma dei Perez (Porticato
del Museo Prov.le)
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Giovanni Membola
per Il 7 Magazine n. 244 del 1/4/2022
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